L'asimmetria tra Israele e Anp: una democrazia e una dittatura
analisi e approfondimenti
Testata:
Data: 20/08/2004
Pagina: 3
Autore: un giornalista
Titolo: Crisi asimmetriche per Sharon e Arafat - Sharon tira dritto - Arafat torna indietro
A pagina 3 Il Foglio di oggi, 20-08-04, pubblica un editoriale che dimostra l'infondatezza dei parallelismi tra la crisi del regime di Arafat e le difficoltà del governo Sharon. Da una parte vi è infatti un dittatore che cerca di preservare il suo potere, dall'altra un leader democratico impegnato in una difficile e coraggiosa battaglia politica.
Ecco il pezzo:

Chi ama sottolineare le simmetrie politiche non mancherà di notare che il premier israeliano e il presidente palestinese si trovano contemporaneamente a dover fronteggiare la dissidenza all’interno dei loro partiti, il Likud e al Fatah. La simultaneità della bocciatura da parte dell’assemblea del Likud della proposta di Ariel Sharon per un accordo di governo con i laburisti e della mezza autocritica pronunciata da Yasser Arafat di fronte al consesso palestinese non deve però far pensare a un’analogia delle situzioni. Sharon si batte con determinazione, anche all’interno del suo partito, per una scelta chiara e audace, basata sul ritiro israeliano dalla striscia di Gaza, in modo da verificare la capacità dei confinanti egiziani di esercitare una specie di protettorato che riapra la road map, ora ostruita dall’anarchia palestinese. Su questa prospettiva è d’accordo la maggioranza degli israeliani, ma questa maggioranza non corrisponde a quella, piuttosto evanescente, che alla Knesset appoggia il governo. Sharon cerca soluzioni nuove, che mettono in crisi la tradizionale geografia politica israeliana, e se non ci riuscirà sceglierà la via maestra della democrazia, indicendo nuove elezioni. Arafat, invece, si trova di fronte a una rivolta di settori del suo movimento che, con l’argomento della corruzione del regime, intendono modificare i rapporti di forza, anche con rivolte armate e sequestri di avversari politici. Spinte diverse, democratiche o terroristiche, s’intrecciano in queste confuse agitazioni, che hanno in palio il controllo delle strutture di "sicurezza", che si sono trasformate in potentati feudali dei vari dirigenti. Arafat ha ammesso di aver commesso "errori inaccettabili", ma la sua promessa di riforme, troppe volte ripetuta, non convince nessuno. D’altra parte le recenti elezioni locali sono state sospese d’autorità quando si è profilato il successo di Mohamed Dahlan, un oppositore del rais. Sharon combatte con la chiarezza e la democrazia, concetti del tutto ignoti al suo antagonista palestinese.
In prima pagina due interviste, al direttore del giornale israeliano Maariv e all'ex tesoriere dell'Olp, offrono ulteriori elementi di giudizio.
Particolarmente interessante l'appello del palestinese a non finanziare più l'Anp.
Ecco i due pezzi:

Sharon tira dritto.

Gerusalemme. "Il governo israeliano è un matrimonio senza amore destinato al divorzio". Amnon Dankner, direttore del quotidiano Maariv, descrive così al Foglio la sconfitta del premier israeliano Ariel Sharon davanti al comitato centrale del Likud. Sharon non è una parte integrante del partito, oggi è ancora più chiaro che a controllare il Likud è l’asse tra Netanyahu (ministro
delle Finanze, ndr) e Shalom (Esteri). Sharon avrebbe preferito una coalizione
tra il suo partito, i laburisti e Shinui, ma il Likud non lo permetterà mai". Secondo il direttore del giornale israeliano, ora il premier, battuto in casa, avrà diverse opportunità per allargare il suo governo, ma comunque Israele va verso elezioni anticipate; l’unica questione da chiarire è quando. Intanto ieri il leader del partito laburista, Shimon Peres, ha chiesto elezioni anticipate e ha detto che sarà candidato premier. "Sharon potrebbe cercare di sopravvivere
con la coalizione attuale finché porterà la proposta del piano di disimpegno
da Gaza davanti al Parlamento, e nello stesso tempo creare accordi politici con alcuni partiti che lo aiuteranno a far passare la legge sul bilancio, che gli crea problemi seri – continua Dankner – Oppure può allargare la coalizione con un partito religioso, con cui i laici di Shinui sarebbero d’accordo a sedersi attorno al tavolo del governo: Yahadut Ha Torà, per esempio. E’ poco probabile, invece, che il premier non tenga conto del suo elettorato, come quando ha perso il referendum sul ritiro da Gaza, e associ i laburisti al governo". Ma per Dankner qualsiasi cambiamento nella formazione dell’esecutivo porterà comunque a elezioni anticipate. "Israele andrà alle urne tra febbraio e giugno 2005. Non sono ottimista riguardo al progetto di disimpegno da Gaza – dice il direttore di Maariv – Ci sono troppe forze che sono contro questa mossa così importante
e determinante. E’ impossibile perseguire un piano del genere, che potrebbe
causare scontri fra ebrei, mentre tutti sono contro tutti, mentre l’atmosfera è
così pesante". Per Dankner, Sharon sa che le elezioni anticipate potrebbero portare al ritorno di Netanyahu ed è anche chiaro che il ministro delle Finanze sarà l’erede del premier quando Sharon lascerà la politica.

Arafat torna indietro

Roma. Yasser Arafat, a modo suo, ha ammesso di aver fatto degli errori. Inusuale, forse anche rivoluzionario. E’ senz’altro un ulteriore segno dell’intensa crisi che sta vivendo la leadership palestinese, stretta tra
i dissensi interni e le critiche internazionali. Ma il rais, come l’araba fenice, è più volte risorto dalle proprie ceneri politiche. Questa volta però la sfida non è facile, perché a contrastare Arafat ci sono frange del suo stesso partito, Fatah, e l’accusa è di corruzione e di inattività nell’avvio delle riforme democratiche e della sicurezza richieste dal fronte interno e da
quello esterno. Ci si chiede se e come il rais sarà in grado di salvarsi una volta di più. "Se rimane farà riforme cosmetiche, quello che vogliamo è invece una trasformazione totale nel mondo della politica", dice al Foglio Jaweed al Ghussein, ex presidente del Fondo nazionale palestinese, quindi tesoriere di Arafat, e ora uno dei suoi più convinti critici (sequestrato due volte dagli uomini del rais e tenuto per più di un anno agli arresti domiciliari a Gaza con l’accusa pretestuosa di appropiazione indebita). L’unica via che potrebbe salvare l’Autorità nazionale palestinese, secondo al Ghussein, sarebbe un completo cambio di prospettiva: "E’ necessario trasformare l’approccio piscologico al problema. Israeliani e palestinesi devono coesistere e collaborare. Mantenere l’attuale ideologia non risolverà i problemi. E’ arrivato
il momento di collaborare. Forse la soluzione sarebbe una confederazione tra
Israele, Palestina e Giordania. La popolazione è pronta". Non la leadership. Dopo aver ammesso i propri errori, Arafat non ha risposto alla richiesta di alcuni parlamentari di firmare un documento per garantire la messa in opera delle riforme. Ritrae la mano dopo aver lanciato il sasso. "Il presidente palestinese è stato troppo a lungo al potere, ha perso l’iniziativa – continua al Ghussein – c’è bisogno di una nuova generazione, di nuove idee. L’alternativa c’è, visto che esiste un Consiglio legisaltivo all’interno del quale ci sono molti giovani puliti che possono guidare una riforma democratica.
L’origine dei problemi sono i soldi. Finché Arafat ne avrà, ci sarà corruzione. Le donazioni dovrebbero andare direttamente agli ospedali, alle scuole, non all’Autorità".
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