Eufemismi, opinioni molto variabili, interviste acritiche
u.d.g. non convince ancora
Testata:
Data: 22/11/2004
Pagina: 15
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Abu Mazen tenta di strappare il sì di Fatah - Israele si ritiri per consentire le elezioni palestinesi
A pagina 15 L'UNITA' di oggi, 22-11-04 pubblica un articolo di Umberto De Giovannangeli, "Abu Mazen tenta di strappare il sì di Fatah", sulle trattative all'interno di Al Fatah.
Trattando dell'ipotesi di ritiro delle truppe israeliane dalle città palestinesi, u.d.g. ricorda correttamente che il controllo di tali città era stato ripreso da Israele "per fermare l'ondata di attentati terroristici contro i suoi civili".
Omette però di informare i suoi lettori che tutt'ora numerosi attentati terroristici vengono sventati grazie alla presenza militare israeliana (vedi "Sventato un attentato ogni tre giorni", Informazione Corretta 22-11-04). Potrebbe così sembrare che le necessità di sicurezza valessero soltanto in passato, e che oggi Israele possa tranquillamente lasciare i Territori.
I terroristi sono costantemente chiamati da u.d.g. "milziani", mentre su Marwan Barghuti il giornalista dell'UNITA' si mostra di opinione variabile: prima scrive, ed'è uno dei pochi a farlo, che sconta cinque ergastoli "per il suo coinvolgimento in attentati terroristici condotti dalle Brigate dei martiri di al-Aqsa", poi lo definisce "quello che in Israele è presentato come un pericoloso terrorista".
Ma se Barghuti è "coinvolto" (meglio sarebbe dire che ne è stato il mandante) negli attentati delle brgate di Al Aqsa, non è "presentato" come un pericoloso terrorista. Semplicemente "è" un pericoloso terrorista.

Ecco l'articolo:

I moduli sono stati ritirati l’altro ieri dalla moglie. Gli avvocati sono stati allertati. I fedelissimi non nascondono il loro entusiasmo. E alla Muqata si lavora per un compromesso in extremis che eviti una clamorosa e irrimediabile spaccatura all’interno di Al-Fatah. Si tratta a Ramallah per fare di Abu Mazen il candidato unico di Al-Fatah, il primo partito palestinese nei Territori. Ma sulla strada del «numero uno» dell’Olp si para l’ostacolo-Barghuti, segretario generale di Fatah in Cisgiordania, l’uomo-simbolo della seconda Intifada. L’altro ieri la moglie di Barghuti, Fadwa, una avvocata, si è recata nella sede della Commissione elettorale di Ramallah per ritirare i formulari necessari alla candidatura del marito, detenuto in un carcere israeliano dove sconta cinque ergastoli per il suo coinvolgimento in attentati terroristici condotti dalle Brigate dei martiri di al-Aqsa. Secondo Hatem Abdel Qader, un deputato del Parlamento di Ramallah, Barghuti avrebbe detto effettivamente ai suoi avvocati di essere interessato a candidarsi alla presidenza dell’Anp.
«Fatah non può permettersi di presentare due candidati contrapposti, sarebbe un suicidio politico», afferma una fonte palestinese vicina al premier dell’Anp Abu Ala. Da qui le frenetiche consultazioni proseguite per tutta la giornata di ieri nella Muqata, il quartier generale dell’Autorità palestinese a Ramallah. Si tratta ad oltranza e col passare delle ore dietro le quinte prende corpo l’ipotesi di un accordo fra Abu Mazen e Barghuti in base al quale il primo sarebbe scelto come candidato unitario di Al-Fatah , mentre il secondo riceverebbe assicurazioni di guadagnare al più presto la libertà. Ma finora niente nelle dichiarazioni ufficiali israeliane lascia pensare che il governo di Ariel Sharon sia intenzionato a rimettere in libertà quello che in Israele è presentato come un pericoloso terrorista.
Mentre alla Muqata si negozia, alla periferia di Ramallah si combatte. Tre militanti di Al-Fatah vengono uccisi da una unità di élite di Tsahal. Secondo una prima ricostruzione, l’unità israeliana stava cercando di catturare alcuni ricercati nella zona di Bitunya, un quartiere periferico di Ramallah, quando si è sviluppato un aspro scontro a fuoco. Sul terreno restano i corpi senza vita di tre miliziani delle Brigate dei martiri di Al Aqsa, tra i quali Mohammed Ghassan Leftaoui, 23 anni, un capo locale del gruppo armato vicino all’ala più oltranzista di Fatah.
Mentre a Ramallah si tratta e si spara, a Tel Aviv «sbarca» Colin Powell per la prima e probabilmente ultima missione nel dopo Arafat del segretario di Stato. Powell vedrà oggi a Gerusalemme il premier israeliano Ariel Sharon e successivamente a Gerico la nuova dirigenza palestinese, guidata dal «numero uno» dell’Olp Abu Mazen. Il più immediato obiettivo della visita del capo (uscente) della diplomazia americana è di garantire l’appoggio Usa al processo elettorale avviato nell’Anp per la nomina del successore di Arafat. Le elezioni sono state fissate al 9 gennaio, ma i dirigenti palestinesi chiedono che Israele ne consenta il regolare svolgimento ritirando le sue truppe dalle città cisgiordane, di cui lo Stato ebraico ha ripreso il controllo due anni fa per fermare l’ondata degli attacchi terroristici contro i suoi civili. Il premier Abu Ala ha indicato prima dell’arrivo di Powell che chiederà agli Usa di premere in questo senso sul governo di Gerusalemme, e di appoggiare inoltre la richiesta di una scarcerazione in segno di buona volontà di alcuni leader palestinesi detenuti in Israele, fra cui Marwan Barghuti. «Chiederemo a Powell di aiutarci ad ottenere il rilascio di Marwan Barghuti», conferma Abu Ala in un’intervista all’agenzia Reuters. Oltre a Barghuti, la dirigenza palestinese vorrebbe ottenere la scarcerazione anche di Ahmed Saadat, capo del Fronte popolare per la liberazione della Palestina e di altre personalità. Gli americani, sottolinea il premier dell’Anp, «possono aiutarci esercitando pressioni sugli israeliani perché li rilascino». Le richieste palestinesi sono state anticipate ieri al segretario di Stato aggiunto William Burns giunto nel pomeriggio a Ramallah per preparare la visita di Powell. «Sono qui per manifestare il forte appoggio americano alla tenuta delle elezioni», dichiara ai giornalisti Burns al termine dei colloqui che ha avuto con Abu Mazen, Abu Ala e con il presidente ad interim dell’Anp, Rawhi Fattuh. Burns, anticipando probabilmente quanto dirà oggi Powell, ha aggiunto che per gli Usa le elezioni presidenziali palestinesi, che daranno il via all’attesa democratizzazione dell’Anp, e il piano di ritiro da Gaza per il 2005 del premier Ariel Sharon, costituiscono «passi avanti importanti» nella realizzazione della Road Map, il Tracciato di pace delineato due anni fa ma da allora rimasto praticamente lettera morta.
La vedova di Arafat, Suha, ha intanto fatto sapere, tramite i suoi avvocati, che contesta le decisione di consegnare la cartella clinica del marito a Nasser al Qidwa, nipote del presidente scomparso.
Sempre a pagina 15 u.d.g. intervista Saeb Erekat, ministro degli Affari negoziali dell'Anp. Il quale afferma che "Sharon continua a porre una serie di pregiudiziali alla ripresa del negoziato tali da prefigurare la volontà di proseguire sulla strada dell'unilateralismo forzato, quello che connota il ritiro da Gaza come la realizzazione del Muro in Cisgiordania".
Le pregiudiziali poste da Sharon, che ha subito dichiarato la sua volontà di trattare con la nuova leadership palestinese, si riassumono nella richiesta di combattere il terrorismo: si tratta di un ovvia precondizione del dialogo, ma l'intervistatore non vi fa cenno, consentendo a Erekat di far credere ai lettori non informati che la posizione di Israele sia improntata a un'irragionevole intransigenza.

Ecco l'articolo, "Israele si ritiri per consentire le elezioni palestinesi":

«A Colin Powell chiederemo di agire su Israele perché attui quelle misure necessarie per permettere un libero svolgimento delle elezioni presidenziali del 9 gennaio. Il che significa innanzitutto il ritiro dell'esercito israeliano dagli agglomerati urbani palestinesi». A parlare è Saeb Erekat, ministro per gli affari negoziali dell'Anp. In questa intervista a l'Unità, Erekat anticipa le richieste che la nuova leadership palestinese avanzerà al segretario di Stato uscente Usa nell'incontro di Gerico, il primo dopo la morte di Yasser Arafat.
Domani (oggi, ndr.) la nuova dirigenza palestinese incontrerà a Gerico Colin Powell. Quali saranno le richieste che l'Anp avanzerà al capo della diplomazia americana?
«Gli Stati Uniti sono parte fondamentale del "Quartetto" (Usa, Ue, Onu, Russia, ndr.) che ha messo a punto la Road Map. Ebbene, a Colin Powell chiederemo di agire perché quel Tracciato di pace sia finalmente attuato in ogni sua parte…».
Richiesta a cui il primo ministro israeliano Ariel Sharon non si è detto pregiudizialmente contrario.
«Questo a parole. Nei fatti, però, Sharon continua a porre una serie di pregiudiziali alla ripresa del negoziato tali da prefigurare la volontà di proseguire sulla strada dell'unilateralismo forzato, quello che connota il ritiro da Gaza come la realizzazione del Muro in Cisgiordania. Si tratta di una strada impraticabile per chiunque sia seriamente intenzionato a rilanciare il dialogo».
Nel futuro ravvicinato dei palestinesi vi è un passaggio cruciale: quello delle elezioni presidenziali fissate per il 9 gennaio prossimo. Saranno oggetto dell'incontro di Gerico con Powell?
«Ne saranno uno degli argomenti centrali. L'impegno degli Stati Uniti, come quello dell'Europa, sarà decisivo per realizzare al meglio questo fondamentale passaggio nella vita politica del popolo palestinese…».
Realizzare al meglio: cosa significa in concreto?
«Significa ritiro dell'esercito israeliano da tutte le città e villaggi palestinesi; garanzia di una piena libertà di movimento dentro la Cisgiordania e la Striscia di Gaza; partecipazione al voto degli oltre 200mila palestinesi di Gerusalemme Est. Al segretario di Stato americano chiederemo ufficialmente che gli Usa agiscano su Israele perché queste condizioni siano realizzate. Per qunato ci riguarda, siamo pronti da subito a incontrare i responsabili israeliani per definire le misure di sicurezza per le elezioni».
Il ritiro richiesto dall'Anp è sulle posizioni antecedenti il settembre 2000 (l'inizio della seconda Intifada)?
«Questa sarebbe la soluzione ottimale, ma esiste anche una subordinata che riteniamo condizione minima per permettere uno svolgimento partecipato delle elezioni: il ridispiegamento delle forze israeliane fuori dagli agglomerati urbani palestinesi. È davvero difficile pensare a libere elezioni con i carri armati israeliani dentro casa…».
Subito dopo la sua rielezione e, soprattutto, subito dopo la morte di Yasser Arafat, il presidente George W.Bush ha rilanciato l'idea di una pace fra israeliani e palestinesi fondata su due Stati.
«Un'idea che ispira la Road Map ma che fino ad oggi è rimasta lettera morta. È giunto il momento di trasformare questa idea in azione politica, sgomberando il campo da ogni alibi…».
Anche dall'«alibi Arafat»?
«La pace che un giorno realizzeremo sarà quella che il presidente Arafat aveva delineato con gli accordi di Oslo. Nessuno ci chieda di rinnegare la nostra storia. Non lo faremo mai. E nella storia del popolo palestinese Yasser Arafat resta il leader che ha ridato orgoglio, identità e senso di appartenenza a milioni di palestinesi».
Molto si parla delle elezioni presidenziali e poco di quelle legislative…
«Ed è un grave errore perché ciò che apriremo con le elezioni presidenziali è un processo di democratizzazione che porterà il popolo palestinese a selezionare una intera classe dirigente, rinnovando il Parlamento e le amministrazioni municipali. Il 9 gennaio si apre un percorso di democrazia. Eleggeremo un presidente, non proclameremo un Raìs».
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