Dire che Arafat era un omicida e non un eroe è propaganda? No, è informazione.
quell'informazione che sul raìs Guido Olimpio si rifiuta di fare
Testata: Corriere della Sera
Data: 12/11/2004
Pagina: 5
Autore: Guido Olimpio
Titolo: Sharon pronto a trattare con i successori del raìs
Nel suo articolo "Sharon pronto a trattare con i successori del raìs", pubblicato sul CORRIERE DELLA SERA di oggi, 12-11-04, Guido Olimpio fornisce correttamente alcune informazioni importanti circa i passi compiuti da Israele per favorire la ripresa del dialogo con l'Anp.
Al contrario, descrivendo un'ostilità "viscerale" e infondata degli israeliani verso Arafat, trascura completamente i lutti e le soffernze che per volontà del raìs Israele ha subito, e la delusione del fallimento dele trattative di pace, egualmente dovuto ad Arafat.
Israele, scrive Olimpio, intende lanciare una campagna di "propaganda" per dimostrare che Arafat "no è un eroe, ma un omicida".
In realtà non si tratterebbe di propaganda, ma di informazione. Quell'informazione che ci si aspetterebbe i giornali, raccontando chi fosse davvero il raìs.

Ecco l'articolo:

DAL NOSTRO INVIATO GERUSALEMME — In Israele c'è chi gioisce per la morte del nemico, c'è chi sogna di bloccare qualsiasi negoziato, chi invece spera che si apra una nuova stagione. In queste ore emozioni e analisi strategiche si incrociano mentre in tutto il Paese è scattato il piano di sicurezza nel timore di attentati. Le città palestinesi sono circondate, nei territori palestinesi sono stati creati nuovi posti di blocco e inviati rinforzi nella zona di Ramallah nel timore che i militanti possano cercare di marciare su Gerusalemme dopo il funerale di Arafat. Per la città santa oggi sarà una prova del fuoco. Al termine della tradizionale preghiera del Venerdì — l'ultima del mese di Ramadan — potrebbero scoppiare disordini. I primi fuochi di rivolta si sono accesi in serata alla Porta di Damasco con lanci di sassi e cariche.
In questo clima non fa scandalo il ministro Lapid che dice candidamente: «Odio Arafat non sul piano personale ma per quello che ha provocato». E Ariel Sharon, non contento di averlo seppellito, ha annunciato che scatterà una campagna propagandistica per dimostrare che il raìs «non è un eroe, ma un omicida». Le celebrazioni tributate a Mister Palestina, i riconoscimenti e gli attestati internazionali devono aver fatto ribollire il sangue al premier e a molti suoi connazionali. Ma l'avversione, viscerale, nei confronti del raìs è stata accompagnata da segnali nei confronti di chi dovrà sostituirlo. Non ci sono grandi novità rispetto al passato. Il premier ha ribadito la sua disponibilità a parlare con la nuova leadership a patto che si impegni contro il terrore. «Spero che i palestinesi si riprendano presto e che si possano riprendere i negoziati con loro. Fino a quando ciò non succederà, Israele continuerà a realizzare il piano di disimpegno (dalla striscia di Gaza e da alcune aree nel nord della Cisgiordania) secondo il calendario che ha stabilito». Per Sharon con «la fine dell'era di Arafat» i nuovi capi possono impegnarsi su tre punti chiave della defunta «mappa di pace»: fine della violenza, disarmo delle milizie, riforme. Il rispetto di queste condizioni, ha aggiunto, permetterà di rilanciare l'iniziativa diplomatica.
Negli ambienti politici di Gerusalemme però si sottolinea che dovrà essere anche il governo a muoversi, con concessioni pratiche. Nei prossimi giorni sono previsti la liberazione di alcuni prigionieri e lo sblocco di importanti risorse finanziarie che Israele doveva versare all'Autorità palestinese. Misure che, se la situazione dovesse restare stabile, potrebbero essere seguite da un alleggerimento dell'azione militare sui territori palestinesi.
Sharon e i generali hanno in mente due cose. Primo punto, il ritiro da Gaza. Se c'è stabilità e un dialogo è avviato Israele potrebbe avviare il disimpegno senza correre il rischio di un «disimpegno sotto il fuoco», con i militanti che colpiscono per dimostrare che hanno «vinto». L'idea è quella di sgomberare Gaza non più in modo unilaterale bensì concordando dei passi con i palestinesi. Secondo punto, un disimpegno dalla Cisgiordania. I giornali ricordano che nel 2003 il ministro della Difesa Mofaz e l'uomo forte dell'Autorità, Mohammed Dahlan, avevano raggiunto un'intesa per il ritiro delle forze israeliane dalle città palestinesi. Si tratterebbe di rilanciare — se esistono le condizioni — quell'ipotesi.
Altro segnale, le elezioni. Israele ha promesso che non ostacolerà un eventuale voto nei territori, indispensabile per dare legittimità alla nuova leadership, e non «intende interferire nelle scelte». Il ministro degli Esteri Silvan Shalom ha però escluso che possa essere rimesso in libertà l'esponente del Fatah Marwan Barghouti, il personaggio che se si candidasse (e pare che voglia farlo) otterrebbe un'investitura plebiscitaria: «Resterà in carcere per il resto della vita».
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