Elezioni secondo i terroristi: i candidati sgraditi vanno eliminati a colpi di mitra
intervista a un leader delle Brigate Al Aqsa
Testata: Corriere della Sera
Data: 17/11/2004
Pagina: 12
Autore: Francesca Battistini - Guido Olimpio
Titolo: Noi, Brigate di palestinesi in armi, condanniamo a morte Abu Mazen
A pagina 12 del CORRIERE DELLA SERA di oggi, 17-11-04, Francesca Battistini e Guido Olimpio intervistano un leader delle Brigate Al Aqsa, che manifesta la concezione della democrazia propria dei terroristi palestinesi, per la quale i candidati sgraditi si ammazzano. Scorretto il titolo, per il quale i terroristi sono "palestinesi in armi"
Ecco l'articolo:

Il posto dove convoca la gente è quello dov'è abituato a mandarla: il cimitero. «Spegnete i telefonini, per favore», che danno la posizione agli elicotteri israeliani, soprattutto scattano foto non gradite: «E non scrivete come si chiama questa zona». Lungo la cinta delle tombe cristiane passa una suorina in bianco. Sorride, tira oltre. Ha capito che non siamo qui per pregare. Forse sa già quante spalle ci si deve guardare, se si viene ad appuntamenti come questo: due automobili prese a un valico lontano dai check-point, un cambio di macchine poco lontano dalla Basilica della Natività, un rapido giro nella Betlemme ancora serrata per il lutto d'Arafat e perlustrata solo da una comitiva di turisti giapponesi, tre muratori su un ponteggio a fare da palo. L'attesa dura poco, seduti sui calcinacci d'un colombario pronto per nuovi loculi.
L'uomo delle Brigate Al Aqsa, che da venerdì si chiamano anche Abu Ammar in onore del Grande estinto, sbuca all'ora di pranzo. Tra le lapidi. Ha 29 anni, un passamontagna nero, i denti marci, la pelle sul collo segnata, un giubbotto nero «Dfn», la pistola ben fasciata sul fianco dei jeans. Resta in piedi, pesta nervoso il cemento: «Un quarto d'ora soltanto» concede. Perché in fondo, alla fine di tutto, c'è una cosa sola che gli preme dire: «Vogliamo uccidere Abu Mazen».
Chi è il vostro candidato?
«Le Brigate Al Aqsa-Abu Ammar hanno deciso che alle elezioni presidenziali sosterranno Marwan Barghouti. Noi siamo contro Abu Mazen. Se lo eleggono, non parteciperemo a questo tipo di gestione».
Anche se questo comportasse una nuova hudna una tregua?
«Noi siamo per il cessate il fuoco, a certe condizioni. Ma Abu Mazen non lo vogliamo. E' un personaggio ambiguo. E' l'opposto di Barghouti, l'unico di cui ci fidiamo».
Perché in questa fase non mandate kamikaze? E' una strategia o siete in difficoltà?
«E' una strategia. Non posso spiegare di più».
Qual è ora la vostra strategia nel partito Fatah?
«Per noi è molto importante avere un leader, non vogliamo che Fatah in questa fase sia emarginata. Faruk Kaddoumi è meglio di Abu Mazen, ma noi preferiamo uno che è stato qui e viene dall'interno del movimento».
Temete che Abu Mazen dica stop all'intifada?
«Sì, lo temiamo. Abu Mazen è un personaggio misterioso, preoccupato solo di conservare il suo potere. Ha già cercato molte volte di fermare le Brigate Al Aqsa. È un uomo corrotto, come Abu Ala».
Come farete a contrastare la sua candidatura alla successione di Arafat?
«La gente delle Brigate deve decidere. Sul come, ci stiamo consultando fra Gaza e tutte le città della Cisgiordania. Abbiamo diversi strumenti a disposizione. Se ci verrà imposto come candidato, noi impediremo questa candidature, la fermeremo».
Con quali mezzi?
«Quello che è successo domenica a Gaza è solo l'inizio. L'attaccheremo. Siamo disposti anche a ucciderlo».
Si va allo scontro. La condanna a morte di Abu Mazen, pronunciata in un cimitero di Betlemme, ha l'eco nella casbah di Nablus dove il leader militare delle Al Aqsa, Nasser Jamaa, dice chiaro che si può arrivare anche all'eliminazione fisica del principale candidato alla presidenza. Un rapporto dell'intelligence israeliana, finito ieri mattina sui giornali, parla d'un piano specifico per ucciderlo. La base lo esige, i vertici l'assecondano: nel pomeriggio esce un documento ufficiale delle Brigate in sostegno al pluriergastolano Marwan Barghouti, il più amato dai sondaggi nei Territori, il capo cisgiordano che gli israeliani hanno condannato per terrorismo e che molti chiamano «il Mandela della Palestina». Tre ministri dello Stato ebraico hanno già chiarito che Barghouti resterà in carcere, anche da presidente eletto, e sembra d'intuire che le Al Aqsa siano pronte a rilanciare presto l'iniziativa terroristica: sia che Barghouti non accetti la candidatura sia che l'accetti e non vinca sia che vinca e debba rimanere al gabbio. Non tutti sono d'accordo sul nome di Marwan e per esempio c'è Zakaria Zubeidi, capo dei gruppi di Jenin, che chiede cautela: «È dal 2000 che non facciamo dichiarazioni politiche».
L'impopolarità di Abu Mazen, però, da queste parti di gente in armi è fortissima e domenica il segnale della sparatoria di Gaza è stato compreso da tutti: perché fosse chiaro che l'attacco fosse contro il candidato, il commando gli ha anche bruciato l'auto. Si schierano le Al Aqsa, ma anche Hamas e Jihad. «Queste elezioni sono illegali — dicono —. Nient'altro che il prolungamento del processo di Oslo iniziato nel 1993 e fallito da un pezzo». Le due organizzazioni vogliono una leadership unificata e maggiore partecipazione. Abu Mazen risponde che il modo migliore per arrivare a un'alleanza solida sono le elezioni di gennaio, incassa lo scontato ritiro dalla corsa di Mohammed Dahlan, temibile padrone della Striscia, e intanto incontra i capi delle 13 fazioni per avere una pax elettorale. Rimarrà nella tana del lupo (Gaza) fino a venerdì per risalire la china dell'impopolarità: «Il voto — s'è appellato — ha bisogno di sicurezza, stabilità, pace. Non si può votare in una situazione di conflitto». Ma fra le tombe di Betlemme, nei viottoli ribelli di Nablus, il suono è quello di una dichiarazione che cade nel nulla.
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