Crisi politica in Libano: due quotidiani a confronto
Il Manifesto ha in simpatia la Siria e accusa Israele di ogni male, Il Foglio fa informazione
Testata:
Data: 21/10/2004
Pagina: 3
Autore: la redazione
Titolo: Crisi politica in Libano: due quotidiani a confronto
A pagina 3 IL MANIFESTO di oggi, 21-10-04 pubblica l'articolo di Michele Giorgio "Libano, si dimette il premier Hariri". Privo di ogni riferimento al fatto che la Siria è una brutale dittatura che occupa il Libano miltarmente (in proposito si usa invece il termine "presenza"), l'articolo non manca di rendere conto, senza specificarne la provenienza, della solita ipotesi dietrologca anti-israeliana. "Dopo il recente attentato subito dal ministro dimissionario Marwan Hamadeh", scrive il "cronista" del quotidiano comunista "(...) qualcuno tuttavia ha anche tirato in ballo Israele interessato a peggiorare l'immagine internazionale della Siria".
Che splendida immagine, suggerisce Giorgio, potrebbero avere i siriani, la cui ultima impresa è la sperimentazione di armi chimiche sulle popolazioni civili del Darfur, se Israele non tramasse per rovinargliela!
Ecco l'articolo:

Alla fine il colpo di scena che tanti libanesi
si attendevano Ë arrivato. Il primo
ministro (e principale imprenditore
del paese), Rafik Hariri, ieri ha presentato
le dimissioni nelle mani del
presidente Emile Lahoud, alleato della
Siria e suo rivale accanito. Non Ë stato
un fulmine a ciel sereno se si tiene
conto della difficile situazione politica
interna e delle enormi difficolt‡ economiche
che il paese deve affrontare, a
cominciare da un debito pubblico che
tocca i 35 miliardi di dollari. Semmai a
destare sorpresa Ë stata la decisione di
Hariri di rassegnare le dimissioni nelle
stesse ore in cui il Consiglio di sicurezza
dellíOnu, con una ´dichiarazione
formaleª, ha nuovamente invitato la
Siria (senza nominarla) di ritirarsi dal
Libano e chiesto al segretario generale
Kofi Annan di fare un rapporto sulla
situazione ogni seimesi.
Hariri ieri ha voluto sancire, almeno
in apparenza, la rottura con Lahud divenuta
irreparabile dopo che il parlamento,
il mese scorso, ha approvato,
su evidenti pressioni siriane, un controverso
emendamento costituzionale
per prorogare di tre anni il mandato
presidenziale. Hariri, che pure Ë un
pro-siriano, si era opposto alla proroga
ma successivamente si era piegato ai
voleri di Damasco, decisa a mantenere
ben salda líalleanza strategica con il Libano
in un periodo delicato per le sorti
del Medioriente. Líesecutivo libanese Ë
uscito a pezzi dalla vicenda. Quattro
ministri si sono dimessi e i tentativi di
Hariri di includere nel governo ad altre
forze politiche si sono rivelati impossibili.
Líopposizione, soprattutto quella
legata al Patriarca maronita Nasrallah
Sfeir, ha messo in chiaro che non
avrebbe partecipato ad un progetto
politico che di fatto sarebbe servito a
legittimare la presidenza Lahud. ´Affrontare
le sfide Ë possibile solo con un
fronte interno unito, che consentirebbe
di rispondere alle aspirazioni dei libanesi.
Dato che la realizzazione di tali
obiettivi Ë bloccata da note circostanze
politiche, ho ritenuto opportuno presentare
le dimissioniª, ha spiegato il
premier aggiungendo che non si ricandider‡
a guidare un nuovo esecutivo.
Al suo posto potrebbe subentrare líex
primo ministro Omar Karame (queste
erano le voci che circolavano ieri a Beirut).
Non sono pochi i libanesi che temono
líinizio di un ciclo di violenze,
dopo il recente attentato subito dal
ministro dimissionario Marwan Hamadeh,
uno stretto alleato del leader
druso Walid Jumblatt messosi in evidenza
in questi ultimi mesi come il pi˘
tenace oppositore dellíestensione del
mandato presidenziale. Molti hanno
visto dietro líattentato ad Hamadeh la
mano di Damasco che, creando instabilit‡,
ribadirebbe la necessit‡ della sua
´presenzaª militare in Libano (circa
17 mila soldati) per evitare una ripresa
della guerra civile (1975-90).
Qualcuno tuttavia ha anche tirato
in ballo Israele interessato a peggiorare
líimmagine internazionale della Siria,
gi‡ soggetta a forti pressioni statunitensi
ed ora orfana dellíimportante sostegno
della Francia. Hariri, miliardario,
in possesso anche di un passaporto
saudita, Ë stato a capo del governo per
quasi tutto il periodo successivo alla fine
della guerra civile. Dopo líelezione
di Lahud, nel 1998, si era schierato allíopposizione
per poi tornare al potere
nel 2000 a capo della controversa ricostruzione
del Libano segnata da scandali
e frequenti casi di corruzione. I
suoi detrattori lo accusano di aver fatto
di nuovo bella Beirut ñ e arricchito
le sue imprese - a danno perÚ delle finanze
dello stato. Proprio la capitale libanese,
allíinizio di ottobre, ha dovuto
fare i conti con lunghissimi black-out
di energia elettrica per mancanza dei
fondi necessari per pagare il carburante
che alimenta le centrali elettriche
del paese. Eí opinione diffusa che Hariri,
dopo un periodo allíopposizione,
tenter‡ di ripresentarsi come ´salvatore
della patriaª. Díaltronde non sono
pochi a ritenere che soltanto lui sia in
grado di tenere in piedi i rapporti economici
con i paesi arabi pi˘ ricchi che,
di fatto, tengono in vita il Libano che
affoga nei debiti.
Ecco invece un esempio di informazione corretta sul Libano: l'articolo di Rolla Scolari "Il premier libanese se ne va perché vuole che la Siria se ne vada", a pagina 2 dell'inserto del FOGLIO di oggi:
Il premier libanese, Rafiq Hariri, ha dato
le dimissioni ieri, aprendo una crisi di governo
annunciata più di una settimana fa
dallo stesso primo ministro. All’origine dell’inquieto
periodo politico libanese c’è l’emendamento
costituzionale imposto dall’invadente
vicino siriano, che permette al presidente
Emile Lahoud di prolungare il suo
mandato alla guida del paese.
Hariri è un imprenditore edile musulmano
sunnita (la Costituzione impone che chi
occupa questa carica sia un sunnita, mentre
il presidente è sempre un cristiano maronita),
ha legato il suo nome e la sua fortuna finanziaria
alla ricostruzione del paese devastato
dalla ventennale guerra civile terminata
nel 1990, ed è in ottimi rapporti anche
con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
L’ingerenza di Damasco nella questione
dell’emedamento della Carta fondamentale
ha creato un violento dibattito nel
paese e ha fatto sorgere un duro fronte d’opposizione,
alla cui testa si è posto il leader
druso Walid Joumblatt, capo del Partito socialista progressista. Ma le divisioni interne
alla stessa opposizione hanno impedito la
creazione di un governo di unità nazionale,
ipotesi ventilata all’inizio della crisi. Hariri
inoltre ha fatto sapere ieri che non ha intenzione
di guidare un altro esecutivo, la cui
formazione è prevista oggi. Tra i candidati
premier favoriti c’è Omar Karami, vicino a
Lahoud e già primo ministro dal 1990 al
1992, sotto la presidenza di Elias Hrawi.
Le tensioni politiche di questi giorni risvegliano
le angosce del passato. Non sono
infatti soltanto i tagli alla corrente elettrica
e i frequenti black-out dovuti all’alto prezzo
del petrolio e all’esaurimento delle scorte di
carburante nelle centrali termoelettriche a
far rivivere le ansie della guerra civile. Il
fallito attentato all’ex ministro all’Economia,
Marwan Hamade, dimessosi in seguito al discusso
emendamento costituzionale, l’inquietudine
nei campi profughi palestinesi e
l’internazionalizzazione della questione delle
truppe siriane nel sud del Libano, portata
sulle pagine di tutti i giornali dalla risoluzione
1.559 del Consiglio di sicurezza dell’Onu,
rievocano nel paese fantasmi di guerra,
senza contare che a Beirut è stato anche
sventato di recente un attentato a sedi diplomatiche
straniere, tra cui quella italiana.
Ancora ieri l’Onu ha ribadito, con una
nuova dichiarazione, la necessità che Damasco
porti a termine il ritiro delle sue truppe
(15 mila) dal Libano e il disarmo delle milizie
(Hezbollah), come richiesto dalla mozione
1.559, appoggiata da Stati Uniti e
Francia, per una volta concordi in una questione
di politica mediorientale. Puntuale è
arrivata la risposta negativa del ministro degli
Esteri siriano Farouk al Shareh, che peraltro
si trovava a Bruxelles, a una cerimonia
per la firma di un accordo di associazione
tra Damasco e Ue, che prevede la creazione
di un’area di libero scambio comune,
anche se al primo posto dell’intesa figura un
accordo per la lotta contro la proliferazione
delle armi di distruzione di massa. Da una
parte la Siria si vede accolta nel quadro della
partnership euromediterranea – ultimo lascito non proprio tempestivo della gestione
Prodi – dall’altra un membro dell’Unione,
la Francia, per tradizione amica di Damasco
e poco incline a collaborazioni efficaci
con gli Stati Uniti, minaccia il governo
di Bashar al Assad di sanzioni. Nell’89, con
gli accordi di Taef e per iniziativa di Stati
Uniti e Siria, è stata raggiunta "una pace artificiale"
in Libano. Oggi la 1.559 divide Damasco
e Washington su Beirut. La risoluzione
è un tentativo degli Stati Uniti di forzare
la Siria al disarmo di Hezbollah e a disfarsi
dell’influenza dell’Iran, che si materializza
nel sostegno economico alla milizia sciita,
pericolosa agli occhi dell’occidente nell’eventualità
di un conseguimento del sogno
nucleare dell’Iran. I timori atomici mettono
d’accordo anche Francia e Stati Uniti, che
tentano insieme di riportare la Siria a più
miti consigli. Forti delle pressioni internazionali
su Damasco, gli oppositori alla presenza
siriana in Libano iniziano a farsi sentire.
Hariri lo ha fatto ieri dimettendosi.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione del Manifesto. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.
redazione@ilmanifesto.it