Le conseguenze di un ritiro affrettato dall'Iraq
intervista a Richard Perle
Testata:
Data: 04/10/2004
Pagina: 6
Autore: Ennio Caretto
Titolo: Ma un disimpegno prima del tempo destabilizzerebbe tutta la regione
A pagina 6 del Corriere della Sera di oggi, 04-10-04, Ennio Caretto intervista Richard Perle, consigliere del Pentagono e architetto del disarmo dell'Urss, sulle conseguenze di un ritiro prematuro dall'Iraq.
Ecco il pezzo:

Richard Perle non vede gravi contraddizioni tra il ministro della Difesa Donald Rumsfeld, secondo cui il ritiro delle truppe americane potrebbe cominciare prima che l'Iraq sia totalmente pacificato, e il presidente Bush, secondo cui avverrà solo «a missione compiuta», cioè quando il Paese sarà sicuro al cento per cento. Il consigliere del Pentagono, l'uomo che per anni premette per la destituzione di Saddam Hussein, ammonisce che «una uscita prematura dal campo» destabilizzerebbe non soltanto Bagdad ma anche il Medio Oriente. Perle, «il cavaliere nero» del presidente Ronald Reagan nella guerra fredda, l'architetto del disarmo nucleare con l'Urss, afferma che «le elezioni di gennaio segneranno un importante passo avanti verso la soluzione dei problemi dell'Iraq». Ma l'Amministrazione non dà segni d'incertezza? «Le posso dire che intende tenere le truppe in Iraq sino a quando gli iracheni non saranno in grado di difendersi da soli dagli insorti e dai terroristi. Ha investito troppo in questa guerra, e non cambierà strada. Certe dichiarazioni possono ingenerare confusione, ma la strategia è quella». Che cosa significa? Che l'Amministrazione non incomincerà a ritirare le truppe neppure alla fine dell'anno venturo? «E' molto difficile quantificare i tempi. Quando verrà il momento, ci sarà un ritiro lento e graduale non grosso e improvviso. E comunque le truppe Usa per l'addestramento degli iracheni dovranno rimanere in Iraq a lungo». Le critiche però aumentano. «Lei sa che io sono stato uno dei primi a muoverle: il potere andava trasmesso agli iracheni subito, non tre mesi fa. Le elezioni si sarebbero svolte in un clima meno teso e la resistenza sarebbe stata minore. Purtroppo il terrorismo si intensificherà in vista delle elezioni, ma non riuscirà a intimidire la maggioranza degli iracheni». Si aspetta che alleati come l'Italia restino al vostro fianco per anni? «Siamo grati all'Italia del suo appoggio, ma gli alleati sono liberi di prendere le loro decisioni. Tenga conto che la situazione in Iraq varia da regione a regione: qualcuno potrebbe disimpegnarsi prima di noi perché la sua regione è sotto controllo. E' impossibile fare previsioni». John Kerry, l'avversario elettorale di Bush, non esclude l'invio di rinforzi. «Non c'è bisogno di più truppe, c'è bisogno di gente che parli la lingua locale, conosca la cultura irachena, sappia trattare coi leader tribali. I nostri soldati non possono fare i poliziotti: è il motivo per cui la sicurezza deve essere affidata a poco a poco agli iracheni». Kerry promette anche di mobilitare l'Onu e la Nato. «Non so di che cosa parli, sarebbe una perdita di tempo. L'Onu, la Francia, la Germania, la Russia e altre nazioni non cambieranno posizione. La Nato potrebbe fare un gesto simbolico, ma non andrebbe oltre al modesto impegno assunto per l'addestramento degli iracheni». Le crede che il partito dell' ayatollah Moqtada al Sadr parteciperà alle elezioni come scrive il ? «Qualcuno tenta di fare dell' Iraq una teocrazia, l'Iran per esempio, che vuole un regime amico a Bagdad. Ma credo che il partito di Sadr verrebbe sconfitto, se andasse alle urne. Secondo me, la maggioranza degli iracheni vuole uno stato secolare, moderno e democratico». Prevede un successo del premier Allawi? «Non riesco a fare previsioni nemmeno sulle elezioni in America, immagini in Iraq. D'altronde l'incertezza fa parte del fascino della democrazia. Non saranno elezioni morbide, provocheranno polemiche. Ma, come in Afghanistan, sarà molto meglio tenerle che non rinunciarvi».
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