La rivista dei francescani in Terra Santa: un esempio di informazione scorretta
in un articolo sulla barriera difensiva
Testata: La Terra Santa
Data: 15/10/2004
Pagina: 1
Autore: Sorelle del Baby Hospital
Titolo: Il muro in diretta
Sul numero di settembre-ottobre della rivista dei francescani in Israele, "La Terra Santa" viene pubblicata una lunga "cronaca" delle suore elisabettine del Baby Hospital di Betlemme sulla costruzione della barriera difensiva in quella città.
Si tratta di un articolo pieno di indignazione per l'"ingiustizia" commessa da Israele a danno dei palestinesi, che non prende mai in considerazione le esigenze di sicurezza degli israeliani e il loro diritto alla vita.
Non intendiamo negare le gravi conseguenze che la barriera difensiva comporta per i palestinesi: esse vanno però addebitate al terrorrismo e non a chi da esso si difende. Una semplice verità morale che le suore elisabettine di Betlemme sembrano voler ignorare.
In attesa di leggere una approfondita inchiesta sull'attività "informativa" dei francescani in Israele, ecco l'articolo in questione:

marzo 2004
Ad uno ad uno due blocchi di cemento alti otto metri vengono posati in un largo solco da un’altissima gru. Sono i primi sei blocchi del muro. Da oggi, 1 marzo 2004, Betlemme può chiamarsi "ufficialmente" una prigione.
Da Betlemme si può uscire, e si continuerà a poter uscire anche quando la costruzione del "muro" sarà ultimata. Dunque non la si può chiamare "ufficialmente" una prigione.
Ecco il primo pezzo di muro…ce lo troviamo davanti quasi all’improvviso, orribile. Il suo grigiore sta davanti a noi, abnorme, inumano: ci taglia fuori completamente dalla vita di normali, liberi esseri umani. L’hanno iniziato a pochi passi dal nostro ospedale. Davanti al muro regna il silenzio, anch’esso divenuto grigio e pesante. Sono pochi gli abitanti di Betlemme che si recano a vedere la triste novità di questi giorni, e per un po’ la giudichiamo quasi indifferenza, ma essi il muro non lo vogliono neppure vedere, non ne vogliono neppure sentire parlare, nauseati fino in fondo di una vita senza dignità, vissuta pagando per tanta violenza.. Questo muro, figlio mostruoso del terrore e della vendetta,
Nessuna vendetta, il muro serve solo ad assicurare la sicurezza. Sarebbe poi opportuno indicare i responsabili del terrore con i loro nomi: Hamas, Jihad, Al Fatah, Anp, Arafat.........
s’innalza sulla vergogna e sull’umiliazione. Ci colpisce la lunga fila di operai, tutti con il berretto rosso, che quasi con lo stesso ritmo, senza alzare la testa, guardati a vista dai sorveglianti armati, scavano la costruzione del muro: sono palestinesi e si stanno costruendo essi stessi la loro prigione. I padroni del muro pagano bene, sembra, e vale la pena adeguarsi, anche se è un lavoro da schiavi: almeno potranno sfamarsi qualche mese.
Un lavoro da schiavi? Gli schiavi lavorano sotto costrizione fisica, non possono scegliere se fare o no un lavoro.
Molti altri giovani che non hanno una "fortuna" del genere tentano di passare il filo spinato, dove ancora c’è qualche spazio libero e di raggiungere Gerusalemme, ma vengono respinti dai fucili dei soldati. Questa è una storia che dura da giorni: rispediti indietro con la forza, quei ragazzi rimangono appollaiati sui muriccioli esterni dell’ospedale, aspettando il momento propizio per tentare di passare il confine. Nuovamente inseguiti dai soldati, vengono a rifugiarsi nel nostro cortile. La storia continuerà così fino a quando ci sarà qualche piccolo spazio ancora libero dal muro, nel quale sperare d’infiltrarsi.

3 marzo 2004-10-10

Alla sera del 3 marzo i blocchi di cemento già innalzati sono 18. Ci dicono che arrivano da Haifa. Arrivano due alla volta: di più non ce ne stanno sul veicolo, tanto sono enormi. Il costo dev’essere altissimo. Tutto il costo della costruzione del muro è altissimo.
Sono soldi ben spesi però, visto che servono a salvare vite umane.
Una volta arrivato al luogo del muro, il blocco di cemento viene sollevato dal veicolo, depositato sul terreno e poi innalzato, fino a che va a incastrarsi, lentissimamente, con il precedente. L’insieme di tutte queste manovre richiede speciale precisione e destrezza.
Davanti a noi si sta formando così una parete grigia che ci taglia il verde e l’azzurro di questa primavera già dirompente, una parete grigia che ormai è l’unico sfondo dei bellissimi mandorli in fiore del giardino di Manal:
di fronte alla retorica di questo scritto occorre ricordare che in Israele c’è chi a causa del terrorismo non vedrà mai più il verde e l’azzurro di nessuna primavera, e che fermare la costruzione della barriera difensiva contribuirebbe ad aumentare il numero di queste vittime.
un giardino praticamente tagliato in tre: una parte le è stata strappata dal muro, una parte l’ha "regalata" lei stessa, e il resto rimane a lei. Le beneficiarie del "regalo" sono le monache benedettine, sue amabili vicine, con le quali è solita condividere gioie e dolori, anche il dolore del muro. Le monache se la sono vista davvero brutta al sentire che il muro avrebbe sbarrato la strada al loro monastero. Tutte le proteste risultarono inutili. Alla fine venne chiesto a Manal cedere parte della sua terra in modo da tracciare per le monache una nuova strada. E Manal, dal cuore grande, cedette la sua terra per la nuova strada, liberando le monache da un incubo. 7 marzo 2004-10-10
A poco a poco la popolazione si rende conto di questa enorme cosa grigia che grava su Betlemme, ma è tutt’ora difficile crederci, tanto è lo shock che si prova non appena la si vede a distanza. I più se ne vanno senza neppure avvicinarsi, pieni di rabbia e disgusto, muti, impietriti cercando di nascondere la disperazione di pensare a un futuro sempre più nero spesso imprecando contro il cielo e contro tutti. Da chi invocare giustizia, difesa? Perché infatti sono soprattutto innocenti quelli che pagano, gli uomini miti, onesti, quelli per cui la pace è la profonda aspirazione del cuore. La costruzione del muro coincide con la frantumazione dei loro sogni di un mondo più umano, tutti inclusi in una punizione collettiva senza fine. Quale sarà il futuro di Betlemme?
Sono in molti chiederselo guardando con immensa tristezza a come si è ridotta questa città che per noi cristiani è "santa", pensata e amata con tenerezza. Il solo pensiero di abitarvi, di diventare cittadina di Betlemme, era una grande gioia per Franz, una giovane donna proveniente dal Kuwait, sposata con un betlemita. Oggi al marito viene negato il permesso di uscire da Betlemme per lavoro: è un palestinese, e Gerusalemme è esclusa per lui. Con quattro figli in tenera età non sa come tirare avanti e pensa di lasciare il Paese.
Anche Basem non sa che fine farà. Dopo 32 anni di lavoro, tecnico specializzato apprezzatissimo nella ditta israeliani in cui ha dato il meglio di sé… è stato licenziato perché palestinese.
Se ciò è realmente avvenuto lo si deve all’insicurezza creata dal terrorismo.
Essere muniti di regolare permesso di entrare in Gerusalemme non significa però che il "via libera" venga automaticamente concesso: quando a Elias, persona correttissima e rispettosa, si presenta al "check point", il messaggio scritto sulla faccia del soldato è praticamente questo: "Come osi tu, miserabile palestinese e terrorista, presentarti a me e chiedermi di passare? Vattene!".
Il messaggio "scritto sulla faccia del soldato" è "praticamente": : "Come osi tu, miserabile palestinese e terrorista, presentarti a me e chiedermi di passare? Vattene!". Ma, di fatto, nessun soldato israeliano ha mai detto questo ad Elias.
E il permesso così prezioso ora non gli serve a nulla, perché egli proviene da Betlemme, gli dicono, che è "zona militare chiusa".
Chi abita dentro il muro, deve "arrangiarsi" dentro il muro.
Ed Elias e tanti altri… cercano di trattenere le lacrime, senza riuscirci troppo. L’angoscia per il futuro è più forte che mai, e l’umiliazione è profonda…
Soad ha già visto tre figli partire per la Svezia, emigrati in cerca di lavoro ed i pace; per il quarto, con moglie e cinque graziosissimi bambini, è solo questione giorni: i documenti di viaggio sono quasi pronti. E Soad, ormai anziana, si sente spezzare il cuore con tutte queste partenze. "Non mi resta più nessuno, solo mio marito!". E piange a dirotto. La vita per lei è diventata dura, durissima, e le crea un terribile deserto dentro…
Dopo tre anni e più di Intifada, i più grandi problemi per Betlemme rimangono la mancanza di lavoro e di libertà.
Problemi dovuti appunto all’Intifada e all’autocrazia di Arafat: lo stato palestinese sarebbe già nato se non fosse stato rifiutato dal Rais a Camp David
La lista dei disperati che se ne vogliono andare si allunga di giorno in giorno, appoggiati da chi ha interesse a svuotare queste terre dalla presenza cristiana.
Chi ha interssee a svuotare queste terre della presenza cristiana? Non certo Israele, che aspira ad avere buoni rapporti con le chiese cristiane e rispetta la libertà religiosa. Se mai i fondamentalisti islamici, che però non vanno nominati neanche per sbaglio.
Ecco come ci hanno ridotto Betlemme, il terrore da un lato e la punizione collettiva dall’altro. La città di Cristo usata come covo di violenza. I seminatori di morte hanno imparato a nascondersi a nascondersi tra le nostre case e ci hanno trascinati tutti nel vortice della violenza.
Chi sono questi "seminatori di morte", perché non chiamare per una volta i terroristi con il loro nome, indicandone anche la "provenienza" dall’Anp?
Betlemme, un tempo città tranquilla e sorridente, dove anche gli stranieri si sentivano a casa , Betlemme decorata di ulivi e di greggi verdissimi e dolci, ora quasi non la si riconosce più, se non fosse per le mura crociate della Basilica, unica speranza a cui aggrapparci in questo tempo di tenebre.Tra l’inerzia e l’indifferenza del mondo intero, ci chiudono dentro con un muro altissimo, con il grigio tetro del carcere che mette fine alle nostre appena sussurrate speranze di pace. Come in una sua morsa mortale il muro spegne la nostra voce, la nostra infinita voglia di libertà, il nostro grido di giustizia.
Ci sono voci, infinite voglie di libertà, gridi di giustizia che sono stati spenti da "morse mortali" per nulla metaforiche. Quanti devono essere perché le suore di Betlemme sentano il bisogno di proclamare il loro sdegno come fanno per il "muro"
Come nel Natale 2002, ma oggi con mille ragioni in più, ci troviamo a dire: "Betlemme muore".
Betlemme, come si ricorderà, non "morì" nel Natale del 2002. Le vittime dei terroristi asserragliati nella Basilica della Natività erano già morte, e altre ne sarebbero morte, per mano di altri assassini rimasti liberi d’agire. Altre ancora ne morirebbero senza la barriera difensiva.
Come si può "saltare" il muro
Del muro si dicono già cose terribili. Las sua costruzione è stata ultimata in molte zone della Palestina, trasformando città e villaggi in prigioni a cielo aperto. Innumerevoli giovani e padri di famiglia non possono più raggiungere il luogo di lavoro e la propria terra d coltivare; la disperazione per un futuro del tutto incerto fa letteralmente impazzire, rende disposti a tutto… anche a rischiare la propria vita. Jamileh, una donna di età matura, madre di sei figli, ci racconta quello che ha visto con i propri occhi. A bordo di un pulman della Croce Rossa, Jamileh è riuscita un giorno ad andare a far visita a suo figlio Nizar nelle prigioni israeliane. Con lei sono andate la nuora e quattro dei cinque bambini. Il viaggio è stato massacrante: i continui posti di controllo, le soste forzate e le perquisizioni hanno moltiplicato la lunghezza del viaggio, che invece di due ore ne è durato sette e più. Ma la stanchezza del viaggio è poca cosa, racconta Jamileh, rispetto allo shock provato nell’avvicinarsi al muro, nei pressi di Gerusalemme. Uno strano traffico teneva impegnati un gruppo di giovani: al prezzo di 10 shekel, essi avevano la possibilità di passare al di là del muro ed ecco come: venivano caricati nella benna di un’escavatrice e poi "gettati" dall’altra parte. Dati gli otto metri d’altezza del muro il salto era alquanto "mortale", o almeno rischioso. Ma… valeva la pena tentare. Accortisi di questa scena, i soldati israeliani stessi erano inorriditi.

I "soldati israeliani stessi", questi mostri da cui ci si sarebbe piuttosto aspettati che si divertissero, "inorridirono".
Jamileh racconta queste cose con gli occhi pieni di lacrime. E’ una donna abituata a reggere grossi problemi, ma in questi ultimi anni sembra disfatta. Alla nascita del quarto bambino, Nizar era assente, rinchiuso nella Basilica della Natività durante il terribile assedio dell’aprile-maggio 2002. Il bambino venne al mondo in un trambusto inimmaginabile, data la difficoltà di far venire un’ambulanza a motivo del coprifuoco. Alla nascita del quinto bambino, Nizar si trovava in carcere. La moglie partorì, ancora una volta, sola.
Nizar non era rinchiuso nella Basilica della Natività, l’aveva occupata con altri terroristi, (perché questo avvenne a Betlemme) e, se faceva parte di quel gruppo, in carcere non è certo andato per reati d’opinione.
"Nostra Signora dei dolori"
Non può essere più vera di così la scritta "Nostra signora dei dolori" che si trova all’entrata di un ospizio per anziani poveri e soli ad abu dis – Gerusalemme; ironia della vita o invocazione di pietà, essa è venuta a trovarsi proprio davanti al muro.
La via d’accesso all’ospizio è una strada polverosa, larga tre metri circa, che corre lungo il muro stesso, anzi è la strada ricavata dalla terra rossiccia che ricopre i piedi del muro: più che una strada sembra un cunicolo, una specie di tunnel, tanto è il grigio e l’oscurità che il muro muraglia diffonde sulla zona. Appena ci si avvicina, si fa fatica a raccapezzarsi… e a immaginare come noi esseri man possiamo ridurci così. La zona è affollatissima, ed "era" vivacissima. Ora il muro ha tagliato in due la vita stessa del villaggio, prosegue fin sopra la collina e ingoia il verde dei prati, verde prezioso, strappato con forza alla popolazione, alla quale deve bastare il rintanarsi nelle proprie case.
Chi vede Abu dis, vede cose incredibili
All’interno dell’ospizio, gli anziani sono diventati più soli, perché far loro visita è diventato troppo complicato: il muro separa parenti e amici. Rimangono le suore e un po’ di personale (quello che riesce a raggiungere l’ospizio) a lottare, tra mille difficoltà, contro l’isolamento e la segregazione.
Di fronte "al muro della vergogna", negazione della pace, segno del nostro fallimento, dell’odio che ci portiamo dentro, della diffidenza e dell’indifferenza,un poco di amore donato nel ricordo di una madre, di colei che raccoglie tutto il dolore del mondo, è una goccia di sollievo e un raggio di luce
Sorelle del Baby Hospital – Betlemme

Nel guardare più attentamente questi fatti, ci si scopre un’ingiustizia che poteva essere veduta da quelli stessi che la commettevano.(Alesandro Manzoni, La storia della colonna infame)
Davvero non si poteva immaginare chiosa più appropriata di quella scelta dalla rivista, per un articolo la cui parzialità e pregiudizio dovrebbero appunto essere del tutto evidente anche a chi lo ha scritto e pubblicato.

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