La vergogna della Francia
le solidarietà insaguinate di Hamas, Jihad e Hezbollah
Testata:
Data: 03/09/2004
Pagina: 3
Autore: un giornalista - Giorgio Israel - Carlo Panella
Titolo: "Spero per gli ostaggi, ma Parigi mettendosi in ginocchio ha già perso" - L'onta di non poter rispedire al mittente il comunicato di Hamas - Così Parigi ha fatto dimenticare agli arabi il milione di algerini uccisi
In prima pagina Il Foglio di oggi, 03-09-04, pubblica un'intervista all'ambasciatore di Israele in Italia, Ehud Gol, sulla vicenda degli ostaggi francesi e sulla politica di Parigi, improntata al cedimento ai ricatti del terrorismo, che ha fruttato le "solidarietà insanguinate" di Hamas. Jihad e Hezbollah.
Ecco il pezzo, intitolato "Spero per gli ostaggi, ma Parigi mettendosi in ginocchio ha già perso":

Roma. "La Francia stia ben attenta a non arrendersi: ci sarà un prezzo da pagare, ed è Israele che rischia di pagarlo". L’ambasciatore israeliano a Roma, Ehud Gol, manifesta al Foglio tutto il suo disprezzo per l’annuncio di Hamas che chiede ai terroristi iracheni di liberare i due giornalisti francesi e, nello stesso giorno, rivendica l’attentato a Beersheba, in cui 16 israeliani sono stati uccisi e centinaia sono rimasti feriti: "Hamas è come il figlio che ha ammazzato il padre e poi, davanti al tribunale, chiede pietà perché è orfano – dice l’ambasciatore – Da un lato compie attentati terroristici e dall’altro li condanna. Continua ad assassinare innocenti e poi ostenta uno
spirito moderato. Hamas non ha chiesto la liberazione dei francesi perché crede
nel valore della vita, ma perché la loro uccisione potrebbe danneggiare l’appoggio dei francesi, e dell’Europa, ai palestinesi". Secondo Gol, nel mondo arabo ora prevale un senso di vergogna di fronte alla vicenda dei due ostaggi francesi: "Lo Stato che non ha mandato soldati in Iraq, lo Stato che si identifica di più, tra i membri dell’Unione europea, con la posizione araba, lo Stato che sostiene Yasser Arafat più di qualsiasi altro paese, lo Stato che ha mandato il suo ministro degli Esteri a incontrare il presidente palestinese alla Muqata per dare un segnale contro Israele, lo Stato che si è mostrato sempre favorevole al mondo arabo si trova ora sottomesso alle imposizioni dell’islam radicale. Non c’è prova migliore di questa per capire che è inutile fare concessioni e arrendersi al terrorismo". Gol sostiene che chi è permissivo oggi si troverà un prezzo più caro da pagare domani: "Spero dal profondo del mio cuore che i due possano essere liberati, ma il danno ormai è fatto. I francesi capiranno che le concessioni portano a un ricatto sempre maggiore". A chi sostiene che la politica estera francese ha comunque allungato i tempi dell’ultimatum l’ambasciatore risponde: "Si può paragonare l’attuale strategia araba con la politica da sempre fatta dai palestinesi alle Nazioni Unite: condannano Israele in modo radicale e feroce, pieno di odio e di ostilità, e poi, per ottenere un consenso maggiore, sono pronti a fare concessioni per accontentare l’occidente, ma comunque sempre contro il nostro diritto a difenderci. Anche in questo caso le minacce sono radicali, la Francia è sotto pressione: il governo si attiva, il ministro degli Esteri si presenta in tre giorni in tutte le capitali del mondo arabo, arriva a chiedere pietà ad Amr Moussa, il segretario della Lega araba, e cosa fa il mondo arabo, nella sua politica estrema di ricatti continui? Prima si presenta nel modo più radicale ci sia, poi ci chiede di ringraziarlo per essere diventato più moderato, perché
ci aiuta a salvare due innocenti". L’umiliazione dell’alleato più fedele
Per Gol, il mondo arabo sta umiliando il suo alleato più vicino: "La Francia, che rappresenta i paesi arabi da sempre, è oggi in ginocchio davanti a loro. Spero veramente che riesca a liberare i suoi ostaggi, ma è comunque in ginocchio". Non aiuta certo l’immagine di Parigi il fatto che organizzazioni
terroristiche, come Hamas, si mettano al suo fianco: "Ecco il paradosso della Francia: non ha partecipato al conflitto iracheno e poi si sottomette alle pressioni dei paesi arabi. E’ questo il pericolo per tutto il mondo libero".
L’ambasciatore non s’illude: anche se gli ostaggi saranno liberati, la Francia ha perso comunque: "Ci sarà un ricatto politico e chissà quale sarà il prezzo che Israele potrebbe pagare in seguito all’eventuale rilascio. Parigi non potrà migliorare le sue relazioni con Israele una volta che si sia arresa a questi ricatti". Gli sforzi che la Francia fa nel mondo arabo non sono, secondo Gol, il
segnale di una fine politica estera che soltanto Parigi può permettersi, ma il rischio di un ricatto più alto in futuro: "Se la Lega araba può salvare questi due giornalisti perché non si è mossa per salvare altri innocenti? La verità è che non fa nulla per fermare davvero il terrorismo. Perché non si sente una voce chiara contro il terrorismo palestinese da parte del mondo arabo moderato? Il terrorismo è sempre terrorismo: quando è contro di noi, quando è contro 12 nepalesi o due francesi. E contro il terrorismo si deve combattere e basta. Non si può dialogare con chi ci ammazza nel modo più feroce che esiste". Gol conclude con una nota di speranza: "Domani il terrorismo islamico potrebbe arrivare a chiedere le dimissioni del presidente Chirac: che cosa farebbe allora la Francia? Spero che capisca che arrendersi al terrorismo è un gioco pericoloso, che potrebbe portare a pagare un prezzo sempre più alto".
A pagina 3 Giorgio Israel, nell'articolo "L'onta di non poter rispedire al mittente il comunicato di Hamas",si domanda se la Francia di oggi "non sia già in parte diventata una repubblica islamica".
Ecco il pezzo:

Una quindicina di anni fa, leggendo su un muro parigino la scritta cubitale "La France sera una république islamique", riuscivo soltanto a pensare alla paranoia
di chi l’aveva scritta. Un mese fa scrivevo che quel programma restava irrealistico, anche se meno ridicolo di un tempo. Oggi trovo naturale chiedersi se la Francia non sia già in parte diventata una repubblica islamica. Come? – si dirà – la patria dell’illuminismo, una delle fonti del pensiero democratico
occidentale? E la legge sul velo non è l’espressione di un’irriducibile spirito
repubblicano laico? Ma la legge sul velo – qualsiasi cosa se ne pensi, e occorre ascoltare il richiamo di Magdi Allam a cogliere il significato opposto che ha il portare il velo per noi e per gli integralisti: per noi un diritto, per loro un dovere – dicevo… ma la legge sul velo non è proprio il tentativo affannoso e forse disperato di difendere un laicismo repubblicano che fa acqua da tutte le parti? La realtà non è mai soltanto bianca o nera, e la legge sul velo – giusta o sbagliata che sia – risponde all’esigenza di difendere i capisaldi di una società laica contro l’integralismo. Non a caso gli ntegralisti l’hanno presa di mira, riuscendo a dimostrare la fragilità delle difese della società francese. Perché la Francia è un paese con cinque milioni di musulmani, fra cui non pochi inquadrati in organizzazioni salafite; la Francia è un paese in cui diversi quartieri di grandi città sono fuori del controllo della polizia e per i quali talune organizzazioni islamiche hanno richiesto l’istituzione della sharia; un paese in cui la poligamia finanziata dallo Stato è divenuta un fenomeno macroscopico; un paese infiltrato da un devastante antisemitismo islamico, in cui non si può insegnare la storia della Shoah in diverse università senza che la vita diventi impossibile. Infine, un paese allineato su una politica estera strettamente filoaraba, antiamericana
e antiisraeliana. Come si sia arrivati a questo sarebbe lungo dire. Di certo si tratta di un processo che affonda le sue radici malate nel modo sbagliato – oserei dire "pétainista" – con cui fu risolta la questione algerina. Come che sia, il problema è che nella cultura francese è rimasto poco dell’idea dell’universalismo democratico e del ruolo dell’individuo come fondamento del contratto sociale. E’ subentrata una visione postmoderna e comunitarista della società che è il terreno di coltura ideale per l’integralismo. Anche nelle università anglosassoni dilagano simili visioni, ma si dimentica spesso che esse sono frutto della colonizzazione culturale di profeti del "marxismo debole delle società opulente" come Jacques Derrida e Michel Foucault. Oggi è la Francia la patria del postmodernismo, del relativismo culturale, del terzomondismo, del comunitarismo e i famosi principi del laicismo repubblicano appaiono sempre di più come una scorza svuotata dall’interno. La rivincita della battaglia di Poitiers Talmente fragile è la scorza che agitare la bandiera della sua difesa è servito soltanto, di fronte al sequestro, a mostrare la realtà che essa malamente copre: quella di una classe dirigente che non può far altro che inviare un ministro a pregare in moschea. E’ certamente un bene che la maggioranza moderata della comunità musulmana francese si sia sollevata contro il rapimento. Ma non solo costoro, bensì anche i più truci macellai si sono levati come un sol uomo a difendere la Francia. Il governo francese ha ricevuto un attestato di solidarietà di Hamas, nella cornice della rivendicazione della strage di diciotto civili israeliani, e ha dovuto subire l’onta di non poterlo rispedire al mittente. Per il semplice motivo che Hamas è amico e alleato. In un’intervista di due giorni fa, l’intellettuale musulmano Tariq Ramadan – tristemente noto per aver attaccato il "comunitarismo" degli intellettuali ebrei francesi – ha indicato una via d’uscita: interpretare la legge sul velo, accettando che si portino copricapo "discreti", magari una "semplice bandana"… Il dibattito aperto è fra chi è disposto a tagliare qualche testa per far cadere i resti della scorza repubblicana, e chi vuol continuare pazientemente il lavoro di svuotamento. Strategie diverse, obbiettivo comune: la rivincita sulla battaglia di Poitiers.
Sempre a pagina 3 Carlo Panella firma un'analisi della politica araba della Francia, dei suoi ambigui successi e dei suoi fallimenti.
Ecco il pezzo, intitolato "Così Parigi ha fatto dimenticare agli arabi il milione di algerini uccisi":

Non esiste nazione in Europa e in occidente che abbia le mani sporche di sangue arabo come la Francia, che ha sulla coscienza un milione di algerini. Non esiste
nazione in Europa e in occidente che abbia così ferocemente combattuto una guerra contro il terrorismo arabo (il Fnl algerino applicava essenzialmente una strategia di attentati) e che l’abbia persa con onta, perché il suo obiettivo era indifendibile (l’Algeria non poteva essere indipendente perché non era araba, ma "territorio metropolitano francese"), quindi era assolutamente isolata dalla comunità internazionale e drammaticamente divisa al suo interno, sfiduciata com’era per l’ennesima incredibile sconfitta militare coloniale nella lontana Dien Bien Phu, in Vietnam. Pure, nonostante tutto questo, oggi la Francia è il paese occidentale più amato nei paesi arabi. Nessuno più le rinfaccia il massacro del Sètif del 1945 (40 villaggi rasi al suolo, 15 mila civili sterminati) a opera di un generale R. Duval che agiva per conto di un governo di gollisti, socialisti e comunisti; nessuno più le rinfaccia le torture mortali di massa di algerini ordinate dal generale Massu, al cui confronto Abu Ghraib è una beauty farm. Nessuno le rimprovera più neanche l’essere stata alleata di Israele nella guerra 1956, né l’avergli fornito quei
Mirages che inflissero agli arabi la sconfitta bruciante del 1967. Charles De Gaulle, Saddam Hussein e Jacques Chirac sono gli autori di questo lavacro storico, di questo straordinario ribaltamento d’immagine che ha permesso al paese occidentale che ha ucciso in assoluto più arabi di divenire l’idolo di una "nazione araba" che odia quegli Stati Uniti che – sino all’aprile 2003 – non ne hanno mai ucciso nessuno, se non implorati dalla schiacciante maggioranza dei paesi arabi stessi, nel 1991. Il loro punto d’incontro è la contrapposizione della potenza della Francia a quella degli Stati Uniti, una politica ostile a Israele e gli interessi petroliferi. Prima con Israele, poi no, sempre anti Usa Per comprendere la loro azione, è indispensabile ricordare una pagina di storia che oggi appare bizzarra e che vede nel 1956 gli Usa intervenire e regalare al leader panarabo Nasser, già sonoramente sconfitto sul piano militare a Suez, la vittoria sugli eserciti franco-anglo-israeliani.
Non comprendendo nulla della questione araba, spinti da una vocazione anticoloniale, pressati dall’Urss, gli Stati Uniti di Eisenhower così sintetizzarono, il 2 novembre 1956, per bocca del vicepresidente Richard Nixon, il senso di quella sciagurata scelta: "Per la prima volta nella nostra storia abbiamo dimostrato l’indipendenza della nostra politica verso Asia e Africa nei confronti della Francia e della Gran Bretagna; le loro politiche ci sembrano riflettere la tradizione coloniale. Tale dichiarazione d’indipendenza ha avuto un effetto elettrizzante in tutto il mondo". L’esito del disastro del ’56, funesto per il futuro del medio oriente, ha una conseguenza, di nuovo, bizzarra:
fino al 1966 la Francia diventa il principale fornitore bellico di Israele; all’inizio in funzione antinasseriana, tutta interna alla guerra d’Algeria (il Fnl è una filiazione del Cairo), poi in funzione di concorrenza gollista agli Usa (sono gli anni dell’uscita di Parigi dalla Nato). Ma quando De Gaulle nel 1967 tenta di capitalizzare questi aiuti e preme su Israele, in piena sintonia con Mosca, perché non risponda alla sfida militare di Nasser (che pure dichiara
di volerla distruggere), e poi perché si ritiri immediatamente dai Territori, scopre – al solito – di non trovare credito fuori dai confini della Francia.
Inizia così una fase di ribaltamento delle posizioni di Parigi nei confronti di Gerusalemme, che ha il suo culmine nel Consiglio europeo di Venezia del 1980, in cui Valéry Giscard d’Estaing convince i leader europei terrorizzati da un petrolio a 40 dollari al barile (equivalenti a 83 odierni) ad abbandonare la posizione israelo-americana che considerava unico interlocutore per la questione palestinese il re di Giordania e a riconoscere invece formalmente l’Olp di Yasser Arafat. E’ l’affermazione dell’ipotesi distorta che affida a un’organizzazione terrorista che ha per statuto la distruzione di Israele il compito della costruzione dello Stato palestinese. E’ il viatico per il matrimonio politico tra la Francia e i paesi arabi. Ma in questa corrispondenza franco-araba c’è soprattutto il petrolio, c’è soprattutto un Saddam Hussein che nel 1972 nazionalizza il petrolio iracheno in maniera ben diversa dagli altri paesi arabi. Esclude infatti dall’esproprio i pozzi di Rumailia, in concessione all’Unione sovietica e a una Francia con cui intavola una trattativa privilegiata, in cui è definita la fornitura di centrali e armamento convenzionale e atomico (il reattore Tammuz, distrutto da Israele nel 1981). Jacques Chirac capitalizza subito questa disponibilità di Saddam a offrire alla Francia la sponda araba per la costruzione del multilateralismo antiamericano.
Dal 1972 a oggi, ogni mossa irachena – a partire dalla leadership del Fronte del Rifiuto dell’accordo Begin-Sadat sul Sinai – trova così a Parigi una benevola accoglienza, temperata soltanto dalla posizione personale filoisraeliana di François Mitterrand. Dal 1972 a oggi, la Francia rappresenta
nell’Unione europea e all’Onu la sponda più preziosa per le posizioni arabe
più intransigenti (compreso il rifiuto di mettere fuori legge i terroristi di Hamas), premessa per una brillante politica petrolifera. Questa linea non stupisce in un paese che è riuscito con la sua fantastica capacità
retorica "rèpublicaine" a stendere un velo di oblio sulla propria corale collaborazione con il nazismo durante Vichy e a celebrare il 50° anniversario dello sbarco in Normandia senza che si notasse che non vi era un solo soldato francese morto su quelle spiagge, perché non un soldato francese – onta perenne – aveva partecipato a quello sbarco. La retorica ha anche saputo far dimenticare che dal 1848 in poi Parigi ha sempre perso sul piano militare, a volte con infamia, tutte le guerre che ha intrapreso.
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