Così come aveva osteggiato gli accordi di Oslo, IL MANIFESTO si schiera contro il piano di ritiro da Gaza.
Michele Giorgio, nell'articolo "Via da Gaza, sì della Knesset al piano Sharon" ci informa che "All'Anp il piano unilaterale di Sharon proprio non piace": è una chiave di lettura importante della posizione assunta dal quotidiano comunista, interessato più a sostenere il terrorismo e l'oltranzismo di Arafat, riscattatosi dal "tradimento" di Oslo, che all'indipendenza e alle condizioni di vita dei palestinesi.
Il resto dell'articolo ripropone argomentazioni propagandistiche consuete negli articoli di Giorgio, in particolare la pretesa che il ritiro sia imposto a Israele dal diritto internazionale e che un referendum in Israele sul destino degli insediamenti sarebbe "per i palestinesi l'ennesima beffa poichè cittadini della potenza occupante sarebbero chiamati a decidere il destino degli occupati", dato che i coloni sono per lui, delle non-persone.
Ed'è proprio a proposito dei coloni che Giorgio si produce in una "trovata" inedita, che rinnova il suo repertorio ormai un po'trito: "i coloni e la destra più oltranzisti" lamenta il nostro cronista, "non hanno esitato a fare uso di tutti i mezzi di pressione psicologica a loro disposizione: gli appelli dei rabbini alla difesa della «santità» della terra e le invocazioni di bambini e adolescenti arrivati in autobus dagli insediamenti di Gaza e della Cisgiordania dove le scuole - violando il divieto del ministero dell' istruzione - sono rimaste chiuse".
Sottolineiamo l'espressione "non hanno esitato a fare uso di tutti i mezzi di pressione psicologica a loro disposizione", che lascerebbe immaginare qualcosa di ben più diabolico di una manifestazione di bambini e adolescenti che non vogliono lasciare le loro case.
La spegazione di questa apparente esagerazione arriva però alcune righe dopo, quando Giorgio scrive: "Per anni i palestinesi sono stati accusati di mandare in strada anche i bambini durante le manifestazioni politiche e gli scontri con i soldati israeliani. Ieri è stato evidente che la maggioranza schiacciante della folla schierata davanti alla Knesset a contestare il piano di Sharon, era formata da giovani, ragazzi e perfino bambini", assimilando una manifestazione pacifica agli scontri armati nei quali i terrorristi palestinesi usano i bambini come scudi umani.
Ecco l'articolo:Con 67 voti favorevoli, 45 contrari e sette astenuti, la Knesset ieri sera ha approvato il progetto di evacuazione delle 21 colonie ebraiche di Gaza e di quattro in Cisgiordania, presentato dal premier israeliano Ariel Sharon. È andato tutto secondo le previsioni e l'ampio margine tra favorevoli e contrari conferma che la suspense delle ore immediatamente precedenti al voto è stata creata dai media e che, in realtà, non aveva alcun riscontro concreto. Allo stesso tempo l'ampia maggioranza trasversale che ha sostenuto quello che qualcuno ha definito «uno storico piano di ritiro da Gaza», non offre garanzie di stabilità politica a Sharon. Il governo, già in minoranza dalla scorsa estate, da ieri sera è ancora più traballante. Il ministro delle finanze Benyamin Netanyahu ha minacciato di dare le dimissioni se Sharon non accetterà di indire un referendum popolare sul ritiro. A questo punto le elezioni anticipate sono una possibilità concreta che Sharon potrà evitare soltanto formando un nuovo governo con i laburisti di Shimon Peres. «È un grande successo del primo ministro. È la prova che a Gaza non abbiano nulla da fare», ha affermato dopo il voto il ministro dei trasporti Meir Shitrit, compagno di partito del premier. Stesso giudizio è stato espresso dal ministro della giustizia Yosef Lapiid, leader di Shinui. Al quartier generale palestinese di Ramallah il voto è stato seguito con scarsa attenzione. All'Anp il piano unilaterale di Sharon proprio non piace, ma presto dovrà farci ugaulmente i conti perché i mediatori egiziani, in linea con le decisioni degli Stati uniti, di fatto lo appoggiano e si preparano all'inizio del prossimo mese a rilanciare la loro iniziativa diplomatica in Israele e Territori occupati, volta proprio a favorire l'uscita dei soldati e coloni da Gaza. A favore di chi? Questo è solo uno dei tanti intettogativi che caratterizzano il progetto di Sharon, benedetto lo scorso aprile dal presidente americano George W. Bush. La situazione alla Knesset è rimasta confusa per tutto il giorno e la votazione è cominciata con mezz'ora circa di ritardo. Tre ministri del Likud - Netanyahu, Israel Katz e Limor Livnat - avevano minacciato di votare contro il ritiro da Gaza se il premier non accetterà la richiesta avanzata dal Partito nazional religioso (Pnr) per un referendum (non previsto dall'ordinamento israeliano). Sharon, che finora si è sempre dichiarato contrario al referendum, ritenendo che servirebbe solo a ritardare l'evacuazione delle colonie, non esclude ora di poter esaminare questa possibilità. Per i palestinesi sarebbe l'ennesima beffa poiché i cittadini della potenza occupante sarebbero chiamati a decidere il destino degli occupati mentre le risoluzioni internazionali impongono a Israele di lasciare i territori arabi che ha preso con la forza delle armi nel 1967. Gli ultimi giorni di tensione ha comunque messo in evidenza che i coloni e la destra più oltranzisti non hanno esitato a fare uso di tutti i mezzi di pressione psicologica a loro disposizione: gli appelli dei rabbini alla difesa della «santità» della terra e le invocazioni di bambini e adolescenti arrivati in autobus dagli insediamenti di Gaza e della Cisgiordania dove le scuole - violando il divieto del ministero dell' istruzione - sono rimaste chiuse. Per anni i palestinesi sono stati accusati di mandare in strada anche i bambini durante le manifestazioni politiche e gli scontri con i soldati israeliani. Ieri è stato evidente che la maggioranza schiacciante della folla schierata davanti alla Knesset a contestare il piano di Sharon, era formata da giovani, ragazzi e perfino bambini. Un rabbino di estrema destra ripeteva: «Dio ci ha affidato il compito di essere i suoi portabandiera...Noi lottiamo per la Terra di Israele, per il nostro popolo, per la giustizia». «Questo ritiro - ha detto da parte sua il deputato Effi Eytan - è una malattia dell'anima. È non solo terribile, è anche immorale». Da oggi in poi sarà proprio Eytam a rappresentare il punto di riferimento nel panorama politico ufficiale della destra più radicale. È finita l'era Sharon, non perché sia diventato «pacifista», ma perché ha spezzato un patto vecchio di decenni. Quello che strinse con i coloni al termine della sua carriera militare per crearsi una base di potere nel Likud. In lui il Gush Emunim (il movimento dei coloni) aveva visto un veicolo del Messia che ora si è trasformato in un «angelo del male». Solo per i palestinesi Sharon non cambia, rimane «Arik, il bulldozer».
Sempre di Giorgio è un'intervista ad Azmi Bishara, deputato arabo-israeliano alla Knesset da lui definito progressista, noto per aver chiesto ai paesi arabi di formare un fronte comune a sostegno del terrorismo palestinese, che ora dichiara, e non sarebbe potuto essere altrimenti, viste le premesse: "Io arabo israeliano voto no contro questa farsa".
Completa la pagina un articolo di Uri Avnery.
Di quest' ultimo ci occupiamo in "Un'opinione ballerina", Informazione Corretta, 27-10-04.
Di seguito pubblichiamo invece l'intervista a Bishara:I deputati arabi-israeliani, tranne i due rappresentanti del movimento islamico (Lista araba unita), hanno votato contro il piano di ritiro da Gaza. Una decisione che, in apparenza, è in contrasto con la perenne richiesta delle forze politiche arabe di evacuazione dei Territori palestinesi occupati da Israele nel 1967. Ne abbiamo discusso con il più noto dei parlamentari arabi-israeliani, Azmi Bishara, leader del partito progressista Tajammo-Balad nonché uno degli intellettuali di punta della minoranza palestinese in Israele.
La decisione dei deputati arabi di votare contro il piano Sharon ha generato forti polemiche. Vi hanno accusato di lavorare contro gli interessi dei palestinesi...
E' una accusa ridicola. Il nostro «no» va proprio incontri agli interessi dei palestinesi che vivono sotto occupazione in Cisgiordania e Gaza. Abbiamo atteso per molti anni l'inizio della evacuazione delle colonie ebraiche e il ritiro dai Territori occupati. Ma qui siamo di fronte a un chiaro tentativo di ingannare non solo i palestinesi, ma l'intera comunità internazionale. Il piano Sharon prevede infatti un rafforzamento delle colonie in Cisgiordania e quindi dell'occupazione in seguito al ritiro da un minuscolo lembo di terra.
Vi ha convinto anche la recente intervista in cui Dov Weissglas, il consigliere di Sharon, ha affermato che il piano di ritiro ha l'obiettivo di congelare la `Road Map' sgradita a Israele?
Senza dubbio, ma ci ha convinto soprattutto il discorso letto da Sharon ieri (lunedì ndr) in Parlamento. Il premier ha detto che il suo piano rafforza Israele in territori ben più importanti, intendendo la Cisgiordania, e ha evitato di prendere in considerazione la sentenza di condanna dei giudici dell'Aja del «muro di separazione» all'interno dei Territori palestinesi. La verità è che Sharon quando descrive il suo progetto politico non ha a cuore la sicurezza degli israeliani. In realtà già nel 1988 teorizzava la separazione unilaterale e la creazione di aree autonome nei Territori occupati per impedire la nascita di uno stato di Palestina sovrano.
Come spiega l'improvviso feeling scattato tra i deputati arabi islamisti e il premier?
Potrei affermare che in queste circostanze vengono fuori tutti gli opportunisti, ma voglio astenermi da un giudizio così irrispettoso della volontà dei colleghi della Lista araba unita. Credo che gli islamisti abbiano voluto cogliere l'occasione per dimostrarsi moderati e tendere una mano a Sharon, che nei mesi scorsi ha usato il pugno di ferro contro il movimento islamico e ordinato l'arresto di alcuni dei suoi dirigenti più importanti. Se questo è il loro obiettivo, allora presto dovranno ingranare la marcia indietro.
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