Su Arafat un quotidiano ancora incerto tra informazione e mitologia politica
due articoli che informano, ma non su tutto, e una frase grottesca
Testata:
Data: 11/11/2004
Pagina: 7
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Il Cairo si prepara per l'addio ad Arafat - La spartizione del tesoro - I francesi indignati dalla tragicommedia di questa agonia
Mentre l'edizione on-line dell'UNITA' dà la notizia della morte di Arafat con il titolo "Arafat, neppure da morto potrà tornare a Gerusalemme", tanto per sottolineare la "crudeltà" degli israeliani che non vogliono il ripetersi degli scontri che accompagnarono la sepoltura di Feisal Hussein nella Spianata delle Moschee, sul giornale oggi in edicola (11-11-04) Umberto De giovannangeli firma a pagina 7 una cronaca, "Il Cairo si prepara per l'addio ad Arafat", di cui sottolineiamo una frase grottesca, che cerca di mascherare con gli orpelli ormai logori della mitologia ideologica costruita intorno al rais palestinese la realtà farsesca e squallida di una morte ritardata ad arte per esigenze politiche e "finanziarie" (la spartizione del bottino, le trattative per l'appannaggio di Suha Arafat) e infine intervenuta a proposito non appena gli accordi sono stati raggiunti e si sono stabiliti i luoghi del funerale e della sepoltura.
Ecco dunque la frase: "Ma l'organismo logoro del vecchio combattente sempre in fin di vita a Parigi, ieri ha ancora sconfitto le previsioni, rifiutandosi di chiudere la partita con la vita nei tempi prescritti dal protocollo di successione e dai funerali ormai pianificati sulla rotta Cairo-Ramallah".

Interessante, invece "La spartizione del tesoro", che di seguito pubblichiamo:

RAMALLAH Quattro miliardi di dollari. A tanto ammonterebbe il «tesoro di Arafat». Un insieme di lasciti, donazioni più o meno spontanee di Stati arabi amici, a cominciare dalle petrocrazie saudita e degli Emirati, investimenti in mezzo mondo e compartecipazioni azionarie in una miriade di imprese. Un tesoro che nel corso degli anni l'abile e spregiudicato «cassiere del raìs», Mohammed Rashid, detto «il curdo», ha alimentato grazie a una serie di investimenti che hanno portato il presidente palestinese ad avere importanti quote azionarie in Casinò, tra cui quelli di Gerico e di Vienna, in compagnie di cemento, nonché in compagnie telefoniche in Algeria e Tunisia, in monopoli di tabacco e anche in azioni della Coca Cola.
Le dimensioni del tesoro: si aggirerebbero attorno ai 3,8-4 miliardi di dollari, parte dei quali depositati su conti correnti bancari sparsi in ogni angolo del pianeta: Londra, Tel Aviv, Zurigo, Parigi, Amman, Nicosia, Beirut, Dubai, Tunisi. Il Fondo Monetario Internazionale ha accertato che nei conti dell'Anp si era venuta a creare tra il 1993 e il 2003 una voragine da 778 milioni di dollari, 360 dei quali finiti in Svizzera presumibilmente su conti correnti controllati da Arafat. Le coordinate di questi conti fanno parte del contenuto della «valigetta nera» affidata dal raìs morente a Suha Arafat prima di essere ricoverato nell'ospedale militare francese. Sempre secondo il rapporto dell'Fmi, Yasser Arafat sarebbe il nono più ricco capo di Stato al mondo. Le dimensioni del «tesoro» sono state al centro anche di una approfondita inchiesta condotta dalla rete televisiva americana «Cbs» (titolo: «I miliardi di Arafat»). Secondo il network, il patrimonio personale del presidente palestinese si aggirerebbe attorno agli 800 milioni di dollari.
L'origine della fortuna: il «tesoro del raìs» nasce innanzitutto, negli anni Settanta-Ottanta, come «banca dell'Olp»: alla base vi sono infatti gli ingenti finanziamenti che l'Organizzazione presieduta da Arafat riceve da molti dei Paesi membri dell'Opec. Di quei fondi, in qualità di presidente del Comitato esecutivo, Yasser Arafat è il garante. Alla sua morte dovrebbero rientrare, in un rapporto paritario, nelle casse dell'Olp e in quelle dell'Anp. La Commissione europea ha invece escluso ieri in modo definitivo la possibilità che i finanziamenti comunitari abbiano alimentato i fondi personali e segreti di Arafat. Ufficialmente, il patrimonio del raìs è custodito nella Fondazione di cui è presidente, e della quale Mohammed Rashid è il gestore, e che ha un budget dichiarato di 1 miliardo di dollari. Uno dei perni di questo impero finanziario è la Società dei servizi economici palestinesi (Pcsc).
Il ruolo di Suha: a febbraio la stampa francese ha dato ampio risalto all'apertura un'inchiesta sui movimenti di fondi operati da Suha Arafat negli anni 2002-2003 fra un istituto bancario svizzero e due diversi conti in Francia. La cifra menzionata era di 11,5 milioni di dollari. Molti, a cominciare dai palestinesi dei Territori, hanno interpretato le aspre polemiche imbastite da Suha nei giorni dell'agonia del raìs contro i vertici dell'Anp, come un tentativo di arrivare ad una soddisfacente (per l'ex-first lady) spartizione del tesoro.
Stando al quotidiano di Tel Aviv «Haaretz», Suha avrebbe rifiutato l'offerta avanzata dai vertici palestinesi di 2 milioni di dollari per porre fine ad ogni disputa ereditaria e restituire la preziosa valigetta con i segreti bancari del raìs. Stando invece al sito di intelligence israeliano Debka, Suha e i dirigenti dell'Anp avrebbero raggiunto l'altro ieri a Parigi un accordo su una pensione annuale di 22 milioni di dollari, che la first lady dovrebbe ricevere fino alla fine della sua vita. Gli alimenti a Suha sarebbero stati calcolati sulla base della somma versata finora dallo stesso Arafat alla moglie, che da oltre tre anni era separata dal marito e viveva a Parigi, e cioè circa 1,8 milioni al mese. Secondo fonti arabe, invece, Suha avrebbe rinunciato alle pretese su metà del patrimonio del raìs accordandosi su una buonuscita da 20 milioni di dollari, più 35mila dollari al mese come vitalizio, e lo sblocco dei 9 milioni di euro congelati lo scorso anno dalla Banca di Francia e dall'ufficio antiriciclaggio Tracfin.
Un riquadro, "I francesi indignati per la tragicommedia di questa agonia", riporta le reazioni di politici e quotidiani francesi, tra cui Liberation, di estrema sinistra, alla gestione della morte di Arafat da parte del gruppo dirigente palestinese e della vedova.
Non si fa cenno, invece, all'indignazione francese per il fatto che consulente finanziario di Suha Arafat è Pierre Rizik, capo dei servizi d'informazione falangisti all'epoca della strage di Sabra e Chatila (di cui i falangisti sono responsabili).
La notizia, proveniente da Ha'aretz e diffusa ieri in Italia da Adnkronos era evidentemente troppo...

Ecco l'articolo:

Il «macabro copione» - come l'ha definito il presidente dell'Udf, il centrista Francois Bayrou - indigna anche i francesi. Increduli che nel loro Paese, fra le quattro mura di un ospedale blindato, un personaggio pubblico possa essere tenuto inaccessibile a ogni fonte di informazione, i francesi parlano di «oscura tragicommedia».
La mancanza di «trasparenza» sulle colonne di Liberation, quotidiano della gauche, diventa un «j'accuse»: «L'agonia di Arafat ha trasformato i corridoi dell'ospedale militare di Clamart in quinte di una tragicommedia oscura e inopportuna».
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