A Bari accade l'incredibile: le vittime diventano i colpevoli
le reazioni di tre quotidiani
Testata:
Data: 22/10/2004
Pagina: 1
Autore: le redazioni
Titolo: Un giudice legittima i sequestri dei "mercenari".Qualcuno chiede che l'ignominia sia riparata, qualcuno applaude
Da pagina 3 del FOGLIO di oggi, 22-10-04 riportiamo l'editoriale "Appello a Ciampi contro l'ignominia"
Signor presidente della Repubblica, le chiediamo nella sua qualità di garante
dell’unità nazionale e di presidente del Consiglio superiore della magistratura
di intervenire nell’increscioso caso sollevato da un gip di Bari a proposito di alcuni italiani che sono stati sequestrati in Iraq e tenuti come maiali in un porcile per alcune settimane, fino alla loro liberazione manu militari. Le chiediamo di restituire pienamente l’onore civile a Fabrizio Quattrocchi, uno di loro, che è stato assassinato dai terroristi islamisti in nome della loro guerra santa contro ciò che noi siamo, contro i nostri alleati occidentali, contro i nostri soldati, civili e carabinieri morti a Nassiriyah. Le chiediamo
di dire parole alte e forti contro ogni ambiguità, anche quelle derivate da un eventuale esercizio automatico e burocratico della legge, nel caso di un nostro
connazionale come Quattrocchi, morto fucilato gridando ai fucilatori: "Adesso vi
faccio vedere come muore un italiano". Ella sa bene, signor presidente della
Repubblica, che siamo abbastanza adulti da sapere che in Italia l’azione penale è obbligatoria e che il gip di Bari rivendicherà di avere qualificato come "mercenari" o "fiancheggiatori" o "gorilla" della coalizione occidentale in Iraq gli ostaggi italiani in base a strette regole del codice penale, che gli imporrebbero di indagare in merito e di qualificare come reato i metodi di arruolamento del personale di sicurezza a contratto privato nel teatro di guerra iracheno. Ma ella sa anche benissimo che non esistono atti, parole, motivazioni di comportamenti pubblici privi di conseguenze sulla comunità
nazionale. E che se è cominciata la caccia giudiziaria al "mercenario", cioè all’italiano che va a lavorare e a rischiare in quel paese dalla stessa parte dei nostri militari, e per gli stessi scopi di protezione della ricostruzione e della pacificazione, la conseguenza non può che essere una profonda e divisiva spaccatura nell’opinione della nazione su una questione di principio che tocca a
lei tenere saldamente in pugno. Fabrizio Quattrocchi è stato un buon italiano ucciso dal nemico, come Enzo Baldoni, e sta a lei riaffermarlo con parole chiare e solenni per evitare che molti italiani, e noi tra questi, considerino un "nemico" chiunque si azzardi a togliergli questa qualifica conquistata a due passi dalla morte, con parole che ebbero un significato profondo anche se il paese non seppe ascoltarle ed accoglierle con il calore che sarebbe stato necessario.
L'UNITA' di oggi affronta in altro modo la vicenda. Anna Tarquini nell'articolo:"Il giudice: "Erano mercenari"", ritene, compiaciuta, che la procura di Bari abbia messo una "pietra tombale" sull'"attività degli ex ostaggi italiani sequestrati in Iraq il 12 aprile scorso".
Una frase decisamente infelice, per un articolo privo di dubbi.
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ROMA «Giravano armati, potevano rispondere al fuoco e avevano facoltà di fermare e controllare le persone. Veri mercenari al servizio degli Stati Uniti e per questo sono stati rapiti». Agliana, Cupertino, Stefio e Quattrocchi (insieme ad undici colleghi partiti per Baghdad), non erano semplici bodyguard, ma «veri e propri fiancheggiatori delle forze di coalizione».
La procura di Bari mette una pietra tombale sull’attività degli ex ostaggi italiani sequestrati in Iraq il 12 aprile scorso, poi liberati con un blitz delle forze di coalizione e forse dietro il pagamento di un riscatto. Loro hanno sempre negato, hanno sempre sostenuto di essere stati ingaggiati come guardie private per proteggere importanti uomini d’affari. Dalle carte - oggi - risulta tutt’altro.
Risulta, invece, che gli americani avevano fornito loro armi e porto d’armi, uno di questi fu rilasciato proprio a Fabrizio Quattrocchi, l’unico ad essere in possesso di una mitraglietta e di una pistola al momento del rapimento. Risulta come alcune guardie del corpo italiane - non si tratta del caso dei quattro rapiti - fossero partite per l’Iraq con il compito di addestrare le guardie irachene ad usare i kalashnikov.
Ruoli e volti Il colpo di scena è scritto su poche durissime pagine che servivano a motivare la necessità di opporre un divieto di espatrio a Giampiero Spinelli, la guardia del corpo indagata per aver violato l’articolo 288 del codice penale arruolando civili italiani per missioni militari all’estero. Spinelli stava partendo per il Brasile e la magistratura di Bari che aveva raccolto parecchio materiale sulle indagini voleva evitarlo. Prima che il tribunale del riesame respingesse la sua richiesta, il magistrato aveva ricostruito lo scenario degli strani ingaggi delle guardie del corpo italiane nei paesi stranieri riuscendo a definire bene anche i diversi ruoli: chi erano i capi e chi i gregari, chi ha arruolato e chi è stato arruolato. Capo era certamente Stefio, titolare della società Presidium, ma anche Paolo Simeone, indagato a Genova. Spinelli aveva ingaggiato alcuni uomini in Italia e tra questi il compaesano Cupertino.
«Fermavamo e sparavamo» Tre inchieste di tre procure diverse, insieme a Bari sul traffico illecito di mercenari indagano anche Roma e Genova. Uno dopo l’altro sono sfilati i testimoni e proprio grazie alle loro deposizioni che il puzzle è stato ricomposto. La più importante è quella di Paolo Costi, guardia del corpo arruolato nel febbraio del 2004, più o meno la stesso periodo degli altri. «Avevamo il potere di fermare le persone - racconta al magistrato - in caso di necessità potevamo aprire il fuoco anche se sempre solo in risposta ad un attacco armato». Casti è ancora più preciso: «Questa attività era svolta con l' avallo della sicurezza dell' albergo (in cui lui ed altri lavoravano per garantire la sicurezza, ndr), della polizia irachena ivi presente, e delle stesse forze della coalizione, che autonomamente o su nostra richiesta, ci coadiuvavano nell'espletamento delle nostre attività. Le stesse forze della coalizione (militari americani) in più occasioni hanno usufruito del comprensorio dell' albergo e delle sue strutture interne per porre delle basi di osservazione e postazioni di attacco (installazione di lanciarazzi)». Dunque era attività militare a tutti gli effetti. Come conferma la testimonianza di Cristiano Meli: «Ho lavorato con Simeone a Bassora, facevamo addestramento alle guardie irachene».
Le società L'affondo del gip comincia già dalla prima pagina quando, sintetizzando i dati posti alla sua attenzione, scrive: «Invero, le indagini hanno consentito sinora di accertare che era effettivamente vero quanto ipotizzato, subito dopo il sequestro dei quattro italiani in Iraq, che essi erano sul territorio di quel Paese in veste di mercenari o, quantomeno, di gorilla a protezione di uomini di affari in quel martoriato Paese». Tutto ruota intorno alla Dts security, la società di Paolo Simeone (con sede legale inesistente in Nevada) e alla Presidium di Salvatore Stefio e Giampiero Spinelli, (anch’essa con una sede legale fantasma alle Seychelles e succursali in altri paesi tra cui due riferimenti diversi in Italia). Tutte le società sono state costituite nei primi mesi del 2004, tutte e due offrono addestramento militare, sminamento, servizi di scorta. La Presidium - specifica il suo sito - «offre uomini specializzati ai governi che hanno necessità di una rapida soluzione dei problemi di carattere militare». Nell’incipit si configura già un’ipotesi di reato, ma provarlo è altro conto. Ci pensa Paolo Casti a fornire alcuni elementi al magistrato. Scrive il gip, Casti era giunto in Iraq prima di Agliana, Cupertino, Spinelli, Didri Forese e Stefio. A Baghdad trovò sul posto Paolo Simeone, Cristiano Meli e Fabrizio Quattrocchi. Era stato Simeone a ingaggiare Quattrocchi con una e-mail a Genova, gli altri arrivavano dalla Presidium. «Simeone - conferma Casti al giudice - doveva formare una squadra di undici persone con il compito di coadiuvare le forse di coalizione». Una volta in Iraq i quattro ostaggi avrebbero saputo di dover lavorare per la società Dts (quella di Simeone) a settemila dollari al mese. «Dovevamo proteggere degli uomini d’affari - hanno sempre sostenuto i tre ex ostaggi. «Il loro compito - spiega invece il gip - consisteva in una vera e propria attività militare di supporto ed erano stati armati, tutti, di pistola e di una mitraglietta MP5 in dotazione alle truppe d’assalto anglo-americane».
Armi e paradisi E veniamo al ruolo di Giampiero Spinelli, l’unico indagato del ramo barese dell’inchiesta di cui si conosce il nome, difeso da Carlo Taormina. Suo è il numero di cellulare che la società Presidium dà come riferimento oltre a un indirizzo di Olbia dove non esiste alcuna sede societaria. Spinelli è l’uomo che certamente ha ingaggiato Cupertino, forse altri e come gli altri ha sempre negato di aver svolto attività paramilitari. Ma è il suo ruolo nella Presidium a destare maggiore interesse. Nel dettaglio gli viene contestato di aver arruolato, tramite la Presidium, Didri Forese, Maurizio Agliana e Umberto Cupertino «affinchè militassero in territorio iracheno in favore di forze armate straniere (anglo-americane, per la precisione), in concerto ed in cooperazione con le medesime, in contrapposizione a gruppi armati stranieri». Il magistrato non lo dice, ma il sospetto è che dietro la Presidium ci sia appunto solo Spinelli. Una società illegale che «era un centro di addestramento e arruolamento di mercenari se non peggio, come farebbe pensare la scelta della sede centrale in un paradiso fiscale e la relativa tranquillità che offre...».
Sulla stessa linea, anche se più intelligentemente si preoccupa di prendere le distanze dalla "spegazione" del sequestro contenuta nella sentenza, è Giulia Bianchi in "Ciampi restituisca l'onore a Quattrocchi" a pag 3 del MANIFESTO
Ciampi restituisca l'«onore civile» a Fabrizio Quattrocchi, «assassinato dai terroristi islamisti». E' quanto chiede Giuliano Ferrare nell'editoriale sul Foglio di oggi. Un'iniziativa che è sicuramente farina del sacco dell'Elefantino, ma di cui forse palazzo Chigi e lo stesso Quirinale sono stati informati anticipatamente in modo da rimettere subito in sesto la vicenda dei quattro italiani rapiti in Iraq e che secondo il gip di Bari Giuseppe De Benedictis svolgevano un ruolo di «veri e propri fiancheggiatori» delle forze occupanti, vestendo i panni di «mercenari, o quantomeno, di gorilla a protezione di uomini di affari in quel martoriato paese». Sia dunque il capo dello stato - invoca Ferrara quasi a nome di tutta la destra italiana con l'elmetto - a lavare l'insulto al martire Quattrocchi e ai suoi tre meno sfortunati soci. Come chiede anche il ministro per i rapporti con il parlamento Carlo Giovanardi. E come probabilmente dovrà accadere, dato che il gip è incappato anche nello scivolone di affermare che il ruolo di fiancheggiatori dei quattro «spiega, se non giustifica, l'atteggiamento dei sequestratori nei loro confronti». Un'affermazione così macroscopica da scatenare subito la richiesta di provvedimenti disciplinari nei confronti del gip barese da parte di esponenti del centrodestra. Tuttavia, proprio a salvaguardia dell'indipendenza della magistratura di cui è massima autorità, Ciampi potrà sì restituire l'onore a Quattrocchi ma non trascinare nel fango una toga. Tantopiù che, a sentire gli uffici giudiziari di Bari, la frase del gip doveva significare che il ruolo paramilitare dei quattro italiani «spiega, ma non giustifica» l'atteggiamento dei carcerieri.

Perché il terreno del contendere è effettivamente duplice. Da un lato gli accertamenti che secondo il gip dimostrano l'attività di mercenari svolta dai quattro rapiti; dall'altro la valutazione dello stesso gip sulcomportamento dei rapitori. Ed è facendo leva su questo secondo, equivoco punto che la maggioranza suona la doppia fanfara che non potrebbe amare di più: il grido di guerra e quello contro la magistratura.

«Signor presidente della repubblica - scrive dunque Ferrara -, le chiediamo nella sua qualità di garante dell'unità nazionale e di presidente del Consiglio superiore della magistratura di intervenire nell'increscioso caso sollevato da un gip di Bari a proposito di alcuni italiani che sono stati sequestrati in Iraq e tenuti come maiali in un porcile per alcune settimane, fino alla loro liberazione manu militari». Ciò che chiede Ferrara rispolverando il plurale di rappresentanza per chi si è sentito in una guerra giusta è «di restituire pienamente l onore civile a Fabrizio Quattrocchi, uno di loro, che è stato assassinato dai terroristi islamisti in nome della loro guerra santa contro ciò che noi siamo, contro i nostri alleati occidentali, contro i nostri soldati, civili e carabinieri morti a Nassiriyah». Che significa chiedere anche di più: perché significa chiedere la benedizione della guerra prima che la pietà per i morti e la sempreverde condanna dei magistrati: «Se è cominciata la caccia giudiziaria al mercenario, cioè all'italiano che va a lavorare e a rischiare in quel paese dalla stessa parte dei nostri militari, e per gli stessi scopi di protezione della ricostruzione e della pacificazione, la conseguenza non può che essere una profonda e divisiva spaccatura nell'opinione della nazione su una questione di principio che tocca a lei tenere saldamente in pugno».

Quanto invece all'attività dei quattro italiani in Iraq, il sottosegretario alla difesa, Francesco Bosi, è stato chiaro: «Al governo non risulta che i quattro lavorassero per gli Stati uniti o per la Cpa - dice - Erano invece al servizio di privati». Una loro diretta dipendenza dagli Usa, ha sottolineato, «non è mai risultata a nessuno, a meno che non si voglia elucubrare e dire `se tu lavori per uno, che a sua volta lavora per un altro, eccetera'. Ma si tratta comunque di congetture che non possono portare a dichiarare che ci fosse una collaborazione diretta». A questo proposito però il presidente dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio chiede che il governo vada in parlamento a fare luce. «Le affermazioni del gip di Bari sono estremamente gravi e, se confermate, dimostrerebbero che Berlusconi e il governo italiano hanno nascosto la verità al parlamento - dice - L'esecutivo venga subito a riferire in aula. Ora il problema non è soltanto accertare la verità sul passato, ma capire se esistono o no mercenari italiani in Iraq, se il governo sostiene queste presenze o chiude un occhio su certe attività».
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