Intervista acritica a un sociologo antisraeliano
sul quotidiano cattolico
Testata: Avvenire
Data: 18/11/2004
Pagina: 21
Autore: Camille Eid
Titolo: Medio Oriente laicità cercasi
Paragona Israele all'Iraq di Saddam Hussein, la risposta israeliana all'aggressione terroristica palestinese alle stragi in Kossovo e a Timor Est, difende la modifica della costituzione libanese volta a mantenere al potere il presidente filo-siriano, attribuisce agli "errori dell'Occidente" le persecuzioni anticristiane nell'Islam, nega, contro l'evidenza di questi giorni, la disponibilità di Israele a trattare con la nuova leadership palestinese.
George Corm, sociologo libanese, nell'intervista concessa a Camille Eid di AVVENIRE e pubblicata oggi dal quotidiano cattolico,offre questo completo campionario ostilità anti-israeliana e compiacenza per le dittature mediorientali. Il giornalista, concorde, non muove nessuna obiezione.

Ecco il testo dell'intervista:

«Fino a quando il diritto internazionale adottato in Medio Oriente applicherà due pesi e due misure, non sarà possibile alcuna stabilità politica. E i primi a soffrirne saranno, come al solito, le minoranze. Non può esserci un criterio giuridico per l'Iraq, un altro per Israele e un altro ancora per il Libano. O si applica ovunque lo stesso criterio o bisogna lasciarci tranquilli». Questa la "filosofia di base" di Georges Corm, noto intellettuale libanese, esposta nel suo recentissimo libro L'egemonia americana nel Vicino Oriente (appena edito da Jaca Book, pagine 384, euro 22) che costituisce il quarto volume di un'opera volta a illustrare la lotta tra le potenze su questa regione del mondo sin dal crollo dell'Impero ottomano. Corm, ha insegnato pensiero politico arabo, sociologia dello sviluppo e storia economica in varie università libanesi. È stato consulente della Banca mondiale, dell'Unione europea e di altri organismi internazionali, dal 1998 al 2000 ha ricoperto l'incarico di ministro delle Finanze del governo libanese.
Professor Corm, come si concilia il titolo del libro con la sua affermazione secondo cui «i tentativi americani di creare un nuovo Medio Oriente si sono rivelati inutili». L'egemonia è, a questo punto, solo un progetto?
«Niente affatto. Se si esclude l'asse siro-iraniano, con la sua appendice libanese, si constata che l'egemonia politica è totale. Dal Golfo alla Palestina, all'Egitto e, beninteso, all'Iraq. Bisogna essere troppo ingenui per essere ottimisti».
Ma in Iraq si tratta di egemonia oppure di una prova di debolezza?
«C'è il rischio di un nuovo colonialismo. Gli americani devono stare attenti a non favorire, con i loro errori, la nascita di una resistenza. Si doveva realizzare una gestione più competente, simile a quella messa in atto nel dopoguerra in Germania e in Giappone, con una sincera preoccupazione per l'instaurazione della democrazia. Gli americani avrebbero dovuto impedire i sac cheggi, evitare il congedo dei militari, affidare la sicurezza alla polizia locale e organizzare in fretta le elezioni. Tutti i mass media hanno poi parlato dell'Iraq con una logica di divisione parlando di un Sud sciita, di un Nord curdo e di un triangolo sunnita nonostante questa divisione vada contro gli interessi americani».
Passando alla Palestina, pensa che la morte di Arafat muoverà qualcosa?
«Potrà accentuare le divisioni nel campo palestinese. Ma l'Occidente, già intervenuto a proteggere il Kosovo, la Bosnia o Timor Est farà ben poco per i palestinesi. Dalla Dichiarazione di Balfour e fino alla Road Map si constata che i diritti palestinesi sono stati proclamati solo sulla carta. Nella misura in cui a Washington governa una squadra che considera diritto legittimo di Israele colonizzare i Territori è difficile prevedere un cambiamento di rotta».
Il Libano può invece sperare. La risoluzione 1559, promossa da Usa e Francia, punta alla fine dell'influenza siriana, o no?
«Questa è una nuova deriva del diritto internazionale nel Medio Oriente. Non abbiamo mai visto l'Onu vietare a uno Stato membro di emendare la propria Costituzione. Se la spinta fosse davvero democratica cosa dire allora del presidente tunisino che ha prorogato il suo mandato per la quarta volta consecutiva, di Mubarak o di Gheddafi?».
Ma questo rinnovato interesse non deve disturbarla come libanese...
«Non mi piacciono i giochi cinici. Con la risoluzione 1559 gli americani hanno voluto ridare luce verde ai "giocatori regionali" per marcare dei punti sulla scena libanese. Nel 1989, è stato lo stesso Consiglio di sicurezza ad avallare gli Accordi di Taif, sostenendo così la nozione, aberrante in termine di diritto internazionale, di "relazioni privilegiate" tra Libano e Siria».
Cosa dice invece della zona strategica del Golfo?
«Qui l'egemonia statunitense domina da decenni. In Arabia saudita, la dinastia fa fatica ad adattarsi velocemente a i cambiamenti della politica americana in Medio Oriente intervenuti dopo l'11 settembre la quale sosteneva i movimenti radicali islamici e li incoraggiava a inviare volontari nei Balcani o in Cecenia. C'è inoltre stato un ironico ritorno di fiamma dei movimenti radicali contro i sauditi. Chi semina il vento raccoglie la tempesta».
Molti governi autocratici si presentano come una barriera al caos e al fondamentalismo…
«Questo ricatto giova a loro come pure all'Occidente. Ma non potrà andare avanti. I regimi politici arabi non sono pronti ad assistere a introdurre riforme. Se lasciamo sviluppare la democrazia, dicono, ne approfitteranno i fondamentalisti. Anzi, quando un laico tenta di liberalizzare la giurisprudenza islamica è spesso il potere politico che vi si oppone. D'altra parte, molti liberali arabi commettono l'errore di seguire la logica occidentale di dire che il problema è anzitutto interno quando si tratta, invece, di una correlazione negativa tra fattori interni ed esterni. Fino a quando sarà aperta la questione palestinese, non vedo come questa regione potrà placarsi e diventare democratica».
Come vede il futuro dei cristiani in quella zona?
«Più gli occidentali commettono errori, più il futuro dei cristiani diventa instabile. Sono 150 anni che l'Occidente interviene in Medio Oriente, ma questo non ha mai fermato l'emorragia dei cristiani».
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