Sharon erede politico di Rabin
la missione della pace e della sicurezza d'Israele
Testata:
Data: 27/10/2004
Pagina: 1
Autore: un giornalista
Titolo: A nove anni dall'uccisione di Rabin, Sharon vince la sfida del ritiro da Gaza nel Parlamento d'Israele - Le parole dei forti - Sharon, un eroe non per caso
In prima pagina sul FOGLIO di oggi, 27-10-04, l'articolo "A nove anni dall'uccisione di Rabin, Sharon vince la sfida del ritiro da Gaza nel Parlamento d'Israele"
Gerusalemme. Sono passati nove anni da quando, nel centro di Tel Aviv, furono uditi i tre colpi mortali che uccisero Yizhak Rabin, il premier degli accordi di Oslo. Il calendario ebraico ha creato una concidenza. Oggi, mentre Israele ricorda il leader che iniziò il processo di pace in medio oriente, il paese e l’attuale premier, Ariel Sharon, si trovano nello stesso clima pericoloso, nuovamente di fronte a gesti e sfide storiche. Ieri infatti la Knesset ha approvato, con 67 voti a favore, 45 contrari e sette astenuti, il progetto di ritiro unilaterale da Gaza.
Il discorso con cui Sharon ha presentato lunedì al Parlamento il suo piano di disimpegno ha ricordato a molti le dichiarazioni di Rabin pronunciate prima del voto per l’approvazione degli accordi di Oslo o quelle scelte per accettare il premio Nobel per la pace (vedi articolo a fianco). Sharon come Rabin ha parlato delle "concessioni dolorose" che lo Stato d’Israele stava e sta per accettare. Ha teso la mano verso i palestinesi, precisando che "non abbiamo avuto intenzione di costruire la nostra vita in patria sulla base della vostra rovina" ed è andato oltre, si è scusato: "Proviamo dolore assieme a voi, ci sono vittime innocenti fra di voi". A chi lo ha accusato di mentire agli israeliani ha risposto: "Sia nella campagna elettorale sia durante il mio mandato come primo ministro ho sostenuto la realizzazione di uno Stato palestinese accanto a Israele".
Nove anni dopo l’assassinio di Rabin, di cui Sharon sembra erede legittimo, la maggioranza degli israeliani vuole il ritiro unilaterale da Gaza e sa che questo sviluppo, molto più contrastato alla Knesset che nella società, può portare alla nascita dello Stato palestinese. Nonostante le accuse di una parte del governo di Gerusalemme che sostiene che i palestinesi violano totalmente gli accordi di Oslo, quasi metà del territorio della Cisgiordania è sotto il controllo civile dell’Autorità nazionale palestinese. Anche se l’esercito israeliano è costretto a entrare e uscire da Gaza per prevenire attacchi, in termini giuridici la maggior parte dell’area della Striscia è amministrata dai palestinesi. La pace con la Giordania, firmata proprio dieci anni fa (altra storica coincidenza), è una testimonianza importante per chi nella destra fino a pochi anni fa ancora sperava in un trasferimento dei palestinesi nel territorio della monarchia hashemita. Addirittura la barriera difensiva, così discussa, è stata l’opera di un governo di destra che ha realizzato un piano nato fra i laburisti. Infine, il progetto di disimpegno unilaterale di Sharon, che gode anche del sostegno di gran parte dell’opposizione e che è molto simile alla mossa unilaterale che aveva fatto il governo laburista di Ehud Barak, quando l’allora premier guidò Israele fuori dal Libano, porterà Tsahal e gli insediamenti, con la firma di Arik, fuori da Gaza. La via del ritiro unilaterale è ancora lunga, dolorosa e a rischio fallimento; proprio come il destino politico, e non soltanto, del premier che ha sfidato il suo stesso partito, il Likud, e parte della sua maggioranza di governo, pur di portare avanti un progetto politico ambizioso e incardinato sulle scelte altrettanto ambiziose e rischiose di alcuni leader del passato.
Poche ore prima dello storico voto alla Knesset di ieri sera, l’incitazione all’odio è tornata a caratterizzare il clima politico d’Israele. A pochi metri da dove è stato assassinato Rabin, in via Dizingof, la polizia ha trovato una scritta su un muro: "Un altro assassinio politico sarà accettato ben volentieri". Mentre a Gerusalemme, contemporaneamente e sempre su un muro, è stato scritto un altro messaggio minatorio: "Abbiamo eliminato Rabin, elimineremo anche Sharon". Non si tratta di pazzi, ma di fanatismo, organizzato da chi non accetta le regole del gioco democratico, una volta che queste sono contrarie ai loro interessi: è la preoccupazione dei servizi di sicurezza. Perfino alcuni membri del Parlamento, nelle concitate ore di discussione che hanno preceduto il voto di ieri sera, non hanno pesato le parole delle loro accuse rivolte al premier. Uri Arieli, membro del partito Unità nazionale, ha detto: "Il primo ministro è un bugiardo che ha rubato la sua elezione. E’ un dittatore, bisogna cacciarlo". Un suo compagno, Zvi Hendel, si è espresso in maniera ancora più drastica sull’operato del primo ministro. E’ proprio a loro che si è rivolto Sharon durante il suo discorso alla Knesset: "In alcuni di voi si cela un complesso messianico".
Sharon, l’uomo che si è sempre battuto per garantire la sopravvivenza e la sicurezza dello Stato d’Israele e dei cittadini israeliani, oggi è criticato, attaccato, oltraggiato, com’è accaduto nove anni fa a Rabin. Ami Ayelon, ex capo dei servizi della sicurezza interna (Shabak), ha detto più volte che Israele non potrà affrontare un altro assassinio politico. Per questo motivo i reparti di sicurezza proteggono ogni passo di Sharon e per questa ragione anche la sinistra – "siate coraggiosi, votate a favore", ha detto il premio Nobel per la pace, Shimon Peres – appoggia il premier del Likud nel cammino verso il disimpegno da Gaza. Ora anche sulla stampa europea e italiana aumentano le voci di chi, magari con un po’ di ritardo, coglie la portata storica del progetto di Sharon, il premier che ha tirato dritto, determinato nella convinzione del valore del suo progetto, fino all’approvazione della Knesset di ieri sera.
Sempre in prima pagina. "Le parole dei forti"
Pubblichiamo stralci del discorso del primo ministro israeliano Ariel Sharon il 25 ottobre all’apertura della sessione della Knesset, per il voto del piano unilaterale di disimpegno dalla Striscia di Gaza, assieme a parti dell’intervento dell’ex premier Yitzhak Rabin pronunciato alla cerimonia di consegna del premio Nobel per la pace vinto nel 1994 insieme con il presidente palestinese Yasser Arafat e all’allora ministro degli Esteri israeliano Shimon Peres.

Credo nella necessità di fare il passo del disimpegno da queste aree, con tutte le pene che questo comporta, e sono determinato nel portare a compimento questa missione. Sono fermamente convinto e credo veramente che questo ritiro rafforzerà il controllo d’Israele su un territorio che è essenziale alla nostra esistenza, e sarà accolto e apprezzato da coloro che sono vicini e coloro che sono lontani, ridurrà l’animosità, romperà i boicottaggi e gli assedi, ci porterà avanti sulla strada della pace con i palestinesi e i nostri vicini".
(Ariel Sharon, discorso alla Knesset, 25 ottobre 2004)
"Siamo determinati a fare bene questo lavoro – nonostante il bilancio del terrorismo assassino, nonostante i nemici fanatici e astuti. Continueremo nella direzione della pace con determinazione e fermezza. Non molleremo. Non ci arrenderemo".
(Yitzhak Rabin, 10 dicembre 1994)

"Avendo combattuto tutte le guerre d’Israele, e imparato dall’esperienza personale che senza la forza appropriata non abbiamo possibilità di sopravvivere in questa regione, che non mostra pietà nei confronti dei deboli, ho anche imparato dall’esperienza che la spada da sola non decide l’amara disputa in questa terra". (Sharon)
"In quel momento di grande tensione, appena prima che il dito prema sul grilletto, appena prima che la miccia cominci a bruciare, nella terribile quiete di quel momento, c’è ancora tempo per chiedersi, da soli: E’ veramente imperativo agire? Non c’è altra scelta? Non c’è nessun altro modo?". (Rabin)

"Questo è un popolo che ha coraggiosamente affrontato e ancora affronta il peso
del terrore dell’attuale guerra che continua di generazione in generazione; nella quale, come in una staffetta, i padri passano le pistole ai figli; in cui il confine tra il fronte e le case è stato a lungo cancellato; in cui scuole e hotel, ristoranti e mercati, caffè e autobus, diventano obiettivi del crudele terrore e dell’assassinio premeditato".
(Sharon)
"Per decenni Dio non ha avuto pietà dei bambini degli asili in medio oriente, dei bambini delle scuole e dei loro compagni più grandi. Non c’è stata pietà in medio oriente per generazioni". (Rabin


"Siamo stati attaccati e siamo rimasti saldi, con le nostre schiene rivolte al mare. Molti sono caduti in battaglia, molti hanno perso le loro case, i campi, i frutteti e sono diventati rifugiati. Questa è la guerra. Tuttavia, la guerra non è inevitabile e predestinata. Anche oggi rimpiangiamo la perdita di vite innocenti tra le nostre file. La nostra via non è quella dell’uccisione intenzionale".
(Sharon)
"Per difendere queste vite, abbiamo chiesto ai nostri cittadini d’iscriversi alle liste militari e di difendere le vite dei nostri cittadini servendo nell’esercito. Abbiamo
investito enormi somme in aeroplani, carri armati, rivestimenti corazzati e fortificazioni in cemento armato. Però, nonostante tutto ciò, abbiamo fallito nel proteggere le vite dei nostri cittadini e soldati. Cimiteri militari in ogni angolo del paese sono testimoni silenziosi del fallimento dei leader nazionali nel santificare la vita umana. C’è un solo radicale modo per santificare la vita umana. Non rivestimenti corazzati, né carri armati, né aeroplani, né fortificazioni in cemento armato. La sola soluzione radicale è la pace". (Rabin)
A pagina 3, l'editoriale "Sharon, un eroe non per caso"
Uno dei tre "uomini neri" additati al ludibrio dall’opinione politicamente corretta, cioè George W. Bush, Silvio Berlusconi e Ariel Sharon, sembra stia
uscendo dalla lista dei ricercati. Si tratta del premier israeliano. Dopo i tentativi di processarlo come nemico dell’umanità in vari tribunali europei, ora riceve dalla stampa e dai commentatori internazionali un profluvio di elogi, accompagnati da non celato stupore. Anche in Italia, dove la faziosità è spesso più resistente che altrove, si ha qualche segno in questa direzione. L’Unità, due giorni fa, portava come titolo di prima pagina l’opinione di David Grossman: "Sharon questa volta va sostenuto. Il ritiro da Gaza è un atto storico". Anche dagli ambienti cattolici, spesso aspramente critici verso la politica israeliana, è venuto in questa occasione un plauso convinto. L’editoriale di Avvenire di martedì era titolato "Storico passo di Sharon. Svolta possibile a lui solo". Nell’articolo, di Fulvio Scaglione, si contrappone uno Sharon realista e coraggioso, che sfida l’opposizione interna al suo partito per dare una chance alla pace, a un Arafat incapace "di garantire un minimo di buon governo all’entità amministrativa palestinese e di farla uscire dalla spirale attentati-repressione". La domanda che s’impone è se sia Sharon che ha cambiato repentinamente politica o se sono i commentatori
che hanno tardato a capirla. Sharon, fin dal primo giorno del suo governo, ha
sostenuto che Israele avrebbe dovuto compiere "dolorosi sacrifici" per ottenere una stabilizzazione delle relazioni con i suoi vicini, e che avrebbe fatto tutto il necessario, purché non fosse messa in pericolo la sua sicurezza e la sua esistenza. Se il ritiro da Gaza è unilaterale (ma in realtà concordato con l’Egitto) è perché i palestinesi non vogliono o non possono frenare i terroristi che lo vogliono far apparire come la ritirata di un esercito sconfitto. Questo era chiaro fin dall’inizio, ma Sharon è stato isolato da tutti, esclusi i suoi colleghi neri, Bush e Berlusconi. Ora si riconosce
che aveva ragione lui, e quindi, ma non lo si dice, anche loro.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.
lettere@ilfoglio.it