Scompare il terrorismo palestinese, compaiono i generali golpisti in Israele
la realtà riveduta e corretta dal quotidiano della Margherita
Testata: Europa
Data: 03/12/2004
Pagina: 5
Autore: Imma Vitelli - Ibrahim Refat - Dan Rabà
Titolo: Elezioni, l'incognita di Hamas - Esplosiva la candidatura di Barghouti - Finanziaria, Sharon sull’orlo della crisi. E tra i laburisti rispunta Ehud Barak
Nell'articolo "Elezioni, l'incognita di Hamas", Imma Vitelli definisce il gruppo terroristico islamista: "resistenza islamica" e "braccio armato della resistenza armata in Palestina". Scrive anche che Hamas vorrebbe "scrollarsi di dosso l'etichetta di movimento terroristico estremista, sulle orme degli Hezbollah libanesi".
Hamas, dunque, secondo il quotidiano della Margherita, è stato "etichettato" come movimento terroristico, ma vuole correggere questa distorsione, come già ha fatto Hezbollah, che ormai tutti sanno non essere un movimento terroristico, avendo mandato dei deputati al parlamento libanese.

Ibrahim Refat, nell'articolo "Esplosiva la candidatura di Barghouti" scrive che il terrorista palestinese venne "indicato più volte nei volantini delle Brigate al Aqsa come il leader di questo gruppo". La cosa, prosegue, "ha reso facile a Israele incriminarlo per complicità nell'uccisione di 25 suoi cittadini durante il processo celebrato nel 2002".
Refat dovrebbe però giustificare il suo scetticismo verso le dichiarazioni delle Brigate: perchè queste avrebbero dovuto indicare come loro capo qualcuno che non lo era?

Giovedì 2-12-04 invece su EUROPA Dan Rabà propone una strana teoria per la quale gli ex generali israeliani entrati in politica gestirebbero il potere in modo antidemocratico e autoritario. Ma la democrazia è fatta di regole e procedure, non di caratteri. E d'altro canto se un leader esercita con più decisione di un altro i poteri che la legge gli conferisce non sta abolendo la democrazia.

Ecco l'articolo, ""Finanziaria, Sharon sull’orlo della crisi. E tra i laburisti rispunta Ehud Barak"

Nella serata di martedì 30 novembre si è riunito il comitato centrale del partito laburista d’Israele (Havodà), un partito che secondo molti commentatori politici israeliani non riesce a destarsi dal letargo in cui si trova. Partito di governo costretto all’opposizione, l’Havoda è ancora diretta da quel politico consumato e geniale temporeggiatore che è Shimon Peres.
Ma martedì si è svegliato in un incubo: il ritorno di Ehud Barak.
Ritiratosi strategicamente dalla vita politica dopo la caduta del suo governo in seguito al fallimento delle trattative con Arafat nel 2000 a Camp David – sponsorizzate dall’allora presidente americano Bill Clinton – Barak ha deciso ora di tornare ricandidandosi al ruolo di segretario di partito e quindi di primo ministro in caso di vittoria elettorale. E il partito, nella persona dei più alti dirigenti, ha reagito con fastidio.
Il comitato centrale avrebbe dovuto decidere la data delle nuove elezioni a segretario, ma la situazione molto precaria del governo israeliano ha suggerito ai laburisti di prendere tempo.
Ieri infatti si è discusso il bilancio 2005 e Sharon è rimasto senza maggioranza. Già in dif- ficoltà a causa dell’opposizione di alcuni membri del Likud al piano di ritiro da Gaza voluto dal premier, il governo ha perso anche il sostegno dello Shinui. Il partito liberale era insorto dinanzi ai fondi offerti da Sharon alle istituzioni religiose ultraortodosse, una mossa del premier per "comprarsi" il partito religioso Yahdut Hatorah, (Torah Unita nel giudaismo).
Sharon e Yosef Lapid, leader dello Shinui nonché ministro della giustizia, nei giorni scorsi si sono scambiati frecciatine velenose e, nonostante il premier avesse promesso che in caso di voto contrario i ministri del partito liberale sarebbero stati cacciati dal governo, lo Shinui non ha fatto marcia indietro. Il parlamento israeliano ha dunque bocciato il progetto di bilancio per il prossimo anno con 69 voti contrari e 43 a favore.
Ora il governo ha quindici giorni per trovare una maggioranza, altrimenti elezioni anticipate verranno indette entro i successivi novanta giorni. Per uscire dall’empasse, Sharon dovrà con ogni probabilità chiedere l’aiuto dei laburisti.
Shimon Peres non ha voluto votare martedì riguardo ai tempi dell’elezione del segretario laburista proprio perché attendeva l’esito della votazione di ieri. Sia Peres che Barak appoggiano il premier conservatore sullo sgombero dei territori, ma mentre Peres è aperto alla costituzione di un governo di unità nazionale con la destra, Barak vuole restare all’opposizione, in modo da ricostruire e ridare forza al partito, che sotto l’egemonia del Likud perderebbe identità e grinta.
Così al comitato centrale dei laburisti Barak, che proponeva elezioni segrete e subito, si è scontrato con la direzione del partito, che aveva deciso di rimandare le votazioni per la data delle elezioni. Mentre colui che dirigeva la riunione stava spiegando le sue ragioni, Barak è saltato sul palco e gli ha strappato il microfono con inusuale violenza, incitando i membri a non accettare soprusi, e gridando: «Qualcuno vuol rubare il partito». Shakal, ex ministro della polizia e responsabile della riunione, gli ha risposto duramente: «Tu fai cose che ci rendono come il partito Likud (dove ci sono sempre gazzarre), mi devi chiedere scusa». La foto di Shakal che urla vicino a Barak, teso e livido nello sforzo di parlare, era su tutti i giornali di ieri. Un episodio in sé banale, che però mette in evidenza lo stile violento di Barak (un generale che è stato capo di stato maggiore di Rabin), uomo che vive ancora in un mondo ideale fatto di soldati e generali.
Questo rientro potrebbe segnare l’inizio di una più conflittuale lotta interna per la direzione del partito e così indebolirlo. Barak poi rappresenta in modo chiaro uno dei pericoli centrali della politica israeliana, quello rappresentato dal passaggio di molti dalla vita militare a quella politica senza alcun tirocinio culturale, senza la "pratica" della democrazia nelle sue varie istanze. I generali in Israele si congedano giovani, verso i 45 anni, con una pensione cospicua, una o due lauree e in media con un ingente patrimonio, possono così facilmente riprendere una nuova carriera, che esalti il loro talento di comando. La mentalità classica del militare – discutiamo, verifichiamo, ma io e solo io ho la responsabilità della decisione – è accettabile e proficua in grandi aziende e nel mondo del lavoro capitalistico, non altrettanto in quello politico.
In Israele moltissimi militari hanno fondato partiti e guidato governi, e molti hanno anche fallito rumorosamente. Sharon è l’esempio più chiaro dei danni che un primo ministro che è rimasto un generale nell’animo può causare.
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