Uno sguardo sulla politica interna israeliana
una cronaca corretta, che però prende troppo sul serio le offerte di pace siriane e un messaggero non imparziale
Testata:
Data: 01/12/2004
Pagina: 5
Autore: un giornalista
Titolo: Per Sharon la finanziaria è più dura del ritiro da Gaza
Interessante articolo sulla politica interna israeliana sul RIFORMISTA di mercoledì 1-12-04. Troppo credito, però, è concesso alle offerte siriane di una ripresa del diaologo, giudicate propagandistiche nel governo israeliano, e al loro latore, Terje Roed-Larsen, che accusò Israele del mai avvenuto "massacro" di Jenin e fu poi costretto smentirsi.
Ecco il testo.

Gerusalemme. L’avvenimento più importante, ieri, sarebbero state le profferte siriane verso Israele. Riprendere i negoziati di pace là dove erano stati interrotti oltre quattro anni fa, grazie anche ai buoni uffici del presidente egiziano Hosni Mubarak in persona. In pochi, però, si sono accorti delle pressioni di Bashar el Assad per riprendere a parlare con il governo di Tel Aviv, nonostante lo stesso inviato speciale dell’Onu per il Medio Oriente, Terje Roed-Larsen, avesse cercato di convincere gli stessi deputati della Knesset delle buone intenzioni del vicino siriano. Niente da fare. Sforzi inutili. La politica israeliana è negli ultimi giorni concentrata solo su se stessa. Tra una coalizione di governo sempre più fragile e il maggior partito dell’opposizione, quello laburista, ripiegato in una fase di estrema confusione. Sembra la legge del contrappasso. Per anni in Medio Oriente si è andati avanti per inerzia, in una impasse senza fine. E ora, a cinque settimane dalle elezioni presidenziali del dopo-Arafat, Israele deve fare i conti con un periodo di evidente fragilità della coalizione di governo.
I fatti, anzitutto. L’esecutivo israeliano è alle prese con l’approvazione della legge di bilancio. Non sembra, all’inizio, che questo possa essere - per Ariel Sharon - un ostacolo più difficile da superare di quanto sia stato, a fine ottobre, il confronto parlamentare sul piano di disimpegno da Gaza. Sharon, peraltro, ha incassato di recente una vittoria importante dentro il Likud, con l’elezione a capo del comitato centrale dell’uomo da lui indicato, il ministro Tzaki Hanegbi. Le cose, però, si complicano quando l’istituto nazionale delle assicurazioni rende noti i dati sulla povertà in Israele, in forte aumento anche nel 2003. Ricomincia la battaglia sulla legge finanziaria, e soprattutto sulla politica economica thatcheriana perseguita dal ministro Benyamin Netanyahu. Il premier decide di rafforzare la sua coalizione, riprendendo i negoziati per allargare l’alleanza al partito ortodosso dello United Torah Judaism (Utj). Ma lo Shinui, il partito laico che è il più importante alleato di Sharon nel governo, minaccia di votare contro la finanziaria se non verrà tolta dal disegno di legge la sovvenzione di 290 milioni di shekel allo Utj. Una somma di tutto rispetto, equivalente a circa 65 milioni di dollari, che rischia di far perdere ai laici dello Shinui i consensi che hanno ottenuto nelle scorse elezioni, quando si sono battuti per tagliare i fondi al mondo ortodosso.
La risposta di Sharon non si fa attendere. Riprende i contatti con gli ultraortodossi sefarditi dello Shas per ottenere almeno la loro astensione sulla finanziaria, in votazione oggi. Minaccia di dimissionare i ministri ribelli dello Shinui, e di ricorrere in ultima istanza a elezioni anticipate. Un clima complicato si respira, insomma, tra la Knesset e le stanze del governo. Ma a rendere preoccupante la situazione sono anche i problemi interni al Labour, a cui Sharon ha reiterato la proposta di un governo di unità nazionale, ribaltando in tal modo la sua penultima posizione, di non chiedere più ai laburisti di entrare nella coalizione. Ieri la riunione del comitato centrale laburista - che avrebbe dovuto definire la data delle primarie - si è trasformata in una bagarre. Protagonista l’ex premier Ehud Barak, risceso in campo per sfidare Shimon Peres. I dirigenti laburisti non hanno potuto far altro che rinviare il voto al 12 dicembre. La situazione nel partito, dunque, è molto tesa. Anche riguardo al sostegno a Sharon, che invece ha bisogno di alleati per evitare quello che è successo domenica, quando sulle mozioni di sfiducia ha rischiato per l’ennesima volta di andare sotto il quorum richiesto.
A salvarlo, un singolare alleato, di nome Yossi Beilin. Sono stati i deputati del suo partito, lo Yahad, a salvarlo dalla sfiducia, grazie a un’astensione giustificata con la necessità di favorire il disimpegno da Gaza. Il premier ha dovuto dire grazie proprio a Beilin, che lui stesso e il suo governo avevano attaccato esattamente un anno fa, quando assieme al palestinese Yasser Abed Rabbo presentò il piano di pace di Ginevra.
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