La vitalità di Israele
recensione di un libro di Stefano Jesurum
Testata: Corriere della Sera
Data: 29/11/2004
Pagina: 27
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: Laico, ricco e yuppie: l'altro volto d'Israele
A pagina 27 del CORRIERE DELLA SERA di lunedì, 29-11-04, Lorenzo Cremonesi recensisce il libro di Stefano Jesurum "Israele nonostante tutto".
Il titolo dell'articolo potrebbe, per alcuni, colorare negativamente il successo della società israeliana nel mantenere la propria forza e la propria vitalità anche di fronte all'offensiva terroristica. All'Israele "ricco e yuppie" qualcuno potrebbe contrapporre la Palestina "povera e sofferente" e, per questo, maggiormante meritevole di "solidarietà".
In realtà gli effetti, anche economici, della guerra e del terrore hanno profondamente colpito Israele. Che, però, ha saputo reagire, grazie alle risorse di un paese libero e di una cultura che ama la vita.

Ecco l'articolo:

Trascorrere Shabbat sul terrazzino del residence a Herzlìya Pitu'ah. Tra palazzoni tutti vetrate, marmi importati da Carrara, gente che va alla spiaggia ad abbronzarsi, odore di mare misto a fritti di pesce. E per giunta ascoltando dalle cuffie del walkman un motivo di Rino Gaetano. Quello che fa più o meno: «Chi ama la zia, chi va a Porta Pia, chi trova scontato, chi ha crisi interiori, chi scava nei cuori, chi legge la mano, chi regna sovrano... ma il cielo è sempre più blu».
Qualche anno fa lo Stefano Jesurum «prima maniera» avrebbe quasi senz'altro scelto di raccontarci il giorno settimanale del riposo ebraico tra i religiosi integralisti nel quartiere ultra-ortodosso di Mea Shearim a Gerusalemme, oppure indugiato nel descrivere i «pionieri-contadini» intenti a scegliere un libro nella biblioteca collettiva del loro kibbutz sulle colline di Galilea.
Invece resta a poltrire. Ha da digerire un mese e mezzo di viaggio non stop. Ma non per molto. Giornalista, scrittore, milanese, ebreo, militante della sinistra italiana ancora profondamente (e dolorosamente) segnato dalle polemiche contro Israele negli anni Settanta, Jesurum non sa darsi pace. Perché di questa terra è innamorato di una passione «che non svanisce», come per una donna «messa prima sul piedistallo e poi tradita, persa e riconquistata, disprezzata e poi ancora una volta amata». Si è pentito di aver sottoscritto l'appello lanciato da Primo Levi contro l'invasione del Libano nel 1982. Condanna gli estremismi ideologici di allora, li paragona agli «imbecilli» che oggi vanno ai cortei travestiti da kamikaze di Hamas. Non gli basta di godersi il sole nel pomeriggio indolente dello Shabbat. «Forse chi vive qui è pazzo. Le sirene, i blindati, le perquisizioni, le canzoni, le bombe, le tombe, l'amore, il terrore», si ripete in testa.
Così parte, in auto, solo. Direzione Ramat Aviv, il cuore laico e superbenestante del Paese. Ci vivono gli yuppies di Tel Aviv. Nelle vicinanze da cinque anni ha aperto una rivendita dell'Ikea. La stampa locale l'ha descritta come «la sinagoga dei giorni di festa per chi vuole arredare la casa in legno, all'europea o stile east coast americano, e ha poco tempo durante la settimana». Ci sanno fare i proprietari. Nello stesso edificio hanno aperto ristoranti, cinema, bar, asili-nido ben attrezzati dove «parcheggiare» i figli mentre si fanno compere. Lui lo descrive in rima, con lo stesso ritmo leggero e scanzonato di Rino Gaetano: «Negozi aperti anche il sabato, molto verde, grosse costruzioni, da queste parti avere l'attico è il massimo, diplomatici e arricchiti, tate che portano a spasso i bambini, signore tinte di biondo, locali alla milanese, arcades falso londinese, aria di Occidente, fanno finta di niente». Un mondo poco conosciuto tra il pubblico italiano, che dall'estero pensa che Israele sia solo autobomba, paura, terrorismo, rabbia palestinese e cose del genere. Lo stesso che Jesurum incontra a Rechov Shenkin, la strada di Tel Aviv che una volta era la patria della classe dirigente laburista, lentamente conquistata dalla destra del Likud e oggi semplicemente trasformata in quartiere postmoderno, con erboristerie locali, «centri per massaggi di ogni genere» purché vagamente orientaleggianti, negozi di orpelli da regalo assolutamente superflui, inutili.
Il viaggio di Jesurum avviene nell'ottobre-novembre 2003. Un tuffo tra situazioni e personaggi che ricorda nell'incedere quello di Amos Oz. Lo scrittore israeliano che nel 1983 con una successione di reportage minimalisti, ma molto efficaci, tratteggiò l'affresco accurato del Paese lacerato dalle polemiche dopo l'invasione del Libano.
Anche Jesurum si traveste da viandante occasionale. Con un paio di scrittori arabi-israeliani mette a fuoco le ambiguità della loro condizione di minoranza tra un popolo che non ha ancora accettato l'idea di essere davvero maggioranza. Con Daniela Abravanèl, mistica, erudita di cultura cabalistica, italiana cittadina del mondo, «metà zingara, metà indiana», discendente di Isaàk Judà Abravanèl (1437-1508, «uomo di Stato, filosofo, commentatore e Maestro»), mette in luce le inquietudini delle nuove forme di religiosità.
Tutto apparentemente molto casual, leggibile, quasi scanzonato. Ma è la facilità che viene dalla conoscenza. Perché Jesurum in Israele c'è stato innumerevoli volte, sin da ragazzino quando ci andava con i gruppi dell'Hashomer Hatzair, l'organizzazione giovanile della sinistra sionista. Le prove? Per esempio un'osservazione immediata, per cui sino a una quindicina di anni fa praticamente non si vedevano cani per la strada. Quando chiedevi una spiegazione ti rispondevano che non avevano tempo, c'era altro più importante a cui pensare. Oggi invece ci sono un mucchio di cani, «grandi, piccoli, di razza, meticci».
Ancora a Shenkin, conosce coppie anziane di «raffinati omosessuali», i quali a loro volta gli indicano dove trovare il sottobosco gay più interessante. Quello dei circa 500 omosessuali palestinesi sfuggiti alla società intollerante della Cisgiordania (dalla striscia di Gaza è praticamente impossibile uscire) e immigrati illegalmente qui, dove si sono trovati partner ebrei. Ma sempre attanagliati dalla paura di essere scoperti dalla polizia, riportati nei loro villaggi e assassinati dai padri, fratelli o cugini per aver gettato la famiglia nella vergogna. In nome dell'onore e della morale islamica.

Il libro di Stefano Jesurum, «Israele nono stante tutto», è edito da Longanesi, pagine 200, e 14,50
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