Sharon sulla tomba di Rabin
lo unisce allo statista assassinato il coraggio delle decisioni difficili
Testata:
Data: 28/10/2004
Pagina: 3
Autore: un giornalista
Titolo: Sharon, sulla tomba di Rabin, esclude il referendum
IL FOGLIO di oggi, 28-10-04 pubblica a pagina 3 la cronaca "Sharon, sulla tomba di Rabin, esclude il referendum", che di seguito riproduciamo:
Gerusalemme. Il giorno dopo la vittoria, Ariel Sharon non mostra alcun cenno di
gioia, ma sale sul monte Hertzel a Gerusalemme, dove sono sepolti i militari caduti in battaglia, le vittime del terrorismo e chi ha fatto la storia dello Stato d’Israele. Qui, davanti alla tomba di Ytzhak Rabin, salda i conti con il passato. "Se all’epoca dissi parole che non avrei dovuto dire, chiedo scusa". Si commemora il nono anniversario dell’assassinio di Rabin, ucciso da un estremista ebreo. Nelle settimane che precedettero quel crimine, Sharon fu tra i più strenui critici del premier che aveva stretto la mano a Yasser Arafat. Ieri si è tolto un peso dalla coscienza, davanti ai figli del primo ministro assassinato, Dalia e Yuval, nel momento in cui si trova nella stessa situazione di Rabin. Anche lui è al centro di una veemente campagna, vittima degli anatemi dell’estremismo religioso. Anche lui è minacciato di morte. Sharon ieri ha detto che ha sempre rispettato Rabin. "Le nostre dispute non erano mai personali". Dalia Rabin, che ha parlato dopo di lui, gli ha teso la mano e gli ha assicurato il sostegno della famiglia. Il figlio Yuval è andato oltre: "Promuovendo il suo piano di smantellamento delle colonie di Gaza – ha detto al Foglio – Sharon entra con Menachem Begin e mio padre nel novero dei primi ministri che hanno deviato dalle posizioni iniziali, e hanno avuto il coraggio di prendere decisioni difficili ma necessarie per la sopravvivenza dello Stato d’Israele in quanto Stato democratico". Così Sharon mostra la sua leadership restaurata: chiedendo scusa per gli eccessi verbali di nove anni fa e incassando un riconoscimento che ha un alto valore simbolico. Nelle ultime 24 ore molto è cambiato, anche se le prospettive politiche restano assai incerte. Quattro ministri, capitanati da Benyamin Netanyahu, minacciano di dimettersi. E con essi il ministro superstite del Partito nazionale religioso, Zvulum Orlev. Chiedono un referendum che Sharon non ha alcuna intenzione di concedere. Ma il voto di mercoledì alla Knesset è stato una prova di forza che ha lasciato il segno. Bastava vedere il volto sudato di Netanyahu, entrato in aula assieme agli altri ministri cospiratori all’ultimo minuto utile per votare, e soltanto alla seconda chiamata, e paragonarlo con quello fermo del premier, per capire che la sconfitta è destinata a durare. Sharon ha mostrato nervi saldi e senso dell’interesse generale; i suoi oppositori interni soltanto ambizioni personali. Netanyahu e i tre ministri ribelli – dopo aver invano cercato di reclutare il ministro degli Esteri Silvan Shalom – hanno deciso l’affondo finale a un’ora dal voto. Il Partito nazionale religioso aveva appena ottenuto dai rabbini l’autorizzazione implicita a restare nel governo fino al 2006 se Sharon avesse acconsentito a una consultazione popolare. I cospiratori hanno formulato allora un vero e proprio ultimatum. Il loro voto in cambio del referendum. Hanno fatto sapere a Sharon che volevano incontrarlo. Il premier era
già seduto in aula, in attesa del voto. All’emissario ha detto: "Se vogliono dirmi qualcosa, vengano qui". Il finale di partita è noto. I ministri si sono piegati, hanno votato a favore, rientrando in aula dopo aver saltato la prima chiamata. "Netanyahu – ha detto al Foglio uno stretto collaboratore di Sharon – ha mostrato di non essere cambiato. Quando c’è di mezzo l’ambizione compie passi falsi. E’ un ottimo ministro delle Finanze, ma in un’ora ha distrutto un patrimonio". Il voto alla Knesset apre un quadro politico incerto, ma allarga i margini di manovra di Sharon. Un aiuto gli verrà anche dalla nuova Amministrazione americana, che vinca George W. Bush o John Kerry, poco importa. Chi sarà alla Casa Bianca opererà affinché il piano di disimpegno abbia successo
in tempi brevi. Sull’altro fronte, quello dell’Autorità nazionale palestinese, la svolta israeliana comincia a essere affrontata con argomenti meno retorici. La prova sono le dichiarazioni moderate di Saeb Erekat, ministro delle Trattative, un dicastero senza portafoglio, visto che di negoziati non ce ne sono da un anno. Erekat ha detto: "Israele torni al tavolo delle trattative. Quello che ha discusso la Knesset non è un problema interno israeliano, riguarda il futuro del popolo palestinese".
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