Il quotidiano comunista e i nazi-islamisti di Hezbollah
i terroristi antisemiti che starebbero cercando di evitare lo "scontro di civiltà"
Testata: Il Manifesto
Data: 04/12/2004
Pagina: 1
Autore: Stefano Chiarini
Titolo: "La nostra è una resistenza contro lo scontro di civiltà"
A pagina 7 ,con un richiamo in prima, IL MANIFESTO di sabato 4-12-04 pubblica un intervista di Stefano Chiarini ad Hassan Nasrallah segretario generale degli Hezbollah.
Non sappiamo se IL MANIFESTO ha ancora lettori,redattori o collaboratori vagamente di sinistra,o se tutti si sono convertiti al fascismo islamico. Nel caso qualcuno resista, quest'intervista "collaterale" al leader di un movimento terrorista e antisemita, che finanzia le più efferate stragi di civili israeliani e diffonde nel mondo,tramite la televisione satellitare Al Manar una propaganda antisemita puramente nazista (riproponendo i Protocolli dei Savi Anziani di Sion e le accuse di omicidio rituale nella Pasqua ebraica, pretesto nel passato di numerosi massacri di comunità ebraiche), dovrebbe indiganre anche lui.
Aspettiamo perciò, fiduciosi, una qualche reazione.

Di seguito, il vergognoso articolo:

«Il mondo arabo-islamico è vittima di una guerra voluta da coloro che, come George Bush, perseguono uno scontro di civiltà con toni da crociata, concetti e idee di 1000 anni fa. Un progetto assai pericoloso, nel quale Israele ha un ruolo centrale, che mira alla disgregazione del Medioriente a cominciare dall'Iraq dove, al fine di giustificare la loro presenza, gli Usa stanno gettando le premesse per una devastante guerra civile che potrebbe infiammare l'intera area . Una deriva di morte che l'Europa e l'Italia avrebbero tutto l'interesse a fermare prima che sia troppo tardi». Sayyed Hassan Nasrallah, 44 anni, il più giovane segretario che abbia mai avuto il movimento della resistenza islamica libanese sciita degli Hezbollah, barba folta e un paio di spessi occhiali, con il tradizionale turbante nero, ci riceve in un anonimo palazzone della periferia sud di Beirut. Ci troviamo nella cosiddetta «cintura della miseria» della periferia sud della capitale nella quale, dagli anni '70 sono affluiti centinaia di migliaia di sciiti libanesi in fuga dalle rappresaglie israeliane sul Libano meridionale. Ci troviamo in quello che è stato il cuore della resistenza all'occupazione israeliana del Libano e, tra l' 82 e l'84, alla presenza delle forze americane e francesi.



La «cintura della miseria»

La strada è sbarrata da una spessa cancellata dove macchine e passeggeri vengono attentamente perquisiti. Intorno un discreto e sofisticato sistema di sicurezza. Quartieri come Haret Reik e Bir Labed, dove in tanti anonimi appartamenti si trovano gli uffici della leadership degli Hezbollah, ci riportano con le loro straordinarie misure di sicurezza, proprio a quei tempi di guerra. Tempi che non sono affatto lontani, anzi. Se entrambi i predecessori di Nasrallah sono stati uccisi dai servizi israeliani nel sud del Libano, Ragheb Harb nel 1984, e Sayyed Abbas Musawi nel febbraio del 1992, alcuni esponenti del movimento sono stati uccisi dai servizi israeliani, l'ultimo alcuni mesi fa, proprio nella periferia sud della capitale.

In un momento nel quale gli Usa hanno intensificato i tentativi di criminalizzare la resistenza libanese, premendo, per il momento senza grossi risultati, sulla Ue per un suo inserimento nella lista nera dei movimenti terroristici, Sayyed Hassan Nasrallah intende sottolineare subito il carattere «nazionale» e «patriottico» del suo movimento: «All'inizio eravamo gruppi di resistenza contro l'occupazione israeliana e nient'altro. Un movimento di giovani libanesi decisi a resistere con le armi contro un esercito leggendario come quello israeliano e pronti a sacrificare la loro stessa vita. Una resistenza patriottica che abbiamo portato avanti insieme ai comunisti e ai nazionalisti uniti da un comune obiettivo, la liberazione del paese. Le rispettive ideologie servirono poi per mobilitare la popolazione contro l'occupazione ma siamo nati e siamo un movimento di liberazione nazionale».

Rispondendo alla richiesta Usa -accolta dalla risoluzione 1559 - di un disarmo delle milizie Hezbollah lungo il confine con Israele, Sayyed Nasrallah sostiene poi che «Le nostre forze armate - come ci riconoscono anche i nostri avversari - hanno sempre avuto come unico obiettivo la liberazione del paese e la sua difesa contro le continue violazioni israeliane della sovranità libanese. Per questo abbiamo sempre evitato qualsiasi azione potesse farci precipitare in una nuova guerra. I nostri combattenti, noi tutti, veniamo da quei villaggi del sud e nessuno vuole un nuovo conflitto».

Ma allora perché gli Usa e Israele hanno sempre nel mirino gli Hezbollah?: «Innanzitutto per l'esempio che la nostra lotta - continua Nasrallah - costituisce per i popoli della regione a cominciare dai palestinesi e dagli iracheni e poi perché costituisce la dimostrazione che Israele con tutta la sua potenza non è invincibile. In secondo luogo perché comunque costituiamo un intralcio non di poco conto alla libertà di manovra di Israele. In terzo luogo perché sosteniamo, in particolare con i nostri media, la giusta causa del popolo palestinese».



La lettera di Cheney

A questo punto Sayyed Nasrallah ci racconta di come alcuni emissari del vicepresidente Usa, Dick Cheney, in realtà abbiano tentato di imbarcare anche loro sul carro della pax israelo-americana nella regione: «Sia prima che dopo l'undici settembre ho ricevuto alcuni inviati di Cheney - ricorda Nasrallah - che ci hanno proposto un accordo quadro molto dettagliato. Gli Usa erano disposti a cancellarci dalla lista dei movimenti terroristici, a darci una quota pari alla nostra forza a livello istituzionale e di governo, a far rilasciare i nostri prigionieri in Israele e infine a versarci due miliardi di dollari per la ricostruzione, con in aggiunta l'immunità da eventuali attacchi israeliani. In cambio volevano che abbandonasimo la lotta contro l'occupazione israeliana di territorio libanese e chiudessimo gli occhi di fronte a qualunque cosa Israele intendesse fare con i palestinesi. In secondo luogo volevano la nostra collaborazione contro quello che chiamano «terrorismo». Abbiamo riposto che è stata la resistenza e non certo la comunità internazionale o l'Onu a liberare il Libano, mentre sul terrorismo gli abbiamo ricordato che di al Qaida la Cia ne sapeva certamente più di noi»



Terrorismo targato Cia

E a proposito del ruolo dei gruppi che fanno riferimento ad al Qaida, in Iraq in particolare, l'esponente degli Hezbollah, anche lui ex studente di Najaf, come tutta la leadership del movimento, emette una condanna senza appello: «Si tratta di piccoli gruppi, spesso infiltrati, le cui azioni criminali colpiscono l'Islam, la resistenza e le popolazioni locali. Azioni che non hanno nulla di islamico, prova ne sia che rapimenti come quelli dei due giornalisti francesi o delle due simone italiane non sono stati giustificati da un solo sheik musulmano sunnita o sciita che fosse. Al contrario alcuni dei rapiti hanno detto chiaramente di essere stati tenuti in alcune basi dei servizi segreti del nuovo governo iracheno, abbiamo i nomi e le prove, e ci sono forti sospetti che anche gli sgozzatori lavorino per gli americani o per i loro uomini in Iraq».

Lo spauracchio del terrorismo, e l'uso strumentale di alcuni gruppi fanatici minoritari da loro stessi creati sarebbero usati così dagli Usa - sostiene Sayyed Nasrallah - per nascondere il dato di fatto che non c'è affatto alcuno scontro di civiltà e che in realtà ormai la quasi totalità dei movimenti islamici o islamisti ha accettato la via democratica e il confronto politico, in Marocco, Algeria, Indonesia, Kuwait, Egitto, Bahrein e, laddove viene loro permesso, partecipano attivamenrte alla vita politica. Ma a preoccupare non poco Nasrallah e il suo movimento è sempre la situazione in Iraq dove gli occupanti starebbero preparando una devastante guerra civile tra arabi e curdi, sunniti e sciiti, sunniti e cristiani: «Altrimenti come spiegare le autobombe davanti alle moschee, alle chiese, delitti feroci e stragi senza apparenti spiegazioni?» - ci dice Nasrallah non risparmiando poi critiche all'attendismo nei confronti dell'occupazione americana propri di alcuni settori della comunità sciita irachena



L'attendismo di Sistani

«Sono usciti da anni e anni di una dittatura sanguinosa - continua Nasrallah - e sono ancora ossessionati da Saddam Hussein. Molti di loro non hanno capito che il regime costituiva un fenomeno politico e non religioso e che quella feroce dittatura non era sunnita ma tribale. Non si rendono conto del disegno di dominio americano sull'Iraq e sulla regione. Ci vorrà un po' di tempo perché comprendano questa realtà». Sotto certi aspetti si sta riproducendo in Iraq una situazione simile a quella che si ebbe nel sud del Libano all'indomani dell'invasione israeliana del 1982 dove gli sciiti, in un primo momento, accolsero con benevolenza l'esercito di Sharon, felici di non dover più subire le rappresaglie israeliane nelle zone controllate dai palestinesi, ma ben presto si resero conto che l'esercito di Tel Aviv non aveva alcuna intenzione di «liberarli» e dettero vita ad uno dei più forti e vittoriosi movimenti di resistenza della regione. Di fronte ai tentativi Usa di rilanciare uno «scontro di civiltà» - conclude Nasrallah prima di salutarci - sarà determinante il ruolo dell'Europa che «ha tutto da perdere in una crociata che va contro i suoi stessi interessi. Spagna, Francia e Germania sembra abbiano compreso questa realtà, speriamo che anche l'Italia, così vicina nella storia a noi e ai palestinesi, torni al dialogo con i popoli del Medioriente».
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