Europa quasi Eurabia sottomessa all'islam
intervista a Bat Ye'or
Testata: Il Foglio
Data: 11/10/2004
Pagina: 7
Autore: Bat Ye'or
Titolo: Noi poveri dhimmi d'Eurabia
A pagina 7 dell'inserto Il Foglio di sabato 09-10-04 pubblica un'intevista, di Frontpage Magazine a Bat Ye'Or, studiosa egiziana che vive in Svizzera, "massima autorità mondiale sulla condizione di dhimmi", ovvero dei cittadini di seconda classe nei paesi arabi.
Ecco il testo:

FP - Innanzitutto, può spiegare ai nostri lettori il significato del termine
"Eurabia"?
BY - L’Eurabia rappresenta una realtà geopolitica delineatasi nel 1973 attraverso un sistema di alleanze informali tra i nove paesi della Comunità
Europea (e poi, dal 1992, dell’Unione Europea) da una parte e i paesi arabi del Mediterraneo dall’altra. Le alleanze e gli accordi furono elaborati al più alto livello politico di ogni paese europeo con il rappresentante della Commissione
Europea, nonché dei paesi arabi con il delegato della Lega Araba. Questo sistema fu posto sotto il tetto di un’associazione chiamata Dialogo EuroArabo (DEA), creata a Parigi nel luglio del 1974. Un gruppo di lavoro composto di comitati e sempre presieduto congiuntamente da un delegato europeo e da un delegato arabo pianificava le attività, organizzando e controllando l’applicazione delle decisioni raggiunte. Il campo della collaborazione euroaraba comprendeva qualsiasi settore: dall’economia alla politica e al problema dell’immigrazione. In politica estera, sosteneva l’antiamericanismo,
l’antisionismo e la delegittimazione di Israele; la promozione dell’Olp e di
Arafat; una diplomazia congiunta euroaraba nei forum internazionali; e una collaborazione tra organizzazioni non governative. Per quanto riguarda la politica interna, il DEA promosse una intensa collaborazione tra televisioni,
radio, giornalisti, case editrici, università, centri culturali, associazioni
giovanili e studentesche. Per lo sviluppo di questa politica era poi determinante il dialogo interreligioso. L’Eurabia è quindi proprio questa capillare rete di associazioni euroarabe: una simbiosi a vasto raggio, che presuppone una stretta collaborazione nel campo della politica, dell’economia, della demografia e della cultura. L’Eurabia è il futuro dell’Europa. La
sua forza trainante, l’Associazione Parlamentare per la Cooperazione euroaraba,
è stata creata a Parigi nel 1974. Oggi conta oltre seicento membri (appartenenti
a tutti i principali partiti politici europei), attivi nei loro parlamenti nazionali e anche nel Parlamento Europeo. La creazione di questo organismo e la definizione della sua politica hanno seguito i principi delle 23 risoluzioni sancite dalla Seconda Conferenza Internazionale a Sostegno dei Popoli Arabi, tenutasi al Cairo nel gennaio 1969. La risoluzione 15 definisce la politica euroaraba e ne spiega lo sviluppo seguito in oltre trent’anni di politica estera ed interna europea. Eccone il contenuto: "La Conferenza ha deciso di formare speciali gruppi parlamentari e di usarli per promuovere il sostegno al popolo arabo e alla resistenza palestinese". Negli anni settanta, conformemente agli auspici della Conferenza del Cairo, sorsero in tutta Europa gruppi nazionali che proclamavano la loro "solidarietà con la resistenza palestinese e i popoli arabi". Questi gruppi appartenevano a diversi schieramenti politici (gollisti, estrema destra ed estrema sinistra, comunisti, neonazisti), ma condividevano tutti lo stesso antiamericanismo e antisionismo. La Francia è stata il protagonista principale di questa politica, a partire dalla
conferenza stampa rilasciata da De Gaulle il 27 novembre 1967, quando definì la collaborazione tra la Francia e il mondo arabo "il presupposto fondamentale
della nostra politica estera".
FP - La dipendenza europea dal petrolio arabo è un fattore decisivo nella sua politica filoaraba?
BY - No, non credo. I leader arabi devono per forza vendere il petrolio che possiedono; le loro popolazioni dipendono fortemente dall’aiuto economico, sanitario e tecnologico europeo. L’America ha compreso questo fatto durante l’embargo petrolifero del 1973. Il fattore petrolio è un pretesto per mascherare una politica che in Francia era già presente prima di quella crisi: era stata concepita negli anni sessanta e aveva un diretto progenitore nel sogno della Francia dell’Ottocento di governare un impero arabo e di sfruttare l’antisemitismo per rafforzare la solidarietà dei musulmani arabi con la Francia contro un comune nemico. L’Eurabia non è soltanto una rete di molteplici accordi che coprono ogni campo. E’ sostanzialmente un progetto politico per una completa simbiosi demografica e culturale tra l’Europa e il mondo arabo, all’interno della quale Israele è destinato prima o poi a scomparire. L’America rimarebbe isolata e si troverebbe sfidata da una sorta di continente euroarabo collegato a tutto il mondo musulmano e con uno straordinario potere politico ed economico nel campo degli affari internazionali. Le politiche del "multilateralismo" e della "diplomazia soft" esprimono perfettamente questa simbiosi sempre più profonda. Gli accordi euroarabi sono semplicemente lo strumento utilizzato per la creazione di questo nuovo "continente". L’Eurabia si fonda anche sulla visione di una riconciliazione tra cristiani e musulmani ed è fortemente appoggiata dalle autorità religiose cristiane.
FP - Per un certo tempo è sembrato che la Francia si fosse completamente persa. Ma ora sembra avere adottato una nuova politica estera, più orientata
verso l’Europa. Lei che ne pensa?
BY - La Francia e il resto dell’Europa occidentale non possono più cambiare la loro linea politica. Il loro futuro è l’Eurabia. Punto e a capo. Non vedo come potrebbero invertire la direzione del processo che hanno messo in moto trent’anni fa. E gli euroarabi non hanno nessuna intenzione di modificare questa politica. Si tratta di un progetto che è stato concepito, pianificato
e messo in atto scrupolosamente attraverso la politica sull’immigrazione, la propaganda, il sostegno della chiesa, i rapporti e gli aiuti economici, nonché
la collaborazione dei media e del mondo accademico. All’ombra di questa cornice politica sono cresciute intere generazioni, educate e condizionate a condividerla e promuoverla. E’ questa la fonte del tenace antiamericanismo europeo e della paranoica ossessione per Israele, due elementi che costituiscono
il cardine dell’Eurabia. Il nuovo orientamento francese verso l’Europa indica che la Francia lavorerà all’interno dell’Europa, e in particolare con i nuovi membri orientali dell’Ue, per convincerli ad abbandonare la loro visione atlantica e a reindirizzare le loro alleanze verso il mondo arabo-musulmano. Questa era la politica francese negli anni sessanta, quando Parigi divenne
il campione della causa araba nella Comunità Europea. Fino al 1971, la Francia è rimasta isolata nella CE quanto alle sue posizione anti-israeliane. Quando dovettero affrontare la crisi petrolifera, i nove paesi della CE, con la leadership della Francia e della Germania, unificarono le proprie posizioni sul conflitto medio-orientale: è da qui che nasce tutto lo sviluppo del Dialogo
EuroArabo.
FP - Ci può parlare del Progetto Prodi, al quale hanno collaborato Tariq Ramadan ed altre importanti personalità?
BY - Il Progetto Prodi è il compimento e la realizzazione di Eurabia.
Viene chiamato il "Dialogo tra popoli e culture nell’area euromediterranea".
E’ stato richiesto da Romano Prodi, presidente della Commissione Europea, e approvato in occassione della Sesta Conferenza Euromediterranea dei ministri degli affari esteri, svoltasi a Napoli il 2-3 dicembre 2003. Si tratta di una strategia per una più profonda simbiosi euroaraba, che deve essere affidata
ad una Fondazione con il compito di controllarla, dirigerla e amministrarla. Lo scorso maggio, i ministri degli esteri europei hanno approvato la creazione della Fondazione Anna Lindh per il Dialogo delle Culture, con sede ad Alessandria, in Egitto. Il ministro degli esteri svedese Anna Lindh, uccisa da un folle, era stata un’appassionata sostenitrice della causa palestinese e del boicottaggio di Israele. Lindh era nota per le sue critiche contro la politica israeliana e americana di autodifesa dal terrorismo. Il capo della politica estera dell’Ue, Javier Solana, era un suo intimo amico, e la definiva una "vera europea". La Fondazione cercherà con diversi mezzi di rafforzare i legami di reciprocità, solidarietà e "comunione" tra le sponde settentrionali e meridionali del Mediterraneo, ossia tra l’Europa e i paesi arabi. Gli autori del progetto evitano scrupolosamente di ricorrere a caratterizzazioni di questo genere dato che, nello spirito di Edward Said, sono considerate blasfeme e razziste. E’ il contesto dell’Eurabia, ossia l’espressione di una cultura
e di una politica integralmente antiamericane e antisioniste, che spiega la durissima reazione contro la guerra in Iraq, a sua volta inserita nella guerra contro il terrorismo islamico. Un terrorismo che l’Eurabia ha negato esistere, incolpando invece "l’ingiustizia e l’occupazione" israeliane e "l’arroganza"
dell’America. L’Eurabia ha trasformato il terrorismo islamico nel cliché: "Il problema è l’America", allo scopo di consolidare la rete di alleanze che sostiene la sua geostrategia.
FP - Qual è il significato della dichiarazione di Solana?
BY - Solana è un protagonista della politica filoaraba e filo palestinese seguita dall’Ue durante la presidenza Prodi come reazione autoprotettiva dell’Europa di fronte alla guerra contro il terrorismo scatenata dall’America.
Se si esaminano le dichiarazioni della CE e dell’Ue sul conflitto arabo-israeliano dal 1977 a oggi, ci si accorge che sono in perfetto accordo con le posizioni e le decisioni della Lega Araba: l’imposizione a Israele dei confini stabiliti dall’armistizio del 1949, malgrado non siano mai stati riconosciuti come confini internazionali; la creazione su quei confini di uno Stato palestinese non previsto dalla Risoluzione 242 delle Nazioni Unite; il riconoscimento dell’Olp, e del suo leader Arafat, come il solo rappresentante del popolo palestinese, con l’obbligo per Israele di negoziare esclusivamente con lui; infine, ma solo inizialmente, il rifiuto di accettare trattati di pace separati. L’Ue ha accettato tutte queste richieste della Lega Araba e anche avallato le ripetute minacce di boicottaggio economico e culturale contro Israele, avanzate dai loro fedeli alleati arabi e dalla loro potente lobby, la Associazione Parlamentare per la Cooperazione Euroaraba. Il 3 marzo 2004, Javier Solana, alla domanfondada su cosa pensava della proposta americana di esigere riforme democratiche negli Stati arabi, ha risposto: "Il processo di pace deve sempre stare al centro di qualsiasi iniziativa che sia in atto ... Qualsiasi idea di riforma della nazioni deve correre in parallelo con la priorità di portare a termine il processo di pace, altrimenti avrà ben difficilmente successo". Solana ha semplicemente ripetuto l’opinione del presidente egiziano Hosni Mubarak, che aveva appena incontrato. Anche il segretario generale della Lega Araba Amr Moussa è dello stesso parere e si rifiuta di considerare la possibilità di qualsiasi riforma nei paesi arabi prima che sia raggiunta una soluzione del conflitto arabo-israeliano; una "soluzione" le cui condizion implicano la distruzione di Israele. Di conseguenza, qualsiasi forma di democratizzazione della società araba richiesta
dall’Occidente viene condizionata agli arabi alla sua partecipazione all’eliminazione di Israele. Questo vincolo è stato rifiutato dal Marc Grossman,
importante funzionario del Dipartimento di Stato americano, quando è andato in visita al Cairo il 2 marzo 2004. Grossman ha detto che il progetto di democratizzazione non deve dipendere da una soluzione del conflitto medio- orientale. Ma il ministro degli esteri egiziano, Ahmed Maher, gli ha risposto:
"La posizione dell’Egitto è che uno dei principali ostacoli al processo di
riforma è la perdurante aggressione israeliana contro il popolo palestinese
e arabo". La Reuters riporta questa dichiarazione di Amr Moussa, fatta ad una sessione inaugurale di un normale incontro fra ministri: "La causa palestinese…
è la chiave per la stabilità o l’instabilità della regione, ed è una questione
che continuerà ad influenzare in tutti gli aspetti lo sviluppo dei paesi arabi fino a quando sarà raggiunta una giusta soluzione". I notabili dell’Eurabia, si tratti di Chirac, de Villepin, Solana, Prodi o di qualcun altro ancora, hanno continuato a sottolineare l’importanza della causa palestinese per la pace mondiale, come se una più intensa campagna europea di diffamazione contro Israele farebbe cambiare qualcosa nel jihad globale scatenato negli Usa, in Asia, in Africa e in Cecenia. Secondo questa visione, è la stessa esistenza di Israele, e non questo impulso omicida jihadista, a costituire una minaccia per la pace. Il legame euroarabo tra riforma dei paesi arabi e la posizione di Israele è falso e dimostra soltanto, ancora una volta, l’asservimento dell’Europa alla politica araba. Numerosi vertici arabi e islamici hanno imposto al mondo la centralità della loro politica sulla questione palestinese e hanno richiesto che tutti gli altri problemi vengano ad essa subordinati. L’Ue ha fatto la stessa cosa.
FP - Lei parla spesso di un culto palestinese euroarabo. Cosa intende esattamente?
BY - Intendo precisamente questa centralità della questione palestinese che viene sbandierata in Europa come la chiave per la pace mondiale. Comunque, questo culto è qualcosa di molto più profondo di un semplice strumento politico per costruire una politica di alleanza euroaraba contro l’America e Israele. E’ legato a correnti teologiche giudeofobiche e promuove una teologia alternativa fondata sulla palestinizzazione della Bibbia e sul rifiuto delle sue radici ebraiche al fine di delegittimare la storia di Israele e i diritti che ha sulla sua terra. Questo culto simboleggia la redenzione del cristianesimo e dell’islam e la loro riconciliazione sulle ceneri di Israele, una creazione del Diavolo: una convinzione propagata dalla continua demonizzazione di Israele e dalla parallela vittimizzazione dei palestinesi che viene fatta dai media. Questo culto unisce neonazisti, giudeofobi, antiamericani, comunisti e jihadisti. E’ una rinascita delle correnti naziste antigiudaiche e anticristiane, in particolare nel suo odio per i fedeli della Bibbia cristiana e per l’America, il paese che ha determinato la sconfitta del nazismo e del comunismo. Negli anni trenta e quaranta, i nazisti avevano forti legami con i palestinesi; e queste simpatie si sono mantenute anche dopo la seconda guerra mondiale, sbocciando in quel culto palestinese euroarabo che ha sommerso l’Europa occidentale sotto l’onda del gigantesco apparato del Dialogo EuroArabo.
FP - Ma che cosa pensa l’opinione pubblica europea del suo futuro euroarabo? Ne è consapevole? E’ d’accordo?
BY - L’opinione pubblica ignora questa stategia, i suoi dettagli e il suo modo di operare; ma c’è una forte consapevolezza, un’ansia e una insoddisfazione per l’attuale situazione e in particolare per le tendenze antisemite.
Questa politica euroaraba, espressa in un linguaggio oscuro, viene condotta dalle più alte sfere politiche e interamente coordinata attraverso l’Ue, e diffonde in ogni settore sociale una sottocultura euroaraba fondata sull’antiamericanismo e l’antisemitismo. Oriana Fallaci ha dato voce a questa opposizione generale. Ma ci sono anche molti altri. Sono boicottati, spesso licenziati in tronco, vittime di una "correctness" totalitaristica, imposta in larga misura dal mondo accademico, dai media e dagli ambienti politici.
FP - Qual è la sua opinione a proposito dei giornalisti francesi che sono stati presi in ostaggio e delle reazioni francesi?
BY - Chirac sperava che sarebbero stati liberati come un favore reso alla politica filoaraba e filopalestinese della Francia: insomma, un servizio reso da un dhimmi, che si merita un favore non concesso ad altri. Questa tragedia
ha rivelato le buone relazioni della Francia con organizzazioni terroristiche come il Jihad islamico, Hezbollah e molte altre ancora. Ha anche smascherato la sua dipendenza dalla propria considerevole popolazione musulmana per le proprie scelte di politica interna ed estera, in quanto sembrava che la loro difesa avrebbe determinato la liberazione degli ostaggi. Ma le incredibili condizioni poste dai terroristi dimostrano che questi terroristi applicano le stesse leggi a tutti gli infedeli, senza fare nessuna distinzione. Dimostra infine l’insensatezza di una politica di collusione e rifiuto che ha sempre insabbiato il problema del terrorismo islamico per evitare di affrontarlo e che ha costantemente addossato le sue colpe sulle spalle delle sue vittime. La situazione della Francia illustra, infatti, che cosa minaccia l’intera Europa attraverso la sua integrazione demografica e politica all’interno del mondo arabo-musulmano, come viene ora promossa dalla Anna Lindh Foundation. La Francia, insieme al Belgio, alla Germania e forse alla Spagna, è avanti rispetto al resto dell’Europa. L’Inghilterra, l’Italia e per certi versi i paesi dell’Europa orientale non sono stati colti dalla dhimmitudine, quella sindrome di asservimento che consiste nella sottomissione e nell’obbedienza alla politica musulmana per essere risparmiati dal jihad e dalla morte. La dhimmitudine è connessa all’ideologia del jihad e alle disposizioni della sharia che si riferiscono al trattamento degli infedeli ed è un elemento fondada
mentale del complesso processo storico di islamizzazione delle civiltà giudaico-cristiana, buddista e indù. L’America deve prendere una scelta: o rinunciare alla propria libertà e accodarsi all’Europa nella asservita condizione di un dhimmi, oppure mantenere la propria determinazione a combattere la guerra contro il terrorismo in nome della libertà e dei diritti umani universali.
FP - John Kerry ha ripetutamente dichiarato che ‘ricostruirebbe le alleanze’ con l’Europa, a suo parere gettate al vento da Bush, in particolare con nazioni come la Francia e la Germania. Può dirci in che modo la sua concezione dell’Eurabia potrebbe influenzare la validità di questa pretesa del senatore Kerry?
BY - L’antiamericanismo è stato molto popolare fin dalla fine degli anni sessanta, quando i partiti comunisti e di estrema sinistra europei rappresentavano una potente forza politica. E’ stato un fattore decisivo nella politica gollista a favore di una Europa unita e forte, e un pilastro fondamentale della politica euroaraba negli anni settanta. Nel 1961 e nel 1967 De Gaulle si oppose all’ingresso dell’Inghilterra nella Comunità Europea proprio per le sue simpatie atlantiche. La struttura del Dialogo EuroArabo, che ha determinato tutta la politica europea nei confronti del mondo arabo-musulmano, era già sostanzialmente antiamericana negli anni settanta. L’Europa è un continente che affonda e la ricostruzione delle alleanze andrà a scapito della sicurezza e della libertà dell’America. Le violente correnti europee anti-
Bush sono legate alla situazione interna dell’Europa. La guerra dichiarata da Bush contro il terrorismo islamico ha rivelato una realtà tenuta scrupolosamente
nascosta in Europa e ne ha smascherato la estrema fragilità, creando una situazione che è stata tuttavia compensata da un’esplosione di antiamericanismo e antisemitismo organizzata dai network euroarabi. Le dichiarazioni fatte dal senatore Kerry sono inaccurate se si tiene conto del contesto euroamericano di rivalità culturali, politiche ed economiche precedenti all’elezione di Bush, e soprattutto dell’emergere di una nuova e complessa situazione che l’opinione pubblica americana ed europea non ha ancora compreso fino in findo. Si tratta
della minaccia di un jihad globale, con la sua ideologia, la sua strategia e le
sue tattiche operative, coordinato da una rete di cellule sparse in tutto il
mondo. La differenza tra Europa e America sta nel fatto che l’Europa nega l’esistenza di questa minaccia perché non può o non vuole combattere in
nome di certi valori cui in realtà ha già rinunciato. Vediamo di fronte a noi la
collisione di due strategie diametralmente opposte.
FP - Possiamo nutrire qualche speranza per l’Europa? Per esempio, pensare
di vincere questa guerra contro l’islamismo?
BY - Forse gli ultimi eventi che hanno dimostrato l’insuccesso della politica francese e la spaventosa tragedia dei bambini massacrati nella scuola di Beslan
convinceranno gli europei ad assumersi le proprie responsabilità. La guerra contro il terrorismo jihadista può essere vinta soltanto se il mondo civile si unisce compatto contro la barbarie. Fino ad oggi le democrazie europee hanno appoggiato Arafat, il padre fondatore del terrorismo jihadista, degli attentati suicidi e del rapimento di ostaggi. Vinceremo la guerra soltanto se gli daremo il nome appropriato e la affronteremo come tale, riconoscendo che obbedisce alle regole della guerra islamica, del tutto diverse dalle nostre; e vinceremo soltanto se le democrazie e i modernisti musulmani cesseranno di giustificare questi atti contro altri paesi. La politica di collusione con i terroristi per garantirsi la propria sicurezza è una semplice illusione.
© Frontpage Magazine - Il Foglio
"La collusione con i terroristi
per garantirsi la sicurezza è
un’illusione". Che effetto avrà
la ricostruzione delle alleanze?
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.
lettere@ilfoglio.it