Sulla soglia di una nuova era
intervento dell'Ambasciatore d'Israele in Italia
Testata: Corriere della Sera
Data: 12/11/2004
Pagina: 5
Autore: Ehud Gol
Titolo: Si è chiuso un capitolo tragico della Storia. Ora apriamone uno di pace
A pagina 5 il CORRIERE DELLA SERA di oggi, 12-09-04, pubblica un articolo dell'Ambasciatore d'Israele in Italia, Ehud Gol, a commento della morte di Yasser Arafat.
Ecco l'articolo:


Il Medio Oriente si trova, per la prima volta da molti anni, sulla soglia di una nuova era. Dopo anni di terrorismo, violenza, sangue, incitamento e odio si apre adesso un piccolo spiraglio, attraverso il quale si potrà forse ricominciare da capo e meglio che nel passato.
Nel mondo occidentale in molti sono ormai coscienti del ruolo negativo svolto da Arafat, non solo all’inizio della sua carriera, oltre quaranta anni fa, come capo di un’organizzazione terroristica, ma anche e soprattutto negli ultimi anni, persino dopo essere stato incoronato col Premio Nobel. Molti altri, purtroppo, non hanno ancora aperto gli occhi.
Arafat ha incarnato con le sue azioni e con la sua personalità l’estremismo arabo che rifiuta di accettare l’esistenza d’Israele. Anche quando si trovò davanti all’enorme opportunità, unica e di dimensioni storiche, nell’estate del 2000, di accogliere l’offerta dell’allora Primo Ministro israeliano Ehud Barak, che offriva la possibilità di giungere alla creazione di uno stato palestinese indipendente al fianco d’Israele (non al suo posto), Arafat scelse in maniera diversa, ritenendo che una combinazione di terrorismo e negoziati gli potesse permettere di ottenere molto di più di quanto prevedesse la generosa offerta del governo israeliano, convinto che dovesse trarre vantaggio da quella che riteneva essere una debolezza del popolo israeliano. Questa decisione di Arafat, forse più di ogni altra decisione della sua sanguinaria carriera, ha trascinato in un’ulteriore tragedia il popolo palestinese ed è costata, negli ultimi quattro anni, la vita di migliaia di israeliani e palestinesi. Oggi è ormai chiaro alla maggioranza degli israeliani che Arafat vedeva nella firma degli accordi di Oslo e Washington solo uno stratagemma per perseguire il suo obbiettivo, la distruzione dello Stato d’Israele. Non si era ancora asciugato l’inchiostro della firma sugli accordi e non si erano ancora diffuse le impressioni della cerimonia di consegna del Premio Nobel in Norvegia, quando nuove ondate di terrorismo riportarono gli israeliani alla terribile realtà nel 1996, pochi mesi dopo l’assassinio di Rabin e ancora alla vigilia delle decisive elezioni politiche israeliane con il confronto tra Peres e Netanyahu.
Questo era l’Arafat degli ultimi anni, ma non dimentichiamo chi era stato Arafat negli anni precedenti. Nel 1989, sul Jornal do Brasil pubblicai un articolo dal titolo "Perché no Arafat", nel quale elencavo tutti i crimini da lui commessi nel corso degli anni e sostenevo l’impossibilità di risolvere il complesso conflitto israelo-palestinese finché fosse proseguito il potere totalitario di questa persona sul suo popolo. Tutti i punti esposti in quell’articolo sono attuali oggi come allora, comprese le dimensioni della corruzione del suo potere, i cui dettagli lasciamo agli stessi palestinesi. Ritorno con la memoria al 1974, all’Assemblea dell’ONU a New York: Arafat tende, per così dire, un ramoscello d’ulivo, ma fa il suo ingresso in aula con la pistola alla cinta. Ero lì quel giorno, e non dimenticherò mai l’esultanza dei rappresentanti di paesi musulmani, comunisti e dittatoriali alla vista del "rivoluzionario" non sbarbato. Quel giorno mi si rivelò in tutta la sua mostruosità l’odio abissale e patologico per il popolo ebraico, cui sono fiero di appartenere.
È ancora più sconvolgente pensare che, nonostante il record di lunghi anni di stragi e crimini efferati contro vecchi, donne e bambini (basta ricordare il dirottamento di aerei, l’assassinio degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco, il sequestro e l’uccisione dei bambini della scuola di Maalot, il massacro di civili in transito su una strada costiera israeliana), questa persona era ancora oggetto di venerazione non solo nel suo mondo, ma anche presso vasti settori della società occidentale. Ingenuità? Dissimulazione? Ipocrisia? Espressione dell’odio per Israele? Probabilmente tutte queste cose insieme. C’è chi ritiene che il dopo Arafat potrà essere ancora peggiore, con l’ascesa al potere di esponenti fondamentalisti come Hamas o Jihad Islamico. A mio avviso nulla potrà essere peggiore di Arafat. Egli, infatti, guidava in maniera cinica e tragica le fila del terrorismo e godeva ancora di legittimazione internazionale. Dubito che anche i più ipocriti nella società europea, che si schieravano al fianco di Arafat, possano offrire la stessa piena legittimazione a queste altre organizzazioni terroristiche.
Con la morte del leader dell’OLP si è chiuso un capitolo della storia del conflitto mediorientale. Il giorno dopo Arafat può e deve essere un capitolo di tolleranza e di rispetto reciproco. Un’era di disponibilità a rinunce e concessioni reciproche, con l’obbiettivo di giungere a un reale compromesso.
L’uscita di scena di Arafat, che rifiutava di vedere nel compromesso una possibilità reale, lascia presagire più di ogni altra cosa che sarà davvero possibile, alla fine, realizzare tutti i nostri sogni di una soluzione di pace tra Israele e i palestinesi.
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