Israele sabota le elezioni palestinesi?
no, è il quotidiano comunista che vorrebbe il fallimento del dialogo
Testata: Il Manifesto
Data: 23/11/2004
Pagina: 6
Autore: Michele Giorgio
Titolo: Un pugno di mosche per la colomba Powell
Michele Giorgio non crede che Israele abbia realmente intenzione di favorire le elezioni palestinesi previste per il 9 gennaio. Il fatto che abbia accettato il voto degli abitanti di Gerusalemme Est non è un segnale di disponibilità, perché Sharon era "obbligato" (da chi? e poi: Israele non era lo stato che può permettersi di fare "quello che vuole"?) a farlo.
Ritirandosi da Gaza, e smantellando alcuni insediamenti da una parte della Cisgiordania come sempre dimenticata da Giorgio, Israele non ottempererà alla sua parte degli obblighi imposti dalla risoluzione 242 dell'Onu, che, nella sua versione originale in inglese, chiede il ritiro "da" territori conquistati da Israele e non "dai" territori. Degli obblighi della controparte, che dovrebbe garantire la pace e la sicurezza di Israele, ovviamente Giorgio non fa cenno, come non fa cenno al fatto che le truppe israeliane sono nelle città palestinesi per sventare (con successo) attentati terroristici cui i diversi gruppi palestinesi ancora non hanno rinunciato.

Lo squilibrio evidente di Giorgio ha tuttavia il pregio della mancanza di ipocrisia. In due passaggi infatti, l'articolo rivela cosa stia veramente a cuore al cronista del MANIFESTO: Al Fatah, con l'assenso dell'oltranzista Kaddumi e per bocca di Intissar Al-Wazir vedova di Abu Jihad, capo terrorista e organizzatore della prima intifada, dichiara che il suo candidato alle elezioni presidenziali è Abu Mazen e Giorgio dichiara che "è tramontata l'ipotesi Mandela", cioè la ventilata liberazione e candidatura di Marwan Barghuti. Bush garantisce aiuti all'Anp per 20 milioni di dollari e Giorgio, che ha definito poche righe prima "una favola" il riavvicinamento tra palestinesi e Stati Uniti, commenta ironicamente: "Cosa non si farebbe pur di sostenere Abu Mazen ora che Arafat non c'è più".
Tirando le somme: a Giorgio la leadership di Abu Mazen proprio non va giù.
Si dà il caso che l'unico indirizzo politico nuovo che l'ex premier vuole dare ai palestinesi è la fine del terrorismo.

Ecco l'articolo:

Mahmud Abbas, meglio noto come Abu Mazen, è il candidato di Al-Fatah per la presidenza dell'Anp. Lo ha deciso il Comitato centrale del movimento politico e ad annunciarlo è stata una rappresentante storica, Umm Jihad, ovvero il ministro Intissar Al-Wazir. Si sono così chiuse le polemiche esplose ai vertici di Al-Fatah dove la nuova generazione è stata tenuta ai margini del processo decisionale. Dalla parte di Abu Mazen si è schierato anche il suo rivale, il neo segretario generale Faruk Qaddumi. È così caduta definitivamente anche la cosiddetta «opzione Mandela», ossia la possibilità di candidare a presidente il segretario di Al-Fatah in Cisgiordania Marwan Barghuti, indicato da tutti i soldaggi come l'esponente palestinese più popolare. La candidatura di Abu Mazen è giunta al termine di una giornata che ha visto il ritorno in Israele e nei Territori occupati del Segretario di stato Usa Colin Powell intenzionato proprio a manifestare il sostegno dell'Amministrazione Bush alla «nuova» leadership palestinese di Abu Mazen, 69 anni, e Abu Ala, 67 anni. Decisamente meno incisivo è stato l'impegno di Powell su altri punti decisivi. I palestinesi infatti andranno alle urne con i reparti israeliani schierati alla periferia delle loro città. Powell infatti non è riuscito (e forse non ha neppure provato) a convincere il premier israeliano Ariel Sharon a precisare tempi e modi del ritiro delle forze di occupazione dai centri abitati palestinesi. Il primo ministro e il ministro degli esteri Silvan Shalom hanno solo promesso che Israele non interferirà nella campagna elettorale e nelle operazioni di voto. Ma i carri armati cosa faranno? Molti già si domandano come sarà votare a ridosso del muro che il governo israeliano sta facendo innalzare in Cisgiordania. Al momento Sharon ha «concesso» solo il voto agli abitanti palestinesi di Gerusalemme est, la parte della città occupata da Israele nel 1967. Non poteva negarlo poiché già nelle elezioni del 1996 Israele aveva consentito l'apertura di seggi elettorali nella zona araba. Dietro le quinte della favola del nuovo amore tra Anp e Amministrazione americana germogliato ieri a Gerico ad appena dieci giorni dalla morte dell'orco cattivo Arafat, i palestinesi in realtà non sono entusiasti. La visita di Powell, troppo simbolica (il Segretario di stato ha addirittura tenuto la sua conferenza stampa nella sede della Commissione elettorale locale), non ha portato risultati concreti.
Abu Mazen, Abu Ala, il ministro degli esteri Nabil Shaath e quello per i negoziati Saeb Erekat, hanno presentato un documento con vari punti: fine delle mosse unilaterali di Israele sul terreno; ritiro da Gaza solo all'interno della «Road Map», liberazione dei prigionieri incluso il segretario di Al-Fatah Marwan Barghuti, richiesta di aiuto economico. Powell ha detto che presenterà questi problemi alle parti coinvolte niente di più. Solo sull'aiuto da 20 milioni di dollari già promesso da Bush ai palestinesi è stato più esplicito. Cosa non si farebbe pur di sostenere Abu Mazen ora che Arafat non c'è più.
Intanto proprio la stampa israeliana ha rivelato che mentre si enfatizza «il processo elettorale» in corso nei Territori (sempre) occupati, dietro le quinte della diplomazia ufficiale si svolgono giochi di grande importanza. Un articolo di Aluf Benn riportato ieri dal sito internet del quotidiano Haaretz ha riferito che Israele, con il sostegno Usa, ha avviato contatti alle Nazioni unite, per definire lo status legale di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est. Il governo Sharon è alla ricerca di una «formula creativa» che faccia fruttare al massimo in termini diplomatici l'evacuazione delle colonie ebraiche dal minuscolo territorio di Gaza. Dovrà essere inteso come «un passo verso la fine della occupazione»? Washington, secondo Aluf Benn, vedrebbe nel «ritiro unilaterale» pianificato da Sharon l'attuazione della risoluzione 242 dell'Onu.
In sostanza Israele lasciando Gaza non sarebbe tenuto a fare altrettanto dalla Cisgiordania che pure è parte dei Territori occupati. Israele, conclude il giornalista, in ogni caso parla di ritiro ma intende conservare il controllo della frontiera di Rafah, limitando così il movimenti dei palestinesi da e verso l'Egitto. Intanto se Al-Fatah ha deciso il suo candidato, le altre forze politiche palestinesi sono ancora senza nomi. La sinistra - Fronte popolare, Fronte democratico, Partito del popolo (ex comunisti) Fida e Fronte di lotta popolare - intendevano farsi rappresentare dallo stimatissimo esponente di Gaza Heider Abdel Shafi che invece ha respinto l'invito e ieri si è pronunciato a favore del leader di «Iniziativa democratica» Mustafa Barghuti che un sondaggio svolto dalla Università di Nablus dava al secondo posto, con quasi il 10%, nelle preferenze dei palestinesi.
Intanto ieri il capo del Fronte popolare Ahmed Saadat ha incontrato a Gerico, nella prigione in cui è detenuto, Abu Mazen e Abu Ala. I due hanno discusso con Saadat delle elezioni presidenziali che l'Fplp chiede siano abbinate a quelle per il rinnovo del Consiglio legislativo palestinese. Saadat è dal maggio del 2002 in stato di detenzione a Gerico assieme ad altri cinque membri della sua organizzazione, sotto controllo congiunto americano e britannico, in seguito a un'intesa con Israele. Nel frattempo passano inosservate le morti palestinesi. Tra domenica e lunedì sono stati uccisi da un'unità speciale dell'esercito israeliano tre militanti dell'Intifada a Betunya (Ramallah). Un quarto palestinese è stato ammazzato nei pressi di Nablus.
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