Scrivere la biografia del terrorista Arafat senza nominare il terrorismo
l'acrobatico esercizio "letterario" di Marina Verna
Testata: La Stampa
Data: 28/10/2004
Pagina: 9
Autore: Marina Verna - la redazione
Titolo: Splendori e miserie del ribelle che ha inventato la Palestina - Le sette vite del leader più amato dai palestinesi
Yasser Arafat sarebbe, secondo la televisione israeliana, in fin di vita.
Fonti palestinesi affermano invece che si sarebbe "parzialemnte ripreso".
LA STAMPA di oggi, 28-10-04, pubblica un ritratto del capo terrorista, "Splendori e miserie del ribelle che ha inventato la Palestina".
Non vi si fa cenno al fatto che Arafat è stato ed è, per l'appunto, un terrorista.
Risulta invece che si è dedicato alla "lotta armata".
Era, come si ricorderà, la definizione che in Italia davano dei propri delitti le Brigate Rosse.
Ecco l'articolo:

Per i palestinesi è Abu Ammar, capo carismatico del loro riscatto. Per tutti gli altri è Yasser Arafat, nato al Cairo il 24 agosto 1929, ingegnere nella sua prima vita. Finita con la laurea e la creazione, insieme ad alcuni ex compagni di università, di un movimento per l’indipendenza palestinese, Al Fatah. E’ il 1953 quando Yasser, studente all’Università del Cairo, è già un militante, che scrive con il suo sangue una lettera al capo della giunta militare egiziana: «Non dimenticate la Palestina».
Dieci anni dopo, nel dicembre 1964, comincia la lotta armata contro Israele. Yasser Arafat entra in clandestinità e ricompare dopo la guerra del 1967 con il nome di battaglia di Abu Ammar. Nel febbraio 1969 prende il potere all’interno dell’Olp - Movimento per la Liberazione della Palestina - e viene eletto presidente del comitato esecutivo. Da allora non ha più lasciato il timone, sempre rieletto di carica in carica.
Tutta la sua vita è stata un’altalena: grandi sventure, grandi successi. E’ scampato a complotti, sfuggito ad attentati, sopravvissuto a rivolte intestine. Ha visto parecchie volte la morte in faccia ma ne è sempre stato risparmiato. Ha combattuto contro i nemici e contro gli amici che gli voltavano le spalle. Per abilità, ma anche per una buona dose di fortuna, è sempre riuscito ad evitare di cadere nelle trappole che gli preparava il Mossad, il servizio segreto israeliano.
Ha superato indenne il «settembre nero» del 1970, quando re Hussein lo cacciò a cannonate dalla Giordania. E’ uscito incolume dall'invasione israeliana del Libano nel 1982 e dal raid aereo che, nel 1985, lo Stato ebraico sferrò contro la sua base di Tunisi, con l'intento di eliminarlo. Superstite anche delle incessanti faide interne che hanno caratterizzato la vita dell'Olp, dal 1969 ne è sempre stato il leader, a dispetto delle contestazioni anche violente. Nel 1988 è stato proclamato presidente dello «Stato» palestinese. Nel ‘94 ha vinto il Nobel per la pace.
Da leader militare dell'organizzazione, (un «terrorista», secondo gli israeliani), Arafat si è trasformato gradatamente in negoziatore e statista senza Stato. Un dualismo che lui ben evidenziò nel 1974 nel famoso intervento alle Nazioni Unite, quando disse: «Vengo qui con un ramoscello d'olivo e una pistola. Non lasciate che sia il ramoscello a cadermi di mano».
Uomo sanguigno - energie inesauribili e collere spaventose - ha sempre avuto un solo ideale: la creazione di uno Stato palestinese. In nome di questo sogno ha rifiutato di integrarsi - e di far integrare il suo popolo - nel mondo arabo. Nonostante la lingua comune e la retorica del panarabismo, i palestinesi si sono sempre sentiti stranieri a Tunisi, nel Kuwait, al Cairo. E da cinquant’anni vivono nei campi profughi.
Molto fugace è stata la sua parentesi matrimoniale: nel ‘92 ha sposato Soha Tawil, una sua collaboratrice di appena 28 anni, che gli ha dato una figlia. Ma da anni vivono separati: lui a Ramallah, lei, chiacchieratissima, a Parigi. Per il resto, Arafat non beve, non fuma ed è un musulmano devoto. Parco nel mangiare, dorme poco - e per anni mai nello stesso letto. E’ per questo che, ha sempre detto, è ancora vivo.
A 75 anni è sempre più una figura tragica, un leader al tramonto. Eppure conserva la grinta del leone, anche tra le macerie del suo quartier generale. «Vedrò lo Stato palestinese», ha sempre giurato. Disposto a usare tutti i mezzi, passando dalla diplomazia alla lotta armata e viceversa, pur di raggiungere il suo obiettivo. Dei tanti errori che gli vengono imputati, l’ultimo e il più grave è il non aver firmato nel 2000 l’accordo con l’ex premier israeliano Ehud Barak, che gli offriva la restituzione di oltre il 90 per cento dei territori occupati. Molti però dubitano che poi i palestinesi l’avrebbero accettato.
Quanto alla sua gestione dell’Autorità autonoma palestinese - di cui è presidente-amministratore - è considerata unanimamente un fallimento. Grande corruzione e grande spazio ad Hamas, che sembra l’unica organizzazione a preoccuparsi di dare scuole, assistenza e servizi concreti alla povera gente. Peccati gravissimi, che però la sua gente gli perdona perché per cinquant’anni non si è mai risparmiato. E non ha mai tradito la sua promessa.
Analoga omissione della parte più importante della "carriera" di Arafat è presente nella cronolgia della sua vita: "Le sette vite del leader più amato dai palestinesi", che di seguito riproduciamo.
Yasser Arafat nasce secondo le biografie più credibili il 24 agosto 1929 al Cairo, ma lui sostiene di essere nato il 4 agosto dello stesso anno a Gerusalemme. Laureatosi in ingegneria, crea assieme ad alcuni ex compagni di università un movimento palestinese indipendente dagli arabi, Al Fatah che, a dicembre 1964, scatena la lotta armata contro Israele

Arafat entra nella clandestinità e ricompare dopo la guerra del 1967 con il nome di battaglia di «Abu Ammar»

A febbraio 1969 prende il potere in seno all'Olp, creata nel 1964, ed è eletto presidente del comitato esecutivo dell'organizzazione. Da allora è sempre rieletto in carica

Supera indenne il «settembre nero» del 1970 quando Re Hussein lo caccia a cannonate dalla Giordania

Nell’ottobre 1971 - durante una sua visita ad alcune basi palestinesi sulle alture del Golan - gli viene tesa un’imboscata. Ne esce indenne, ma il suo autista è ucciso

Nell’aprile 1973 commando israeliani giungono nella notte a Beirut per assassinarlo, ma trovano - ed eliminano - tre sue guardie del corpo

Nel novembre 1974, parla alle Nazioni Unite, con in testa la tradizionale Keffiah bianca e nera: «Vengo qui con un ramoscello d'olivo e una pistola - dice - non lasciate che sia il ramoscello a cadermi di mano»

Esce incolume dall'invasione israeliana del Libano nel 1982 e dal raid aereo che, nel 1985, lo stato ebraico sferra contro la sua base di Tunisi con l'intento di eliminarlo

Nel novembre 1988, a Algeri, proclama la nascita dello «Stato di Palestina», di cui diventa presidente

L'appoggio dato a Saddam Hussein durante la guerra del Golfo nel 1990 porta a un isolamento dell'Olp

Per anni scapolo «sposato con la Palestina», Arafat sposato a gennaio del 1992 una giovane collaboratrice, Soha Tawil, da cui avrà una figlia

Il 7 aprile 1992 sopravvive a un atterraggio di emergenza del suo aereo nel deserto libico

Tutto crolla nel 2000 con il fallimento dei negoziati di Camp David con il premier israeliano Ehud Barak e l'inizio di una nuova Intifada

Per quattro anni Arafat vive confinato nel suo ufficio (Muqata) di Ramallah, boicottato dal premier israeliano Ariel Sharon e dal presidente americano George Bush.
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