La svolta politica di George W. Bush sul Medio Oriente
il bilancio di Daniel Pipes sulla prima amministrazione Bush
Testata:
Data: 03/11/2004
Pagina: 3
Autore: Daniel Pipes
Titolo: Le quattro svolte strategiche e sagge di W.
A pagina 3 dell'inserto IL FOGLIO pubblica l'articolo di Daniel Pipes "Le quattro svolte strategiche e sagge di W.", che di seguito riproduciamo:
La presidenza di George W. Bush è stata a tal punto caratterizzata dal medio
oriente che, a mio avviso, gli storici lo giudicheranno essenzialmente in base alla linea di azione sancita in quella regione.
(…)Non è stato pienamente apprezzato il fatto che per quanto riguarda il mediooriente Bush abbia sistematicamente reagito ai problemi della regione abolendo prassi accettate da decenni, per sostituirle con approcci straordinariamente diversi. Al contrario, John Kerry in modo prosaico resta fedele alle linee politiche del passato che non hanno ottenuto successo. Bush ha rovesciato la politica americana in quattro settori principali:

Guerra piuttosto che ricorrere alle forze dell’ordine.
Dal 1979, dai primordi della violenza islamista ai danni degli americani (inclusa l’occupazione dell’ambasciata statunitense a Teheran, in Iran, durata 444 giorni), Washington affrontò il problema considerandolo di natura criminosa e reagì a esso con uno spiegamento di investigatori, avvocati, magistrati e direttori di carceri. L’11 settembre 2001, Bush dichiarò che eravamo "in guerra contro il terrorismo". Da notare bene il termine "guerra". Ciò implicava l’utilizzo dell’esercito e dei servizi di intelligence, oltre che delle forze dell’ordine. Al contrario, Kerry ha detto ripetutamente di essere favorevole a tornare al modello del mantenimento dell’ordine.

Democrazia e non stabilità.
"Sessanta anni in cui le nazioni occidentali hanno giustificato e si sono dimostrate accomodanti nei confronti della mancanza di libertà in medio oriente non ci hanno resi sicuri". Questa dichiarazione, rilasciata da Bush nel novembre 2003, ricusava una politica bipartisan focalizzata sulla stabilità che era stata posta in essere a partire dalla Seconda guerra mondiale. Bush lanciò una sfida alle prassi stabilite, una di quelle che ci si aspetterebbe di sentire a un seminario accademico, e non da un leader politico. Al contrario, Kerry preferisce l’ottuso, vecchio e screditato modello di stabilità.

Prevenzione e non dissuasione.
Nel giugno 2002, Bush accantonò l’annosa politica della deterrenza, rimpiazzandola con l’approccio più attivo di eliminare i nemici prima che siano loro a colpire. "La sicurezza statunitense – egli affermò – esigerà che tutti gli americani siano lungimiranti e determinati, che siano disposti a delle azioni preventive, qualora risultino necessarie per difendere la loro libertà e la loro vita". Questo nuovo approccio ha fornito una giustificazione alla guerra contro Saddam Hussein per la rimozione dal potere del dittatore iracheno prima che egli potesse sferrare un attacco. Al contrario, Kerry blatera su questa questione, schierandosi solitamente a favore del vecchio modello della deterrenza.

Leadership e non reazione nel fissare gli obiettivi per una risoluzione del conflitto arabo-israeliano.
Nel giugno 2003, io definii la rinnovata politica di Bush nei confronti del conflitto arabo-israeliano come "il passo più sorprendente e ardito della sua presidenza". Piuttosto che lasciare alle parti la facoltà di decidere sulla pace, Bush tirò fuori una tabella di marcia. Invece di accettare i leader esistenti, egli impedì a Yasser Arafat di giocare. Invece di lasciare che fossero le parti a sancire l’obiettivo finale, Bush trovò la soluzione nella creazione di uno Stato palestinese. Piuttosto che tenersi fuori dalle negoziazioni fino all’ultimo, Bush ne fece parte sin dall’inizio. Al contrario, Kerry tornerebbe al processo di Oslo e tenterebbe ancora la via già utilizzata e senza successo di avviare delle negoziazioni tra gli israeliani e Arafat.

Le riserve e il paradosso Nutro delle riserve in merito all’approccio di Bush,
specie per quanto riguarda la sua interpretazione del conflitto arabo-israeliano, che a mio avviso è troppo personale, ma ammiro la maniera energica e creativa, con la quale egli ha reagito a quelli che rappresentano i peggiori problemi esterni del paese. La sua eccezionale disponibilità ad accettare i rischi e a dare uno scossone al deleterio status quo del medio oriente ha delle buone possibilità di riuscita. Non si manca spesso di rimarcare il radicalismo di cui Bush dà prova in medio oriente, poiché in fondo egli è un conservatore,
ossia è incline a preservare quanto di meglio legato al passato. Ma anche un conservatore comprende che la protezione di ciò cui egli tiene talvolta esige il ricorso all’attivismo creativo e all’agilità tattica. Al contrario, sebbene Kerry sia liberal, vale a dire qualcuno disposto a rinunciare al vecchio e a sperimentare il nuovo, in tema di medio oriente, egli ha sempre mostrato, sia quando era senatore sia nel corso della campagna presidenziale, una preferenza a mantenere i vecchi e buoni metodi anche se essi non funzionano. Paradossalmente, sul tema del medio oriente, Bush è il radicale, contro Kerry il reazionario.
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