Viaggio nell'odio per Israele
violento e intollerante a Pisa come negli Stati Uniti
Testata:
Data: 21/10/2004
Pagina: 1
Autore: Michele Battini - Marina Valensise
Titolo: Pisa antisemita - Glucksmann ci guida alla riscoperta dell'odio, sentimento dimenticato
Dal Jerusalem Post e dal bollettino del Keren Hasyesod una testimonianza del clima violento e antisemita che domina nel movimento "pacifista" statunitense:
Ecco l'articolo di Roberrt Jancu, avvocato e direttore dell'American Legal Response Team for Democracy (www.alert-ed.org), «La "Manifestazione della Pace" di Manhattan»

Un venerdì ho letto su un giornale che un gruppo chiamato The Middle East
Peace Coalition (La Coalizione della Pace in Medio Oriente) avrebbe tenuto
una dimostrazione il giorno seguente, fra le 3 e le 6 del pomeriggio, a
Manhattan, nello Union Square Park. Si trattava di uno delle tante
manifestazioni pubbliche, organizzate da gruppi politici di ogni colore, in
coincidenza con la Convenzione Nazionale Repubblicana, che doveva cominciare
il 30 agosto.

Io voglio la pace in Medio Oriente, così ho deciso di prendere parte alla
dimostrazione. Non avevo mai sentito parlare di questa Coalizione, ma mi
immaginavo che sarebbe stato carino se io, ebreo sionista, avessi potuto
trovarmi in piena solidarietà con una coalizione di persone che desiderano
la pace fra Israele ed i suoi vicini arabi.

Ho scarabocchiato a mano un cartellone che annunciava semplicemente
"Sionisti per la Pace" e disegnato una bandiera israeliana con i simboli
della pace in uso nei lontani anni Sessanta.

Sono andato alla manifestazione con un'amica, Paulina Valish. Paulina è
una dei sopravvissuti all'attentato suicida alla Discoteca del Dolphinarium
di Tel Aviv, avvenuto il 1° giugno 2001, in cui 5 dei suoi amici, cristiani
ed ebrei, furono fra i 21 adolescenti uccisi. Lei stessa rimase ricoverata
in ospedale per due mesi, fu sottoposta a cinque operazioni (e dovrà farne
un'altra), ha ancora chiodi e schegge metalliche della bomba nelle gambe,
nella schiena e in un braccio e rimarrà per sempre priva di diversi pezzetti
del corpo.

Anche lei è sionista ed anche lei vuole la pace.

Mentre Paulina ed io ci mischiavamo alla folla, tentando di avvicinarci all
'oratore, mi sono reso conto che questa manifestazione per la pace poteva
non essere così come era stata pubblicizzata, quando ho individuato un uomo
che una volta avevo visto vendere dei distintivi del Fronte Popolare di
Liberazione della Palestina.

Il FPLP è una banda marxista-leninista, specializzata nell'assassinio all'
ingrosso di civili. Il Dipartimento di Stato americato la classifica,
giustamente, fra le organizzazioni terroristiche straniere.

L'oratore alla manifestazione continuava ad insistere sul complotto sionista
che controlla l'America.

"Chi dirige la politica estera americana in Medio Oriente? Chi ne è
responsabile? Wolfowitz, Rumsfeld, Feith, Perle, Abrams: ebrei destrorsi,
che lavorano per gli israeliani".

Chiamare Rumsfeld ebreo è stata una svista minima, se paragonata alla
perorazione finale sui "Campi della morte sionisti".

Paulina ed io abbiamo non abbiamo avuto abbastanza tempo per ascoltare.
Quando i manifestanti accanto a me hanno letto il mio innocente cartellone,
mi si sono avvicinati. I sionisti odiano la pace, insistevano. Qualcuno mi
ha chiamato nazista. La coraggiosa Paulina continauava ad appoggiarmi,
tentando di capirci qualcosa, di questi bellicosi pacifisti. I giornalisti
che ronzavano intorno, annusando il potenziale di una storia,
scarabocchiavano brani di conversazione e scattavano istantanee, mentre la
Middle East Peace Coalition formava un circolo intorno a Paulina e a me.

Una donna ha preteso che mettessi giù il mio cartellone "Sionisti per la
Pace".

"Questa è una dimostrazione per la pace", ho obiettato.

"Chi ti ha detto che si trattava di una dimostrazione per la pace, eh?" ha
detto.

Poi, in modo allarmante, ha urlato: "Niente giustizia, niente pace".

Augurandomi di non trovarmi dalla parte destinata a ricevere "niente pace",
ho biascicato, pateticamente: "Middle East Peace Coalition. Diceva [il
giornale] 'una dimostrazione per la pace'. Sul mio cartellone c'è scritto
'pace'".

Ne è seguito un dialogo fra sordi. Ho chiesto perché gli ebrei non possano
avere uno stato come ogni altra nazione, esattamente come lo vogliono i
palestinesi. O perché il Sionismo sia razzismo, se un intero 20% della
popolazione israeliana è palestinese, metre gli arabi insistono che tutti
gli ebrei abbandonino la Cisgiordania, in modo da avere uno stato senza
ebrei.

Qualcuno ha preteso di sapere perché avessi nominato la situazione della
West Bank e di Gaza, in quanto punti di attrito, invece di parlare di "tutta
l'occupazione". Poi, un tale avviluppato in una bandiera palestinese ha
affermato che, dal momento che tutto Israele è territorio occupato e l'
esistenza d'Israele è quindi un crimine contro la pace, un sionista come me
doveva essere, per definizione, un intruso in una manifestazione per la
pace.

Qualcuno ha aggiunto che la stragrande maggioranza delle organizzazioni
non-governative accreditate presso l'ONU, avevano dichiarato alla Conferenza
Mondiale dell'ONU di Durban (Sud Africa) nel 2001 che il Sionismo era un
movimento razzista ed illegale. Mi sono detto d'accordo che, nel complesso,
le Nazioni Uniti e la Middle East Peace Coalition condividevano lo stesso
modo di vedere Israele.

Avendo la sensazione di stare subendo uno 'scaccomatto', l'uomo che sembrava
avere la responsabilità dell'evento, si è messo ad urlare: "Tornatevene nel
vostro paese!"

Ritengo che intendesse Israele, sebbene io sia nato e cresciuto in America.
Ma come può Israele essere il mio paese, se, secondo loro, Israele non deve
esistere?

Alla fine, mi hanno tirato addosso la polizia. Un poliziotto molto gentile,
chiamato Robert Chico, mi ha chiesto di andarmene. Per quanto non volessi
fare problemi all'agente Chico, ho esposto il mio caso:

un sionista per la pace fa legittimamente parte della coalizione per la pace
in Medio Oriente; questa è stata definita una dimostrazione per la pace in
Medio Oriente; la città di New York ha concesso al gruppo il permesso di
manifestare, sulla base di queste premesse; quindi, o che il loro permesso
deve essere revocato, per essere stato richiesto sotto falso pretesto (Nella
mia frustrazione, ho suggerito che avrebbe dovuto essere richiesto a nome
della Coalizione per il genocidio in Medio Oriente"), o che a me viene
concesso di rimanere e che questi agitatori contro la pace siano fatti
allontanare.

Osservando il sarcasmo e gli epipeti di cui ero fatto oggetto mentre parlavo
con lui, l'agente Chico ha detto di capire la mia posizione, ma di essere
costretto a portarmi via, per la mia stessa protezione.

Paulina Valish, che è rimasta con me nel corso di tutta la dimostrazione
pacifista, è un'anima intrepida.

In luglio, ha acconsentito alla proposta - fattale dal regista Pierre
Rehov - di incontrare il padre del terrorista suicida del Dolphinarium (Il
padre si è rifiutato di incontrarla e la Giordania - dove vive - si è
rifiutata di accordarle il visto)

Studentessa di Storia e Scienze Politiche alla City University di New York,
ha sostenuto discussioni con i compagni di classe musulmani, che difendevano
gli attentati suicidi contro gli ebrei israeliani, e non ha mai rivelato di
essere lei stessa stata vittima di tale atrocità.

Dopo che l'agente Chico ci ha fatto allontanare dalla dimostrazione
pacifista, la coraggiosa Paulina ha osservato che aveva creduto che nulla
ormai potesse più spaventarla, "ma che la Middle East Peace Coalition ci era
riuscita".
Dal FOGLIO di oggi, 21-10-04, la lettera del professor Michele Battini dell'Università di Pisa, sull'episodio di intolleranza e violenza contro il consigliere dell'ambasciata d'Israele avvenuto nel suo ateneo.
Ecco l'articolo, "Pisa antiebraica"

Partiamo da un fatto inoppugnabile.
L’immagine della città e dell’Università
pisana è, in questo momento, pessima.
Qualità della ricerca, intensità della
didattica, patrimonio bibliotecario, tradizione
normalistica sono realtà che si sbriciolano
di fronte alla gravità di ciò che è
accaduto.
La città ha conquistato ieri la prima pagina
di tutti i quotidiani per le inaudite rivelazioni
sull’archivio brigatista. Assieme
ad altri, Enrico Letta veniva pedinato e
schedato innanzitutto perché obiettivo facile
e inerme. E’ difficile accettare che chi
ha programmato e progettato questa infamia,
commettendone altre, abbia vissuto e
lavorato tra noi. Pisa è stata la sede nazionale,
assieme a Firenze, delle "nuove"
Brigate Rosse. La storia del gruppo è stata
fatta. Sono evidenti le sue origini da associazioni
e comitati della sinistra di movimento
degli anni Novanta, se non in un
rapporto di filiazione, certo di ambientazione
sociale e culturale. Altrettanto certa
è l’assenza di relazioni con le Br storiche,
quelle vere, nonché con la sinistra estremista
degli anni Sessanta e Settanta. (Non
esiste insomma alcuna continuità o contiguità
con la stagione del lungo Sessantotto
pisano e con la sua principale eredità
organizzata, come invece è stato a lungo
sostenuto, anche da fonti ufficiali: la stessa
colonna toscana delle prime Br, formatasi
tra il 1976-77 e 1982, costituì una rottura,
una cesura netta nei confronti del movimento
studentesco e della sinistra extraparlamentare
pisana). Però si pose, tra
gli anni Settanta e Ottanta, ai singoli individui
e alle forze organizzate di quella sinistra
il dovere di un severissimo esame di
coscienza per l’eventuale responsabilità
di non avere combattuto decisamente le
prime manifestazioni di terrorismo. E non
da oggi, ad associazioni, forze collettive e
singoli pacifisti si ripropone il problema
della separazione tra legittima polemica
politica, categorie dell’intolleranza, pratiche
della violenza.
E qui vengo all’Università. L’ateneo di
Pisa è stato teatro di una indefinibile violenza
antiebraica ai danni del Prof.
Cohen. Le reazioni ci sono state, importanti,
ma tardive e deboli, non tanto rispetto
all’episodio ma al fenomeno di cui
questo è l’effetto. La violenza contro
Cohen e Vernassa non è infatti inedita né
recente. Nell’aprile 2002 un piccolo corteo
di italiani ebrei che celebrava l’Israel
Day, fu aggredito con l’insulto di assassini
da militanti filopalestinesi. La denuncia
che ne feci sulla stampa locale e regionale
– ovviamente incardinata, per deformazione
pedagogica, sulla distinzione fra difesa
dei diritti dei palestinesi, politiche
governative israeliane e Stato di Israele –
non aprì che una breve discussione. Altre
iniziative di contrasto a tali degenerazioni,
come le conferenze in provincia sull’antisemitismo,
o l’incontro tra ebrei e
palestinesi promosso dagli studenti della
Scuola Normale Superiore e della Scuola
di Sant’Anna, nel 2003, è stato ignorato. La
sinistra, su questo terreno, ha fatto poco o
nulla. Le proteste legittime o sacrosante –
secondo i punti di vista – contro l’attuale
guerra in Iraq, hanno riattizzato il fuoco
sotto la cenere.
Ora il segno è stato passato e si è impedita
la libertà di parola. Tutti – a partire
da noi professori – abbiamo il dovere di
chiederci se abbiamo fatto il possibile per
evitarlo. Oggi c’è un problema di politica
di sicurezza, dentro e fuori l’Università, a
tutela del diritto di parola di tutti, a cui si
aggiunge però un problema di battaglia
delle idee, a cui ci richiamava ieri il Foglio.
Io penso che non basti un vuoto impegno
"contro l’antisemitismo", obiettivo
fuori bersaglio, ma che sia necessario
spiegare come si è giunti a tutto questo. Il
vero pericolo infatti, non è più da tempo
l’antisemitismo classico (e non per caso i
violenti che hanno bloccato Cohen rifiutano
di essere definiti tali). Nel nostro mondo
il razzismo antisemita è ormai un culto
di pochi. Nel frattempo però l’avversione
contro lo Stato di Israele si è trasformato
in molti ambienti, in particolare della sinistra,
in un nuovo tipo di antiebraismo
che, successivamente ha riprodotto le pratiche
dell’antisemitismo, delle quali continua
ad apparire come un orrendo surrogato.
L’episodio di Pisa rivela insomma
che all’ordine del giorno c’è semmai la lotta
contro una nuova oscena intolleranza
fanatica verso gli ebrei, che vengono considerati,
come tali, complici di Israele e
quintessenza dell’imperialismo occidentale.
Un mostro che non somiglia più all’antisemitismo,
ma assume la veste di un
antiamericanismo ideologico e si proclama
fieramente antisionista, sino a identificare
gli Stati Uniti con il "Grande Israele",
ed entrambi con il professor Cohen.
Michele Battini, Università di Pisa
A pagina 2 Marina Valensise recensisce l'ultimo libro di Andrè Glucksmann, un'indagine sul terrorismo e l'antisemitismo come espressioni collettive della passione dell'odio.
Ecco l'articolo: "Glucksmann ci guida alla riscoperta dell'odio, sentimento dimenticato"

C’eravamo tanto indignati per l’impudenza
di Karl Heinz Stockhausen dopo l’11
settembre. L’avevamo biasimato tutti per
aver detto che l’attentato alle due torri era
"la più grande opera d’arte mai realizzata".
L’avevamo persino costretto
a rettificare "volevo
dire opera d’arte
luciferina". Ma invece
di puntare il dito contro
l’ultimo compositore tedesco,
era meglio se ci
fossimo interrogati su
cosa volesse dire. Saremmo
riusciti a guardare
dentro la tragedia
dell’11 settembre, a perlustrare
l’abisso dell’odio,
squarciando il velo di illusioni che continuano
a tenerlo nascosto a noi moderni.
A dirlo oggi non è un integralista, e nemmeno
un arrabbiato fondamentalista antioccidentale.
E’ André Glucksmann, un
pensatore che da decenni, da quando i boat
people hanno iniziato a incrinare la catechesi
comunista sulla guerra imperialista,
e il Gulag di Solzenycin ha gettato un’ombra
sinistra sull’utopia del bolscevismo realizzato,
conduce la sua battaglia solitaria
contro il conformismo mentale e l’atrofia
morale dell’Europa. Nel nuovo pamphlet
che proprio oggi arriva in libreria in Francia
("Le discours de la haine", Plon, 234 pagine,
18 euro), parte da questa semplice
constatazione per cercare di capire come
sopravvivere al terrorismo.
Perché l’odio esiste, anche se l’uomo del
XXI secolo ne è sorpreso, ogni volta che gli
si para davanti e finisce per sentirsi sgomento
davanti a tutti quelli che
l’approvano
e lo condividono mentre lui lo subisce.
L’odio esiste e non è solo una pulsione di
morte che prende il sopravvento sull’eros e
sul principio di piacere, come pensava
Freud. E’ molto di più. E’ un’infezione dell’anima,
che si traduce in una rabbia sfrenata,
in un furore selvaggio, in un piacere
di fare il male per il gusto di vedersi fare il
male. E’ una passione violenta, che più di
ogni altra vive per il sempre, in vista di un
tempo che si dilata. E’ un potere di nuocere
che per i greci aveva tanti nomi quante
le forme che prendeva: "menis" per la collera
di Achille, in preda all’eroismo aggressivo,
"mania" per la follia di Aiace, che
umiliato dal primato di Ulisse si mette a
sbranare i compagni nel sonno e gli amici
sleali, "kholos" per la rabbia di Orazio, che
fa a pezzi la sorella Camilla, quando la scopre
in lacrime per l’amante Curiazio ch’egli
stesso ha ucciso.
"I sociologi leggono troppo poco, non conoscono
i classici", lamenta Glucksmann.
E’ bene dunque che i grandi classici tornino
alla ribalta. Eschilo, Sofocle, Euripide,
Seneca, Shakespeare, Racine: dai loro
drammi Glucksmann attinge a piene mani,
ed entra nel laboratorio segreto dell’odio.
E’ inutile ridurre Mohammed Atta a un fanatico
imbottito di risentimento, o una vittima
dell’umiliazione, o un analfabeta del
Corano. L’attentatore egiziano e i terroristi
come lui sono esseri pensanti. La bomba
umana ha una sua vita interiore, conflittuale
come quella di ognuno di noi, dove
la scelta di distruzione e di autodistruzione
corrisponde a una logica spietata descritta
minuziosamente dai grandi tragici
dell’antichità.
Prendiamo Seneca con la sua Medea, che è l’odio fatto donna. E’ la moglie tradita,
abbandonata da Giasone, privata dei figli,
che invece di cercare consolazione, infierisce
sulle proprie ferite per esasperarne
il dolore, sceglie l’automartirio come liberazione,
mura la propria coscienza nel
vuoto e infligge agli altri il suo stesso annientamento,
uccidendo il fratello, e ammazzando
i figli avuti da Giasone davanti
agli occhi di lui. Il terrorista suicida è come
Medea. Come lei, è una furia che crea il
vuoto intorno a sé. E più si scopre alienato,
senza passato, senza famiglia, più accumula
energia per trasformare il dolore in furore
e uccide e terrorizza senza condizioni.
E’ questo l’odio, passione ermetica che
ignora i fatti e il principio di realtà, e vede in ogni ostacolo l’effetto di un complotto.
La novità per noi moderni è che oggi l’odio
mobilita le masse, è una furia distruttiva
che convoglia i deliri dei singoli verso un
unico punto comune, l’odio degli ebrei. E a
questo punto Glucksmann usa parole forti,
senza indulgenza. Spiega per esempio come
la questione ebraica non sia l’ossessione
morbosa che sconvolge il cervello degli integralisti
islamici. Ma è una passione inseparabile
dall’homo occidentalis, iscritta nella
storia stessa dell’umanità. Passione allucinogena,
che non nasce dall’ebreo in carne
ed ossa, bensì dalla testa dell’antisemita. E
l’antisemita chi è? "E’un uomo che ha paura,
paura di se stesso, della sua libertà, dei
suoi istinti, delle sue responsabilità, del
mondo e della società, paura del nuovo, paura
di tutto tranne che degli ebrei. E’ un vigliacco
che non vuole confessare la sua viltà.
E’ la paura della condizione umana".
Su quest’idea di Sartre s’innesta la riflessione
di Glucksmann sull’antisemitismo,
a cominciare da quello antico, quando
la semplice persistenza dell’Antico Testamento
bastava ad annullare il messaggio
cristiano, e l’ebreo errante veniva relegato
a immagine pietosa di chi non crede nel
Redentore. Poi c’è stato l’antisemitismo
moderno, quando l’Europa degli Stati nazione
s’è trovata a assimilare o annientare
quelle creature senza patria e senza confini
che erano gli ebrei. Oggi, finita l’unanimità
benpensante del dopo Auschwitz, nel
nuovo ordine mondiale, l’odio dell’ebreo si
chiama antisionismo, e fa altri danni. L’Europa
indulge al terrorismo palestinese,
mentre le teste calde paragonano Sharon a
Hitler. La questione ebraica rinvia a una
chimerica "coscienza mondiale", e gli ebrei
non devono più parlare in quanto tali. Per
la terza volta nella storia, devono rinunciare
a se stessi. O accettano di mettere in questione
la legittimità dello Stato di Israele, o
vengono denunciati come sionisti venduti a
una potenza straniera. Bel dilemma nel destino
d’un popolo dilatato all’umanità.
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