Viaggio negli insediamenti: Hebron
reportage di Fiamma Nirenstein
Testata: La Stampa
Data: 17/10/2004
Pagina: 6
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: Hebron, la Bibbia e il mitra nelle case dei coloni
Oggi, 17-10-04, pubblica l'articolo di Fiamma Nirenstein "Hebron, la Bibbia e il mitra nelle case dei coloni", seconda parte del reportage sugli insediamenti. La prima parte, sui coloni di Gaza, si trova in "Gli insediamenti al di là degli stereotipi", Informazione Corretta 2004-09-24.
Ecco l'articolo:


Ce ne sono di profeti, ce ne sono di guerrieri e di estremisti fra i settler, come ci sono i sognatori e i possibilisti (il 30 per cento delle famiglie del Gush Kativ, a Gaza, si sono già informati sui risarcimenti per lo sgombero), i settler professionisti, e dei professionisti che si ritrovano settler; e c’è una tenaglia di storia in Cisgiordania nella zona che va dal Gush Etzion vicino a Gerusalemme, ulivi, lentischio, mirto, pietre che spuntano come pezzi d’argento fra la terra nera e rossa, fino a Hebron. Sono 32 chilometri dalla capitale per una strada dove è meglio viaggiare con l’auto blindata, centinaia di agguati mortali vi hanno avuto luogo e le vittime sono persone che vivono in uno qualsiasi dei villaggi- insediamento che si vedono lungo la strada e vanno a lavorare a Gerusalemme in qualche ufficio o studio; è poi ecco la plurimillenaria città impossibile dove vivono 800 ebrei e 100 mila palestinesi.
La storia non ha avuto la mano lieve, c’è da chiedersi come tutto il cammino del Dio unico si sia concentrato proprio il quella zona, dove Abramo pianta la tenda (Genesi 13:18) e compra la grotta di Machpela per Sara morente e ne fa la tomba dei patriarchi ormai venerati da tutte le religioni: Abramo, Isacco, Giacobbe. Com’è che David, fra Hebron e Kfar Zion, divenne il gran re che marciò su Gerusalemme; con un gran salto punteggiato di battaglie che hanno coinvolto i Turchi, gli Inglesi, gli Arabi, gli Ebrei, si arriva fino alla strage di Hebron del ‘29, dove la comunità ebraica, mai partita di là,
scappò dopo un pogrom che macellò 67 dei suoi. E via via, dopo tanti attentati arabi, nel febbraio del ‘94 Baruch Goldstein sparò col mitra sugli oranti musulmani nella grotta di Machpelà uccidendone 29 e ferendone 125, e poi il 15 novembre 2002, mentre la saga del sangue non si era mai fermata lungo le strade e dentro Hebron, i palestinesi uccisero 12 oranti ebrei all’uscita dalla Grotta.A Hebron gli ebrei hanno sviluppato un’incandescente, pertinace
fede nella loro missione che li disegna come su un perpetuo palcoscenico, un archetipo, tutti con la barba, tutti col mitra,tutti padri di miriadi di piccoli. I negozi sono chiusi, lo shuk è morto per tutto il perimetro intorno alle case degli 800 che vivono a Avraham Avinu e il governo ha appena avvisato la comunità: sappiamo che vi piazzate nei negozi palestinesi, smettete di infastidire gli arabi. Ma gli hebroniti hanno un conto lungo, dato che in città subiscono a loro volta attacchi e assassinii, sono fra tutti i coloni quelli che credono di più nei gomiti, la religione li influenza oltremisura,
la comunità somiglia a quella dei quaccheri o degli amish, ottimi fra di loro, in guardia contro un mondo ostile.Il quartiere pullula di bambini, la natalità è alle stelle: i bimbi, che pure sono spesso stati obiettivo del terrorismo locale, corrono soli su è giù per le scale di pietra azzurrina in apparente
totale libertà, anche loro ideologico disegno di una fantasia regale. I loro vestiti sono fatti di miseria e di invenzioni, le loro madri sembrano femministe degli anni settanta: hanno le gonne lunghe e colorate, gli zoccoli, e coprono i capelli con foulard frangiati, rosa, turchese. Come in un antica comunità si parla di problemi economici, di matrimoni, feste religiose, bar mitzva. Manon è il paese dei balocchi. E’ il nerbo duro degli insediamenti. «Questa terra è degli ebrei, dall’inizio del mondo. Io sono solo
tornato a casa, ormai quasi trent’anni fa, ora ho sette figli (sono pochi qui) e anche tre nipoti». Come sarebbe a dire «e i palestinesi? E noi?» dice David
Wilder, 50 anni «Non ci sono palestinesi, ma arabi provenienti da ogni zona che si moltiplicarono dagli anni venti in presenza dell’immigrazione sionista, e che cacciarono gli ebrei a forza». Verso le otto del mattino nella sua linda e spaziosa casa incontriamo agli arresti domiciliari Noam Federman, che fu sospettato (ma non ce ne sono prove) d aver progettato un’esplosione terroristica a una scuola femminile a Gerusalemme Est. E ritenuto pericoloso al punto che proprio ieri gli è stato negato il permesso di andare a Tel Aviv a
una riunione con i suoi avvocati. E’ sospettato di far parte dell’organizzazione clandestina la cui radice nasce 25 anni fa col progetto di far esplodere la Moscheadi Al Aqsa. «Magari ci fossero riusciti - dice Federman, quarantenne, biondo, barbuto - a me interessa solo la sopravvivenza,
dell’opinione pubblica non mi importa un bel nulla. Quanto al progetto dell’autobus, cui non ho partecipato, loro ci vogliono morti, spargono ogni
giorno il nostro sangue, ci vogliono espellere da tutta Israele, hanno fatto mille morti in quattro anni... non è terrorismo fermare un azione omicida continuata e irriducibile». E’ terrorismo, Federman, perché colpisce intenzionalmente innocenti. Delle bambine a scuola!«No. Non esistono fra loro
innocenti». Lo dissero i nazisti degli ebrei. «Gli ebrei non avevano mai fatto niente di male al popolo tedesco. I palestinesi vivono solo per vederci fuori di qui, o morti. Ci ammazzano indiscriminatamente.Non dobbiamo combattere anche noi?». Anche Sharon combatte, ma col criterio che oltre ai terroristi ci
sono tanti innocenti. «Sharon è un venduto, un traditore». Che farà se i soldati d’Israele opereranno lo sgombero? «Se verranno con le armi non li accoglierò certo con i fiori». Ha i capelli bianchi il primo di tutti i settler, Anan Porat, una leggenda, un maestro, e sbarra gli occhi azzurri: «Federman è un noto estremista. Mai, mai, con le armi contro i nostri
figli. Se ci sarà una decisione democratica ubbidiremo. Ma prima il popolo parli, il referendum è la strada migliore». Siediamo all’aria nel kibbutz di
Kfar Tzion, verde, fresco. Porat ci nacque poco prima che nel 1948 un assalto arabo uccidesse tutti gli abitanti ebrei. Le donne erano a Gerusalemme con in
bambini. Anan crebbe giurandodi tornare a casa, e all’indomani della guerra del 67 lo ha fatto, con un gruppo di sopravvissuti come lui. «Lo chiedemmo al governo di sinistra, a Moshe Dayan, a Ygal Allon, a Shimon Peres. Dapprima ci fu esitazione, ma quando ci videro determinati, certi di tornare a casa, il permesso venne. Gerusalemme sarebbe stata altrimenti esposta a ogni attacco
». Porat racconta come prima di venire a fondare il kibbutz, tutti i figli si riunirono sulle tombe degli eroi che avevano combattuto nel 48: «Dicemmo
piangendo ai nostri genitori che tornavamo a casa». Dopo tre mesi, nacquero in Giudea insediamenti parte laici e parte religiosi. Da dopo la guerra del Kippur, nel ‘73, col movimento religioso del Gush Emunim i settler si espandono in Samaria. I settler religiosi dapprima si espandono con l’approvazione della sinistra: «Ricordo il famoso episodio di Sebastia: il governo ci rifiutò il permesso duramente, finché quando venne Shimon Peres deciso a cacciarci, lo convincemmo a lasciare che ci collocassimo nel ristretto recinto militare del luogo. Ci fu fra noi chi lo considerò un ripiegamento. Io, lo considerai una grande vittoria. Dal 77, quando fu eletto
Menachem Begin, il movimento fiorì». Ma Begin fu anche quello che sgomberò il Sinai pur di fare la pace con l’Egitto. I palestinesi non vogliono Israele oltre la Linea Verde. Porat sorride: «Anch’io non li voglio nella casa di
mio padre, che essi hanno ucciso », dice: «Sharon dovrebbe ricordarsi che Israele è un tutto unico. La stessa sorte che viene progettata per noi può diventare la sorte di Ashod o di Haifa, se seguiamo le loro richieste e non
quelle sancite dalla Bibbia e dalla Storia». [2 - continua]
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