Carabinieri a Gaza? Intanto l'Europa, contro ogni evidenza, assolve Arafat
dalle accuse di corruzione e terrorismo
Testata: Il Foglio
Data: 12/08/2004
Pagina: 1
Autore: un giornalista - Sergio Rovasio
Titolo: Carabinieri a Gaza - Il radicale Rovasio castiga i burocrati dell'Onu su Arafat
Il Foglio di oggi, 12-08-04, a pagina 1 pubblica l'articolo "Carabinieri d'Egitto", sul possibile invio di una forza multinazionale a comando italiano a Gaza, dopo il ritiro israeliano. Prospettiva accolta con qualche dubbio dagli Stati Uniti.
Di seguito il pezzo:

Roma. Una forza multinazionale a comando
italiano per garantire la frontiera tra
Gaza e l’Egitto, dopo il ritiro unilaterale
israeliano: questa è la proposta su cui si lavora
alla Farnesina. Il governo israeliano e
egiziano l’hanno formulata proprio perché
dal 22 gennaio 2004 l’Italia – dopo una complessa
trattativa del ministero degli Esteri –
ha ricevuto il comando militare della Multinational
Force and Observer (Mfo), il corpo
di peace-keeping che ha il compito di vigilare
lungo tutta la frontiera sul Sinai l’applicazione
del trattato di pace tra Menachem
Begin e Anwar al Sadat del 1979. L’assegnazione
del comando al brigadiere generale
Roberto Martinelli ha già rappresentato una
prima prova che da parte egiziana e israeliana
c’è pieno apprezzamento per il nuovo
corso della politica estera italiana nella crisi
israelo-palestinese. Ora si apre una prospettiva
nuova, che assegnerebbe al nostro
paese una responsabilità militare centrale
in medio oriente. Dopo il ritiro unilaterale
da Gaza deciso dal premier israeliano, Ariel
Sharon, l’Italia si troverebbe a giocare un
ruolo di gestione politico-militare di una
frontiera più che calda (da cui passano armi
merci illegali attraverso una rete di tunnel
clandestini). E’ un compito cruciale e non
privo di rischi. Perché Gaza sarà gestita
esclusivamente dall’Autorità nazionale palestinese
e, non a caso, già ora si trova al
centro dello scontro politico che contrappone
Yasser Arafat a Mohammed Dahlan, ex
capo della Sicurezza nella Striscia, fortemente
appoggiato da Omar Suleiman, capo
dei servizi segreti egiziani. Proprio la delicatezza
e la complessità della missione hanno
suscitato alcune perplessità a Washington:
gli uomini della Mfo si troverebbero infatti
da soli a gestire i posti di frontiera, a
partire dalla caotica "Philadelphia Road",
stretti tra le forze di sicurezza israeliane – e
Hamas – e gli egiziani, una situazione che
potrebbe stimolare iniziative destabilizzanti.
La Mfo ha il comando politico a Roma, è
sganciata da istituzioni internazionali, ha in
forza civili e qualche centinaio di militari di
undici nazioni; l’Italia fornisce gli ufficiali
del quartier generale, circa 150 uomini, in
buona parte della marina e tre cacciamine
dislocati nella base "South Camp" a Sharm
el Sheikh, ha il comando della forza multinazionale,
con il compito di pattugliare lo
stretto di Tiran, che unisce il Golfo di Aqaba
al Mar Rosso, e di garantire la libertà di navigazione
nel Golfo tra Ras Mohammed e
Dahab (47 miglia circa).
A pagina 4, nella rubrica delle lettere,l'esponente radicale Sergio Rovasio denuncia l'ipocrisia dell'Olaf, l'ufficio antifrode dell'Ue, il cui rapporto preliminare sull'Anp nega, contro l'evidenza, la corruzione e i finanziamenti al terrorismo del regime di Arafat.
Ecco il testo (Il radicale Rovasio castiga i burocrati dell'Olaf su Arafat):

Al direttore - "Secondo il rapporto preliminare
preparato e diffuso il 10 agosto dall’Olaf,
l’ufficio antifrode dell’Ue, ‘i fondi comunitari destinati
all’Autorità nazionale palestinese non
sono mai finiti nelle mani sbagliate, tanto meno
in quelle delle organizzazioni terroristiche".
Questa notizia è a dir poco sconcertante. L’Olaf
non è credibile, le stesse iniziative in corso contro
la corruzione dei vertici dell’Anp sono divenute
ancora più feroci, da parte di esponenti autorevolissimi
palestinesi, in queste ultime settimane:
basti pensare all’ultimatum rivolto da
Mohammed Dahlan ad Arafat. L’Olaf si è già recata
a Gerusalemme due volte negli ultimi dieci
mesi ed è in procinto di tornarci per interrogare
alcuni detenuti palestinesi che hanno ammesso
alle autorità israeliane di aver ricevuto
soldi da conti sospetti. L’Olaf sa benissimo che
durante le audizioni del Gruppo di lavoro del
Parlamento europeo, voluto dai radicali nella
scorsa legislatura, è sorta una polemica su ciò
che è da considerarsi prova e cosa no. Tanto per
fare un esempio, durante queste audizioni l’intelligence
israeliana ha prodotto dei documenti
comprovanti dei versamenti destinati ad azioni
terroristiche. L’Olaf, da parte sua, ha dichiarato
di non considerare prove questi documenti perché
non vi era stato un processo che confermasse
questa tesi. Come dire: non considero prova
ciò che lo è per i servizi di uno Stato democratico
(figurarsi se poi è lo Stato di Israele). Ormai
è unanime il coro di coloro che riconoscono livelli
spaventosi di corruzione e di distrazione dei
fondi comunitari all’interno dell’Anp. Basti
pensare al business miliardario per il cemento
del muro: in un rapporto del parlamento palestinese
viene denunciato il coinvolgimento nell’affaire
di società ed esponenti dell’establishment
vicino ad Arafat, in particolare del suo super-
tesoriere Mohammed Rashid in una vicenda
a dir poco incredibile secondo la quale parecchi
di questi denari hanno arricchito palestinesi
già ricchi. In un sondaggio pubblicato il 22
giugno scorso, svolto dall’istituto di sondaggi
palestinese Jmcc, addirittura il 90,3 per cento
dei palestinesi ritiene che l’Anp sia corrotta. Per
non parlare delle conclusioni della commissione
di inchiesta del Consiglio legislativo palestinese
che proprio in questi giorni ha accusato
l’Anp di essere la causa principale dello stato di
anarchia nel quale si trovano i territori da lui
amministrati. Tutto per come viene gestita la
sicurezza e i fondi che l’Ue destina ai suoi apparati.
Il conto personale di Arafat, che solo nel
periodo 2002-2004 ha ricevuto, per il funzionamento
del suo ufficio, dal bilancio dell’Anp, la
bellezza di 219 milioni di dollari, è al di fuori di
ogni controllo. Lo stesso Fmi, incaricato di vigilare‚
(si fa per dire) sul bilancio dell’Anp, non
ha competenze sul conto personale di Arafat e,
nel settembre 2003, parlava anche di un "buco‚"
nel bilancio dell’Anp, di 900 milioni di dollari
per il periodo 1995-2000 quando il controllo
diretto del bilancio lo aveva Arafat e non
l’attuale ministro delle Finanze. Per l’Olaf i
"buchi" non sono "prove".
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