Arafat: l'uomo di Mosca in Medio Oriente
un retroscena storico molto interessante
Testata:
Data: 10/11/2004
Pagina: 1
Autore: un giornalista
Titolo: Arafat, l'uomo che rifiutò di dire sì. Un enigma verrà sepolto a Ramallah
In prima pagina su IL RIFORMISTA di oggi un articolo dedicato a Yasser Arafat tenta di spiegarne il rifiuto degli accordi di Camp David: accettare sarebbe stato contro la sua ideologia "rivoluzionaria".
La spiegazione, "cara ai palestinesi", per cui " lo stato promesso da Barak era un bantustan" è ritenuta dotata di "fondamento".
Non è così: i bantustan erano fazzoletti di terra completamente circondati da uno stato, il Sudafrica, grande quattro volte l'Italia, erano governati da capi tribali scelti da Pretoria, i loro "cittadini", e questo è il punto centrale, risiedevano in realtà altove, nelle townships delle grandi città sudafricane o nelle proprietà dei farmers bianchi; considerarli cittadini di un altro stato era dunque solo un espediente per negare loro il diritto di voto.
Lo stato palestinese proposto da Barak, invece, si sarebbe esteso su più del 20% di uno stato grande come il Piemonte, sarebbe stato governato da Arafat, nemico storico di Israele e leader del movimento nazionale palestinese, e avrebbe esteso la sua sovrantà a tutti i palestinesi dei territori.
A parte questo errore di valutazione, l'articolo presenta un notevole interesse perché, sulla base di testimonianze di ex dirigenti di servizi segreti del blocco comunista, ricostruisce i rapporti tra Arafat da un lato, l'Unione Sovietica, la Germania est e la Romania dall'altro.

Ecco l'articolo:

Se avesse detto sì, in quel fatale luglio 2000 a Camp David, sarebbe il padre fondatore del primo stato palestinese, l'uomo che che dato corpo a sogno. Se avesse scritto il suo nome accanto a quello di Ehud Barak e di Bill Clinton, sarebbe il maieuta del nuovo Medio Oriente. Se avesse evitato di lanciare la nuova intifada, avrebbe tolto il grande alibi nel quale si culla Osama Bin Laden e il terrorismo islamico. Se avesse detto sì, sarebbe rimasto nella storia come un gigante. Invece, quel giorno disse no. E Yasser Arafat, una volta versate tutte le lacrime di coccodrillo e depositato il polverone che si sta alzando in Europa e nei paesi arabi, sarà ricordato per «l'uomo che rifiutò di dire sì», come ha scritto il New York Times nel suo editoriale-epitaffio. Ma perché lo ha fatto? E' il grande enigma che Mohammed Abd al-Rahman Abd al-Raouf Arafat al-Qudwa al-Husseini si porta nella tomba. Forse sarà la Muqata, il quartier generale di Ramallah in Cisgiordania diventato da due anni e mezzo la sua prigione e il simbolo della sua ostinata resistenza (la scelta del luogo di sepoltura è stata annunciata ieri dai dirigenti palestinesi a Parigi e sarebbe un impegno strappato da Jacques Chirac a Ariel Sharon). Naturalmente ci sono molte spiegazioni. La prima, la più cara ai palestinesi, è che lo stato promesso da Barak era un bantustan: la striscia di Gaza più una Cisgiordania a macchia di leopardo con città separate da colonie israeliane e senza la capitale spirituale e simbolica, cioè Gerusalemme est. E' una spiegazione che ha fondamento, perché non c'è dubbio che la soluzione trovata a Camp David era lontana dall'essere ideale e dall'accontentare i palestinesi. Si insiste nel sottolineare che Hamas e la Jihad, organizzazioni che avevano aumentato il loro consenso popolare (soprattutto a Gaza) avrebbero delegittimato l'Olp e preso il potere o con la forza o con i voti o in entrambi i casi. E non si può negare che anche questo argomento abbia un fondamento. Adesso, dopo altri quattro anni di sangue, Hamas è stata decapitata dagli israeliani ed è fortemente idebolita. E tuttavia, secondo un sondaggio condotto a settembre da un organismo attendibile come il Palestinian Centre for Survey and Research, il 37% dei palestinesi avrebbero votato Arafat, il 3% Ahmed Qurei e appena il 2% Mahmoud Abbas. Mahmoud Zahhar, capo di Hamas a Gaza ha ottenuto il 15% dei consensi, seguito da Marwan Barghouti, il leader dell'Intifada rinchiuso nelle prigioni israeliane, con cinque ergastoli per omicidio. E ciò getta un'ombra oscura sulla successione. Ma la vera risposta all'enigma è nella figura stessa di Arafat, come aveva capito Eduard Said uno dei maggiori intellettuali palestinesi che aveva rappresentato l'Olp all'Onu prima di trovare asilo negli Usa per dedicarsi ai suoi studi letterari.
«Noi siamo una rivoluzione, siamo nati come una rivoluzione e dobbiamo restarlo. I palestinesi non hanno la tradizione, l'unità e la disciplina per diventare un vero stato. Questo è un compito per la prossima generazione». Nel 1978, il dittatore rumeno Nicolae Ceausescu (che aveva il ruolo di finanziare l'Olp così come la Stasi della Grmania est aveva il compito di fornire le armi) convocò Arafat per spiegargli che Leonid Breznev voleva cogliere l'opportunità della presidenza Carter negli Stati Uniti per giocarsi la carta della legittimazione del movimento palestinese. L'occasione si era aperta con l'accordo di Camp David che metteva fine allo stato di guerra tra Egitto e Israele e avrebbe portato Anwar Sadat a parlare alla Knesset accolto con tutti gli onori di un capo di stato. Dunque, se il presidente egiziano era entrato nel parlamento israeliano, il leader di Fatah poteva entrare alla Casa Bianca. Naturalmente, doveva trasformasi da capo guerrigliero in leader politico. Il disegno sovietico era sottile, troppo machiavellico per Arafat il quale diede a Ceausescu la risposta che abbiamo riportato. La storia è stata raccontata dal generale Ion Mihai Pacepa, ex capo della Securitate, sopravvissuto all'era Ceausescu trasformandosi in ben pagato memorialista. Lo stesso Pacepa, il cui compito specifico è stato, negli anni '70, di tenere i contatti con i movimenti guerriglieri e terroristi mediorientali (compreso Carlos lo Sciacallo), sostiene che Arafat venne scelto all'Unione Sovietica nel 1967, dopo che la guerra dei sei giorni aveva clamorosamente sconfitto i due maggiori alleati di Mosca in Medio oriente, la Siria e l'Egitto. In realtà, ci vollero altri due anni, perché l'unto del Cremlino conquistasse la leadership della resistenza palestinese.
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