La "resistenza" palestinese deve continuare
anche se i palestinesi otterrebbero subito uno stato se ripudiassero il terrorismo
Testata: Il Manifesto
Data: 01/12/2004
Pagina: 10
Autore: Michele Giorgio - Manlio Dinucci
Titolo: Elezioni: scende in campo Mustafa Barghuti - Un memorandum per la guerra - Le industrie della guerra e della repressione
Intervista di Michele Giorgio a Mustafa Barghuti, che si candiderà alle elezioni presidenziali palestinesi, sul MANIFESTO di mercoledì 1-12- 04. "Proprio nel momento in cui Barghuti annunciava le sue intenzioni" di candidarsi, scrive Giorgio introducendo l'intervista "il quotidiano Haaretz ha riferito che circa 400 kmq della Cisgiordania, ossia l'8% della superficie totale, si troveranno dalla parte d'Israele dopo il completamento della prima parte del muro". In passato, il quotidiano comunista ha spesso riportato cifre infondate secondo le quali la barriera difensiva avrebbe infine inglobato il 50% e oltre della Cisgiordania.
Non si trova ora nessun riferimento a quelle cifre, nessuna spiegazione del perché il quotidiano abbia fornito ai suoi lettori informazioni così distorte, nessuna scusa.

Giorgio lamenta, nella domanda finale, che Abu Mazen chieda "la fine non solo degli attentati in Israele ma di qualsiasi atto di resistenza anche nei Territori occupati".
Poiché i gruppi terroristici palestinesi non hanno quasi mai scelto di attaccare l'esercito israeliano tra gli "atti di resistenza" cui Giorgio si riferisce devono essere incluse le atrocità contro i civili israeliani che risiedono negli insediamenti.
Tocca comunque a Barghuti ricordare a Giorgio che la "lotta armata" non sta "producendo risultati" apprezzabili per i palestinesi, una circostanza evidente da tempo, se ci si riferisce alle aspirazioni nazionali e umane di quel popolo, e non al potere della cricca che lo governa. Una circostanza, inoltre, che da tempo avrebbe dovuto indurre i sedicenti "amici" dei palestinesi a chiedere la fine di ogni violenza, almeno nell'interesse dgli stessi palestinesi.

Ecco l'articolo:

E'Mustafa Barghuti, leader di «Iniziativa democratica» ed esponente di primo piano della società civile palestinese, l'avversario più accredidato di Abu Mazen, il leader dell'Olp e candidato di Al-Fatah alle elezioni del 9 maggio per la carica di presidente dell'Anp al posto di Yasser Arafat deceduto l'11 novembre. Barghuti, 51 anni, medico (laureato a Mosca), presidente dell'Ong «Medical Relief» che garantisce assistenza sanitaria a decine di centri abitati in Cisgiordania e Gaza, ha ufficializzato la sua candidatura due giorni fa. Le sue speranze di vincere sono scarse se si tiene conto della macchina elettorale di Al-Fatah su cui potrà contare Abu Mazen, ma l'esponente palestinese che ha guidato negli ultimi mesi molte battaglie contro la costruzione del muro israeliano in Cisgiordania, potrebbe comunque diventare il punto di riferimento per la parte più progressista della società palestinese. A sostenerlo è anche lo stimato ex negoziatore capo Heider Abdel Shafi. Proprio nel momento in cui Barghuti annunciava le sue intenzioni, il quotidiano Haaretz ha riferito che circa 400 kmq della Cisgiordania, ossia l'8% della superficie totale, si troveranno dalla parte d'Israele dopo il completamento della prima parte del muro. Abbiamo intervistato Mustafa Barghuti poco dopo l'annuncio ufficiale della sua candidatura

Dottor Barghuti, la stampa israeliana ha scritto che il governo del premier Ariel Sharon è intenzionato ad annettersi una porzione minore di Cisgiordania e a rivedere il percorso del muro dopo l'intervento della Corte Suprema...

Non basta. Israele in questo caso deve rispettare non le decisioni dei suoi giudici ma la legge internazionale. Deve tenere conto una volta e per sempre della sentenza della Corte di Giustizia dell'Aja che ha affermato la completa illegalità del muro dell'apartheid. In ogni caso se davvero verrà ridotto il progetto (del muro) significherà che le battaglie internazionali stanno avendo successo e i palestinesi dovranno insistere con la loro lotta per l'applicazione del diritto in questa terra.

Veniamo alle elezioni del 9 gennaio. Lei ha annunciato la sua candidatura e ha anche espresso ottimismo sulle sue possibilità di vittoria. Molti invece pensano che Abu Mazen diventerà senza ombra di dubbio il nuovo presidente dell'Anp...

Non credo. Certo Abu Mazen parte in vantaggio, ha dalla sua parte Al-Fatah e l'intera Anp. Eppure il voto rimane incerto. I sondaggi più sfavorevoli mi danno indietro di 13 punti ma altri che verranno pubblicati nei prossimi giorni riducono il mio svantaggio ad una lieve differenza.

Chi sono i suoi elettori. Tanti la stimano per la sue battaglie politiche ma, allo stesso tempo, non pochi la considerano un esponente di una élite di palestinesi.

Non è vero, in questi anni con il mio lavoro nelle aree più emarginate dei Territori occupati ho conquistato la fiducia della gente semplice, dei palestinesi senza diritti ed averi, persone che credono nel cambiamento, in una vita migliore, senza occupazione israeliana e allo stesso tempo nel rispetto della democrazia e della libertà. Anche per questa ragione credo di avere delle possibilità di vincere le elezioni, perché la maggioranza dei palestinesi non ha ancora deciso per chi votare e potrebbe scegliere la mia linea «senza se e senza ma», che dice come stanno le cose e come dovrebbero andare nei confronti di Israele e all'interno della nostra società.

Adesso anche Abu Mazen, proprio come lei, parla di diritto al ritorno dei profughi, di continuità con la visione di Yasser Arafat. Perché i palestinesi dovrebbe votare per Mustafa Barghuti e non per lui?

Perché io non faccio proclami elettorali. I diritti dei nostri profughi io li difendo da sempre. La gente sa bene che quando parlo di lotta al muro, all'occupazione, di riformare le istituzioni e di democrazia, non lo faccio per catturare voti ma perché credo davvero in tutto ciò.

Parliamo dell'Intifada. Abu Mazen vuole fermarla, chiede la fine non solo degli attentati in Israele ma di qualsiasi atto di resistenza anche nei Territori occupati. Lei invece cosa ne pensa?

Credo invece che dobbiamo continuare ad opporci all'occupazione israeliana, alla costruzione del muro, alla confisca delle terre, agli assassinii mirati (di dirigenti palestinesi, ndr), alla demolizione delle case. Non dobbiamo fermarci ma invece proseguire in modo pacifico, riportando in strada migliaia di persone, mobilitando la nostra società come nel periodo della prima Intifada (1987-93). E' un nostro diritto usare anche le armi per combattere l'occupazione straniera, lo sanciscono le Convenzioni internazionali, ma la lotta armata in concreto non sta producendo risultati ed ha offerto il pretesto a Sharon di colpirci con estrema durezza.
Un articolo di Manlio Dinucci su un accordo di cooperazione militare tra Italia e Israele, sempre a pagina 10, è intitolato "Un memorandum per la guerra". Israele, nella sua storia, si è sempre soltanto difeso dagli eserciti arabi o dal terrorismo ma per IL MANIFESTO la collaborazione militare con questo stato promuove la "guerra". Anzi, come recita il sottotitolo "apre la strada alla partecipazione del nostro paese alle "guerre sporche", anche nucleari, del governo Sharon. A noi non risulta che il governo Sharon sia impegnato in "guerre nucleari", ma forse i redattori del quotidiano comunista vivono in un mondo parallelo.

Sempre di Manlio Dinucci è l'articolo "Le industrie della guerra e della repressione". Vi si legge che:

Un altra clausola centrale nella nuova intesa riguarda una non meglio precisata «collaborazione nel combattere il terrorismo». Visto che Israele considera «terrorismo» qualsiasi forma di resistenza palestinese e libanese, con l'approvazione del memorandum il nostro paese entrerebbe in guerra con l'intera galassia dei movimenti palestinesi, libanesi e arabi che cercano di liberare le loro terre dall'occupazione e dai diktat israeliani. La collaborazione tra gli apparati militari e industriali di Italia, Israele e Stati uniti, farebbe parte di un più vasto piano dell'Amministrazione Bush che intenderebbe, da una parte usare questo nuovo asse per bloccare qualsiasi coinvolgimento dell'Europa in quanto tale in una eventuale ripresa delle trattative in Medioriente e in secondo luogo vorrebbe vedere un coinvolgimento dell'Italia, accanto alla Gran Bretagna, nelle operazioni di intelligence nei territori occupati palestinesi al fine di creare milizie collaborazioniste locali.
I terroristi di Hamas, delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa, di Hezbollah dunque, per IL MANIFESTO, "cercano di liberare le loro terre dall'occupazione e dai diktat israeliani", scegliendo come "forma di resistenza", ci permettiamo di ricordarlo, la strage deliberata dei civili israeliani. Se i servizi di sicurezza palestinesi cercassero di fermare queste attività, inoltre, diverrebbero "milizie collaborazioniste". Ogni ulteriore commento a simili parole, di cristallina chiarezza, ci sembra superfluo.

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