Il sospetto su Israele è l'anticamera della verità?
no, solo del ridicolo
Testata: La Repubblica
Data: 23/11/2004
Pagina: 9
Autore: Alberto Stabile
Titolo: I palestinesi di Gerusalemme voteranno
(a cura della redazione di Informazione Corretta)

Israele accetta che i palestinesi di Gerusalemme Est votino alle prossime elezioni presidenziali dell'Anp. Il passo, doveroso e indispensabile finché non era stato compiuto, diventa improvvisamente ben poca cosa per Alberto Stabile. Israele promette che non ostacolerà le elezioni palestinesi, accetta di discutere le richieste dell'Anp in colloqui bilaterali, non rinuncia, d'altro canto all'autodifesa dal terrorismo. I palestinesi pretenderebbero un ritiro immediato e senza discussione.
Stabile non dà la notizia della disponibilità ai colloqui, non fa cenno al terrorismo, e concede tutto lo spazio alle rimostranze palestinesi.
Suggerendo infine, senza nessuna base fattuale, che Israele stia solo aspettando l'arrivo di Condoleeza Rice al Dipartimento di Stato per lasciar cadere le richieste del dimissionario Colin Powel.
Se questa è informazione...

Ecco l'articolo, "I palestinesi di Gerusalemme voteranno", da pagina 9 di REPUBBLICA di martedì 23-11-04

GERICO - Colin Powell ha ottenuto da Israele l´impegno a coordinare con i palestinesi le misure necessarie perché le elezioni del 9 gennaio siano libere e corrette, ma l´assicurazione ottenuta dal segretario di Stato americano non soddisfa i palestinesi che si aspettavano fatti, date. Hanno ottenuto soltanto la promessa che i 220.000 palestinesi residenti a Gerusalemme est, occupata nel 1967, potranno votare alle presidenziali per posta come avvenne nel 1996. Non è molto per una visita che avrebbe dovuto segnare il cambio di marcia dell´Amministrazione Bush, dopo che Arafat, l´uomo indicato come il principale ostacolo alla ripresa del negoziato, è morto. Ieri sera al Fatah, il gruppo più importante all´interno dell´Olp, ha ribadito che il candidato alla successione di Arafat è Abu Mazen.
Le premesse della vigilia erano ben diverse. Si respirava l´atmosfera dei momenti cruciali, ieri, a Gerico. L´antica cittadina sulle rive del Mar Morto tornava per un giorno al centro dell´attenzione, dopo anni di oblio. Chissà se il Segretario di Stato dimissionario, nella sua veloce apparizione, che comunque interrompeva un gelo durato 18 mesi, ha avuto modo di notare lo stato miserevole in cui sono ridotte le strade, le fermate degli autobus divelte, le fogne a cielo aperto. La scenografia della visita imponeva a Powell, dopo l´incontro con i dirigenti palestinesi, un appuntamento simbolico: la puntata in uno degli uffici di registrazione elettorale, a significare l´interesse americano verso le consultazioni del 9 gennaio. Il tutto è stato sbrigato in un paio d´ore. Ora non c´è dubbio che Bush desidera fortemente che, una volta rimosso l´ostacolo, le parti colgano quella che viene definita «la finestra di opportunità» che si è aperta con la morte di Arafat. Gli Stati Uniti sono persino disposti ad aiutare economicamente l´Anp nello sforzo teso ad organizzare le elezioni presidenziali. Si parla di portare al vertice dei paesi donatori (Oslo, 7-8 dicembre) un pacchetto di aiuti pari a 20 milioni di dollari, lo stesso accordato un anno e mezzo fa quando si prospettò la nomina di Abu Mazen a capo del governo.
Anche Sharon è interessato al fatto che la nuova leadership di Ramallah, o, almeno, il nuovo presidente dell´Anp riceva un´investitura popolare. Dopo avere per anni definito Arafat un non-partner, al punto di elaborare una serie di mosse unilaterali (il muro di separazione, il ritiro da Gaza) come potrebbe adesso Sharon fingere che non è successo niente? Ma quanta fiducia è disposta ad accordare il governo israeliano agli eredi di Abu Ammar?
I palestinesi avevano chiesto che Israele ritirasse le sue truppe dai Territori un mese prima del 9 gennaio. L´impressione è, invece, che ci si voglia muovere passo dopo passo, per testare la volontà di cambiamento della nuova dirigenza di Ramallah. «Faremo di tutto per rimuovere gli ostacoli che i palestinesi possono incontrare nella preparazione delle loro elezioni», ha promesso, vago, il ministro degli Esteri israeliano, Silvan Shalom al Segretario di Stato americano. «Non crediamo a queste dichiarazioni israeliane», ha tagliato corto l´esponente palestinese Abed Rabbo. Dice il premier Abu Ala: «Ho chiesto a Powell se il ritiro da Gaza va interpretato come un mezzo per ignorare la Road Map, o non va invece visto nell´ambito della Road Map. Ho sollevato il problema dei prigionieri politici, incluso Marwan Barghuti. Il Segretario di Stato ha preso nota». Forse in attesa che al suo posto arrivi Condoleeza Rice.
Sempre a pagina 9, Stabile si occupa delle illazioni sulla morte di Arafat. L'articolo ha un titolo da antologia, che ne rispecchia il contenuto dietrologico: "Svelato il referto medico di Arafat: «Nessun veleno conosciuto»".
Su questo modello si potrebbe inventare un genere letterario, di cui proponiamo subito alcuni esempi: "Uragano in Florida: nessun giornalista di Repubblica avvistato in loco", "Terremoto in Giappone: nessuna fotografia di Alberto Stabile che si aggira con fare sospetto nell'epicentro", "Estinzione dei dinosauri: nessuna tecnologia nota può aver trasportato Ezio Mauro indietro nel tempo, fino agli istanti che hanno preceduto l'evento" , "Omicidio di Cesare: le fonti non attestano la presenza di Eugenio Scalfari tra i congiurati".

Ecco il testo dell'articolo, di cui segnaliamo la prima frase, a proposito della quale occorre ricordare che il Mossad non è, stando ai fatti noti, "sullo sfondo" della morte di Arafat. Dire che tale morte è ancora misteriosa perchè "sullo sfondo" c'è il Mossad è dunque, da un punto di vista logico, un circolo vizioso.

GERICO - Non ci fosse sullo sfondo il Mossad, che la leggenda vuole per definizione capace di tutto, Yasser Arafat sarebbe morto della morte non sempre chiara di cui muoiono ogni giorno migliaia di vecchi. Invece, anche dopo che la cartella clinica redatta dai medici di Percy è stata consegnata nelle mani di un nipote di Abu Ammar, il diplomatico Nasser al Kidwa, oltre che in quelle della vedova, Suha Tawill Arafat, la fine del Rais ha subito un altro avvitamento in direzione del mistero. «Esami tossicologici sono stati eseguiti - ha dichiarato al Kidwa, che è il rappresentante dell´Autorità palestinese alle Nazioni Unite - e nessun veleno conosciuto dai medici è stato scoperto».
La chiave del mistero, per così dire, si nasconde in quelle tre parole, «nessun veleno conosciuto», che spingono la curiosità di chi le ascolta sull´orlo del baratro oscuro di ciò che non è noto, ma non per questo si può, si deve escludere che esista.
In maniera a suo modo coerente con questa premessa, il nipote di Arafat continua: «Non abbiamo la prova che ci sia stato avvelenamento, ma non abbiamo neanche la prova definitiva che non ci sia stato». E se un giornalista insiste, al Kidwa dà un altro giro alla vite: «La possibilità che sia stato avvelenato non può essere esclusa».
Nessun chiarimento, dunque, arriva dalla relazione redatta dai medici parigini, un referto che si compone di ben 558 pagine. I quali, a quanto pare, non hanno potuto formulare una chiara diagnosi sul malanno che ha assalito il Rais dei palestinesi. Per al Kidwa, comunque, «le autorità israeliane sono largamente responsabili di ciò che è successo», almeno per quanto riguarda la segregazione imposta ad Arafat, «per tre anni e in pessime condizioni», alla Muqata.
I cultori della dietrologia che nella piazza palestinese abbondano, non fosse altro che per una sorta di sacro terrore nei confronti dei servizi segreti israeliani, si sentiranno confortati nei loro sospetti dalle parole del nipote. Quando mai, in un giallo che si rispetti, la soluzione arriva da un certificato medico, specie se la voglia di mistero che circonda la vittima è più forte di qualsiasi prudenziale valutazione scientifica?
Al tempo stesso, la missione del diplomatico palestinese a Parigi rappresenta un autogol per i dirigenti di Ramallah che lo hanno inviato nella capitale francese con il compito di ottenere il referto, lui che, essendo figlio di una sorella di Arafat, aveva diritto ad ottenerne copia. L´altra persona a vantare un titolo analogo, se non più forte, era Suha. Ma Suha, avuta la relazione s´è guardata bene dal renderla pubblica, anche per tenere sulla corda i successori probabili del marito, con i quali è in guerra da anni.
L´ipotesi dell´avvelenamento, circolata sin da quando Arafat s´è improvvisamente aggravato, e rilanciata dal suo medico personale, il giordano al Kurdy, ipotesi che Israele ha decisamente smentito, implica, infatti, che nello stretto entourage d´Abu Ammar vi sia stato un traditore, un "collaboratore" che gli avrebbe iniettato il misterioso veleno. Escludere quest´ipotesi avrebbe significato liberare il gruppo dirigente di Ramallah dall´ombra del sospetto.
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