Viva la Palestina,al diavolo i palestinesi !
sacrificabili anch'essi sull'altare dell'ideologia e dell'odio per Israele
Testata: Il Manifesto
Data: 10/09/2004
Pagina: 6
Autore: Michele Giorgio
Titolo: La Road Map segregazionista di Sharon
A pagina 6 del Manifesto di oggi, 10-09-04, Michele Giorgio firma l'articolo "La Road Map segregazionista di Sharon", dove sostiene che l'approntare in Cisgiordania strade riservate agli ebrei sia una forma di "razzismo".
Dimenticando che vi sono motivi di sicurezza per farlo: sulle strade della Cisgiordania,e anche su quelle al di quà della "linea verde", gli ebrei vengono uccisi dal terrorismo palestinese.
Il resto dell'articolo è, come al solito, un miscuglio di cronaca e proclami politici: lo stato palestinese deve avere per capitale Gerusalemme, il "muro" è illegale e non si devono ricostruire in altri luoghi le strade distrutte lungo il suo tracciato , perchè significherebbe accettarlo.
Tanto per chiarire in che misura i motivi dell'opposizione del Manifesto alla barriera salva-vite siano puramente "umanitari", ispirati alla preoccupazione sincera per il benessere della popolazione palestinese.
Ecco il pezzo:

L'Autorità nazionale palestinese è spaccata sulla posizione da tenere alla prossima riunione dei paesi donatori prevista a fine mese a New York. L'incontro, convocato per assegnare nuovi fondi alla ricostruzione nei Territori occupati, rischia di concludersi con un nuovo colpo alle speranze palestinesi di fondare un loro stato, realmente sovrano, in Cisgiordania e Gaza con capitale Gerusalemme est. Il pericolo è reale ma i leader palestinesi, in particolare il presidente Yasser Arafat e il premier Abu Ala, continuano a darsi battaglia indebolendo ulteriormente l'Anp. La disputa è peraltro esplosa mentre a Gaza si continua a morire e il ministro degli esteri israeliano Silvan Shalom è tornato a minacciare apertamente Arafat affermando che la sua espulsione è «molto vicina». Quattro palestinesi, tra i quali un bambino di nove anni, sono stati uccisi in una vasta operazione avviata dall'esercito israeliano nel nord e nel sud della Striscia di Gaza, ufficialmente per fermare il lancio di razzi artigianali «Qassam» verso la cittadina di Sderot e le colonie ebraiche costruite su terre occupate. Secondo fonti di Gaza solo uno dei giovani palestinesi uccisi era un militante armato del movimento islamico Hamas. Un quinto palestinese, appena adolescente, è stato investito da una jeep israeliana all'ingresso del campo profughi di Al-Amari, vicino Ramallah (Cisgiordania), ed è morto in ospedale.

Secondo le indiscrezioni che circolano in questi giorni i rappresentanti dei paesi donatori si riuniranno a New York non sulla base della Road Map - il piano del Quartetto (Usa, Russia, Ue e Onu) che, sebbene sia palesemente favorevole a Israele, prevede un preciso «percorso» fatto di impegni e scadenze sia per il governo Sharon che per i palestinesi - invece del piano unilaterale del premier israeliano, che contempla il ritiro da Gaza entro il prossimo anno «compensato» dalla annessione a Israele di larghe porzioni di Cisgiordania. In particolare delle aree dove si concentrano gli insediamenti colonici, illegali per le risoluzioni e convenzioni internazionali.

Il piano di «disimpegno» di Sharon è stato di fatto adottato dall' amministrazione Bush lo scorso aprile quando il presidente americano consegnò al premier israeliano una lettera di garanzie che riconosceva la «impossibilità» per lo stato ebraico di rientrare entro le frontiere del 1949, precedenti alla occupazione dei Territori avvenuta nel 1967. A questo colpo alla legalità internazionale ne sono seguiti altri, come il recente riconoscimento americano della cosidetta «crescita naturale», ovvero l'espansione, delle colonie israeliane. Il prossimo potrebbe arrivare a fine mese. Il governo Sharon, riferiva domenica scorsa il quotidiano israeliano Haaretz, ha chiesto ai paesi donatori di investire i fondi anche in nuove strade per i palestinesi. Haaretz ha aggiunto che la richiesta, apparentemente meritevole, intende in realtà soddisfare da due necessità: costruire strade in sostituzione di quelle distrutte dal muro che Israele sta innalzando in Cisgiordania; creare una nuova rete stradale palestinese distinta da quella originaria che verrebbe parzialmente utilizzata solo dai coloni. E' chiaro che questo progetto presuppone un riconoscimento internazionale della realtà creata sul terreno dal muro che, esattamente due mesi fa, è stato dichiarato illegale dalla Corte di Giustizia dell'Aja. Non solo ma realizza nella Cisgiordania occupata sistemi di vita diversi per i coloni israeliani (appena 400 mila, inclusi quelli residenti a Gerusalemme est) e per i palestinesi (tre milioni), che ricordano da vicino quelli del Sudafrica razzista. I coloni percorrerebbero strade proibite invece ai palestinesi.

Schierata dietro gli scudi e le lance della «lotta al terrorismo», concentrata sulle sanguinose vicende irachene, la comunità internazionale segue distrattamente ciò che accade nei Territori occupati. Allo scopo di dare uno scossone a questo quadro poco rassicurante ed evidenziare il disappunto palestinese, Abu Ala avrebbe preferito non inviare rappresentanti dell'Anp alla riunione dei paesi donatori. Arafat invece sostiene l'importanza di partecipare, anche a condizioni sfavorevoli. Confinato da quasi tre anni a Ramallah, il presidente palestinese continua a mostrarsi flessibile agli occhi di Washington nella speranza di recuperare un ruolo riconosciuto sulla scena diplomatica. Non ha capito che Bush e Sharon non lo faranno mai. Secondo il resoconto degli ultimi eventi fatto dal Jerusalem Post, qualche giorno fa Arafat ha «ricordato» ad Abu Ala che «chi comanda è il presidente e non il primo ministro». Abu Ala ha minacciato le dimissioni, poi, come è già successo altre quattro volte nell'ultimo anno, ci ha ripensato. Ieri il premier è andato in Giordania. Al suo ritorno Arafat deciderà il futuro del suo governo. Circola già il nome del nuovo premier: Nasser Qidwa, rappresentante palestinese all'Onu e nipote del presidente.
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