Ali Rashid non si scusa e rilancia
in una lettera al direttore del Foglio
Testata:
Data: 01/12/2004
Pagina: 1
Autore: la redazione
Titolo: Ali Rashid non si scusa e rilancia
A pagina 4 IL FOGLIO di mercoledì 1-12-04 pubblica, con il titolo "Rashid spiega la sua posizione nel contrasto con Panella e Nirenstein", una lettera al direttore di Ali Rashid, che di seguito riportiamo:
Al direttore - Le sono grato per l’attenzione e le parole gentili espresse nei miei confronti che rammenterò. Mi rammarico per le delusioni causate che sarebbero da evitare anche tra persone che non condividono tutto. Mi auguro sinceramente di poter recuperare, perché deludere non è una questione politica ma spesso ha che fare con la qualità umana delle persone. Nel mio caso, come uomo modesto che fa del suo meglio per rappresentare un popolo con gravi problemi, sarebbe un imperdonabile errore. Apprezzo anche il profilo tenuto fino a oggi dal Foglio, nel caso specifico, giornale che comunque non sento mio, che non nasconde le sue simpatie ma che io non ho mai citato come fonte o parte di questa incresciosa polemica e mi auguro che non si consideri anche esso insieme alla dott.ssa Nirenstein e al dr. Panella parte involontariamente lesa, a tutti ribadisco che non era nelle mie intenzioni. Ho letto con molta attenzione l’editoriale di sabato 27 novembre sulla questione, anche le critiche mosse al mio comportamento e alle affermazioni da me pronunciate nei confronti del vostro collaboratore dr. Carlo Panella e della dott.ssa Fiamma Nirenstein; due giornalisti che trovano importanti spazi sui mezzi di informazione, in Italia e non solo, a dimostrazione di una vasta rete di rapporti professionali che non sarebbero possibili se fossero soltanto dei propagandisti. La mia denuncia nei loro confronti non riguarda la loro qualità umana, perché non li conosco, non riguarda cultura e professionalità in generale, ma un costante atteggiamento contro la Palestina al punto che vengono spesso chiamati a perorare la causa di Israele anche in importanti trasmissioni televisive e lo fanno con grande efficacia e determinazione. Nel caso della dott.ssa Nirenstein è un suo legittimo diritto, da persona o studiosa che ha dei legami con Israele, legami di appartenenza, simpatia o aderenze politiche e culturali, non sta a me, ma a lei deciderlo. Legami di cui in più occasioni, lei stessa e non io, ha spiegato la natura, a me sta soltanto il dovere di prenderne atto. Sono legami che non tolgono a lei il diritto di parola, anzi, lo rafforzano non in quanto giornalista, ma come persona informata ma di parte, esattamente come lo sono io che in più dovrei rappresentare la posizione ufficiale. Io quando parlo non posso ostentare le mie tesi come neutre presentandomi come giornalista. La ringrazio per avermi riconosciuto il diritto alle attenuanti, viste le condizioni "disastrose" nel quale si è svolto il dibattito, a poche ore della morte del presidente Arafat, con tutto il linciaggio subito duranti gli ultimi giorni della sua vita. In quella trasmissione il dr. Panella, da studioso e profondo conoscitore del medio oriente ha scelto ostinatamente di privilegiare un ritratto molto riduttivo a una figura complessa che, obbiettivamente e per onestà intellettuale, non può essere ridotta a un semplice terrorista o manovratore di terrorismo. Sappiamo tutti e in modo particolare il dr. Panella che le cose in medio oriente sono più intricate, e che a quello che può essere definito terrorismo, tutti hanno fatto ricorso, basta contare il numero dei civili innocenti morti e le circostanze per rendersi conto di un imbarbarimento da cui nessuno è immune, e chi non è direttamente coinvolto farebbe bene a osservare meglio. Quando il dr. Panella affronta le tematiche legate al conflitto, da giornalista non può limitarsi a mettere in risalto le vere o presunte responsabilità di una sola
parte non riconoscendo la tragedia subita da chi è stato sconfitto e ha meno strumenti per dire la propria opinione. Io conosco la storia di dolore e sofferenza del popolo ebraico, mi inchino di fronte a essa, ma non vorrei essere scambiato per responsabile di quella tragedia, come non vorrei continuare a essere vittima della rabbia, dolore permanente e insicurezza che essa alimenta, in nome del popolo della memoria nessuno può sentirsi legittimato a crederci incapaci di ricordare. Anch’io ho il mio dolore e non sto facendo un confronto, ma in buona parte siamo stati dispersi e quel poco che rimane corre lo stesso rischio, la maggiore parte del nostro paese è irreversibilmente persa e rischiamo di perdere ciò che ne rimane. Il nostro territorio è stato disseminato di colonie con l’obbiettivo dichiarato di annettere territori e rendere impossibile la creazione dello Stato palestinese. Intorno a Gerusalemme sono state costruite delle colonie ebraiche oggi abitate da duecentomila persone per modificare definitivamente il rapporto demografico della città. La scelta di abitare in questi posti può essere dovuta a motivi anche banali, per comodità o per ragioni economiche, ma chi si ritiene pacifista o sostiene una soluzione politica equa esita a farla, arrivare a dare il significato della istigazione alle mie parole mi sembra un’evidente forzatura, perché è cosa saputa, detta e scritta dalla stessa dott.ssa Nirenstein più di una volta. I palestinesi che incontra e di cui parla sanno chi è e dove abita e non considerano il semplice abitare in questi luoghi una macchia da lavare con il sangue. Per istigare, come sappiamo tutti, le cose vengono sussurrate nelle orecchie sbagliate e non in un dibattito radiofonico, dove, comunque io non ho rivelato nessun segreto. Io ho denunciato la leggerezza con cui viene trattato il nostro dolore, terra, storia e futuro che svaniscono nella colonizzazione, come vengono trattati i nostri simboli anche in punto di morte. La verità è che siamo coinvolti in un conflitto che ormai non conosce regole, ci siamo abituati alla normalità della guerra al punto che i nostri comportamenti non colgono più l’offesa che recano, e dove abitare in una colonia intorno a Gerusalemme diventa normalità che, chi lo fa, non esprime necessariamente il profondo significato politico e culturale che le colonie investono. Io non ho "rovesciato la frittata" ma il linciaggio nei miei confronti non è certo partito o minimamente passato per il suo giornale che ha saputo dimostrare equilibrio e autorevolezza ma, come è facile vedere, visitando il sito da cui è stato lanciato, ha assunto toni violenti e denigratori che nulla hanno a che fare con la polemica, se pur aspra, partita dalla trasmissione radiofonica a cui ci riferiamo. Io non sono un giornalista, ma un rappresentante in esilio di un popolo che da lunghi anni vive sotto un’occupazione feroce, è mio preciso dovere difendere e cercare di riportare su un piano di maggiore equità un’informazione che è troppo spesso schiacciata sulle ragioni di Israele, un tema e un impegno che non finiscono qui. Le frasi usate e fatte circolare sino a diventare, quasi in una perfetta trascrizione, interpellanza parlamentare, attribuendomi parole "finalizzate a esercitare pressioni e a suscitare timori nelle voci libere" e ancor più "atte a indicare dei nemici dell’islam", sono palesi forzature, che esprimono l’esatto contrario del mio modo di pensare e agire, evidente esagerazione per chiedere la mia espulsione, un grave precedente per alzare sempre di più il tiro contro la causa del nostro popolo e contro la sua dignità persino nella libera scelta dei propri rappresentanti. Non dico questo, gentile direttore per mera speculazione, o per ribaltare le tesi dell’avversario e convincermi di aver vinto, non so quale battaglia, mentre la miseria delle nostre condizioni aumenta, ma per riportare il confronto fuori da una logica di propaganda o di prepotenza e da tutti. Nelle tesi propagandistiche, tutti i contendenti, senza eccezioni, sono scivolati o spesso rischiano di farlo, non ho alcun peso o potere per poter esercitare la benché minima pressione su chicchessia, ma ho il dovere di difendere la volontà di vita del mio popolo non certo indicando nemici ma cercando interlocutori e compagni di strada. Non ho mai condiviso obbiettivi o pratiche di chi nella sua lotta contro l’imperialismo, intende sacrificare, fino all’ultimo uomo e donna, il popolo palestinese, non ho nemici da sterminare o guerre da fare o difendere. Il terrorismo è il peggiore nemico delle cause che pretende di difendere o dichiara di volere rappresentare. Spero di poter continuare a lavorare per ridare speranza in un futuro alla mia gente, per creare un’alternativa di vita alla morte feroce, continua e quotidiana, che schiaccia qualsiasi prospettiva di pace e riconciliazione. Siamo chiamati all’unica battaglia, a mio parere, nella quale ci rinnoviamo tutti partendo dalle primarie esigenze di eguaglianza, pace e felicità che ci accomunano e corrispondono al senso più alto della nostra appartenenza, a quella sfera intima e personale che lungi da me aver voluto mettere in discussione, recare
offese, o causare irreparabili inimicizie a nessuno.

Con il mio rispetto

Ali Rashid, primo segretario Delegazione Generale Palestinese in Italia
In questa lettera Rashid ribadisce di fatto le sue accuse, sostenendo che Carlo Panella e Fiamma Nirenstein non sono "soltanto" propagandisti (dunque per Rashid sono "anche" propagandisti), che Fiamma Nirenstein è una colona e che "legami di appartenenza, simpatia o aderenze politiche e culturali" "rafforzano il suo diritto di parola non in quanto giornalista, ma come persona informata ma di parte", alla stessa stregua di Rashid, che non può "ostentare le sue "tesi come neutre" presentandosi "come giornalista".
Il paragone tra Rashid, diplomatico palestinese, e una giornalista professionista, che ha le sue idee, le sue simpatie e adesioni politiche e culturali come qualsiasi altro giornalista professionista, è però di per sé una negazione del diritto di cittadinanza nei mezzi di informazione dei punti di vista di chi non condivide l'immagine di un conflitto mediorientale in cui Israele è l'aggressore e i palestinesi gli aggrediti. Tali punti di vista sono espressi legittimamente, sostiene Rashid, a patto che siano presentati come propri di una parte in causa e non di un osservatore obiettivo (in questo senso il diritto di parola di Fiamma Nirenstein non è, nella visione di Rashid "rafforzato", come lui ingannevolemente scrive, ma, semmai, condizionato e limitato) . Se questo criterio fosse seguito in modo imparziale, però, bisognerebbe considerare parte in causa nel conflitto mediorientale qualsiasi giornalista abbia un 'opinione in merito. A meno di non pensare che, come Rashid ha scritto sul MANIFESTO (vedi " In difesa dell'ambasciatore dell'odio", Informazione Corretta, 26-11-04) chi vede in Israele la parte aggredita non abbia, propriamente, un'opinione, ma una sorta di cieca passione fanatica, forse alimentata da imprecisati "legami di appartenenza, simpatia o aderenze politiche e culturali".
Sul MANIFESTO, d'altro canto, Rashid era stato più chiaro anche su un altro punto, definendo quelle su Fiamma Nirenstein e Carlo Panella "affermazioni che rivendico ancora, perché non sono frutto di caduta di stile in un momento d'ira di fronte ad una provocazione".
Non è chiaro allora perché, scrivendo al direttore del FOGLIO, Rashid lo ringrazi per avergli "riconosciuto il diritto alle attenuanti, viste le condizioni "disastrose" nel quale si è svolto il dibattito, a poche ore della morte del presidente Arafat, con tutto il linciaggio subito durante gli ultimi
giorni della sua vita": non si chiedono, o accettano, attenuanti per qualcosa di cui non ci si scusa, soprattutto se si riferiscono a circostanze che si nega si siano mai verificate. Ci sembra, insomma, che i motivi di "delusione" indicati dall'editoriale del FOGLIO di sabato 27 novembre non siano stati cancellati da questa abile lettera di Ali Rashid, volta, come lui stesso lascia intendere, ad evitare un "errore" e non a riparare il torto che non riconosce di aver commesso.

Di seguito pubblichiamo l'editoriale del FOGLIO 27-11-04, "Ali Rashid e la mobilitazione nevrotica":

Nessuno da queste parti ha linciato il diplomatico palestinese a Roma Ali Rashid, che è conosciuto anche da noi come persona affabile e doloroso testimone della tragedia del suo popolo, di cui mostra di conoscere ogni aspetto, anche quello concernente le responsabilità della sua classe dirigente.
Abbiamo pubblicato senza commenti, tra virgolette, il resoconto di una conversazione radiofonica, in cui il nostro collaboratore Carlo Panella veniva trattato come un pennivendolo di Israele, e una lettera composta e amara di Fiamma Nirenstein accusata da Rashid di essere una colona israeliana
e qualificata così della più sprezzante inimicizia possibile. Per la stima che portiamo al diplomatico e per la considerazione delle condizioni in cui lavora, oltre che per la circostanza emozionalmente disastrosa della conversazione,
cioè le ore successive alla morte di Yasser Arafat, ci siamo limitati a segnalare la cosa, sperando in una sua lettera di scuse che avrebbe chiuso il caso. Il caso d’altra parte c’è, perché siamo in un paese in cui i giornalisti parteggiano abbastanza regolarmente contro Israele, parecchi di loro approntano un’informazione grottesca sul medio oriente, e una delegazione dell’emittente di Stato arrivò fino al punto di scusarsi con le autorità palestinesi per aver mandato in onda le immagini del linciaggio (quello vero) di un paio di riservisti israeliani a Ramallah. La richiesta di espulsione di Rashid, firmata da una deputata di Forza Italia, ci sembra una inutile esagerazione. Ma il diplomatico palestinese sta diventando oggetto di una spudorata campagna vittimistica, alla quale non capiamo perché abbia deciso di accodarsi, che rovescia la frittata. Le persone offese da Rashid, e offese in modo grave in circostanze in cui essere additati come servitori di Israele può costare l’attenzione di qualche imbecille o di qualche fanatico, avevano il pieno diritto di lamentare un trattamento così ingiusto intellettualmente, così cattivo umanamente e così poco diplomatico. Abbiamo semplicemente aspettato che il caso si risolvesse come era prevedibile dato lo stile di Rashid, con una sua lettera di scuse e di spiegazioni. E’ in atto invece una sordida "mobilitazione democratica" che passa con le sue scarpe chiodate sulla libertà di parola e di opinione di due giornalisti che studiano i problemi, rischiano in proprio, non arrivano tardi ai funerali di Arafat, raccontano quel che vedono e commentano liberamente la storia e l’esistenza della tragedia di Israele e dei palestinesi. Ali Rashid ci ha già dato una delusione cocente usando quelle parole sprezzanti per persone che non le meritano, ce ne sta dando un’altra facendosi fare prigioniero da quella masnada di filibustieri che nascondono dietro la causa palestinese la mobilitazione sempre eguale delle loro nevrosi ideologiche.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.
lettere@ilfoglio.it