Il terrorismo torna a colpire la Turchia
e minaccia ancora l'Italia
Testata: Il Foglio
Data: 11/08/2004
Pagina: 3
Autore: un giornalista
Titolo: Ancora attentati in Turchia, con la firma peggiore di tutte.
Dal Foglio di oggi, 11-08-04, a pagina 3, un' analisi sugli attentati in Turchia rivendicate dalle Brigate al Masri, che hanno anche minacciato l'Italia.
Con una argomentata critica alla politica europea volta ad ottenere da Ankara l'espulsione dei militari, storicamente i garanti della laicità dello Stato, dai centri di controllo politico del paese.
Di seguito, il pezzo:

Roma. Le Brigate Abu Hafs al Masri hanno rivendicato le bombe che ieri hanno fatto due vittime e molti feriti in due alberghi di Istanbul e colpito un deposito di gas. La rivendicazione è più preoccupante dell’analoga assunzione di responsabilità giunta in serata da parte di un gruppo curdo, finora sconosciuto, legato al Pkk perché le Brigate appaiono ora essere l’ala più marciante di al Qaida. Anche il nome dell’organizzazione è indicativo: Abu Hafs al Masri è infatti Mohammed Atef, il braccio militare, "l’artificiere" di Osama
bin Laden, ucciso in Afghanistan nel novembre 2001 dai bombardamenti aerei americani. Le Brigate rivendicarono l’attentato che il 19 agosto 2003 devastò la sede dell’Onu di Baghdad, uccidendo l’inviato del Palazzo di Vetro, Sergio
Viera de Mello; poi si sono attribuite le responsabilità per gli attacchi del 15 novembre 2003 a due sinagoghe di Istanbul e per quelli dell’11 marzo 2004 a Madrid; da mesi infine inseriscono su Internet minacce sempre più dure e ultimative all’Italia, ripetute nella stessa rivendicazione di ieri:
Lo scossone che ha colpito Istanbul non è che il primo che ha colpito l’Europa; come abbiamo già detto segneremo l’Europa che segue lo sciocco Bush".
La notizia di questa specifica rivendicazione è pessima, anche perché dopo gli attentati di novembre, in Turchia, era seguito un periodo di calma che pareva prodotto dai successi degli investigatori e dai molti arresti effettuati a dicembre a Istanbul e in Anatolia. Gli attentati che si sono verificati nelle ultime settimane parevano così essere opera non di fanatici islamici – che sembravano se non debellati, almeno infiacchiti dalla repressione – ma del Pkk, il movimento curdo fondato da Abdullah Ocalàn, che il 1° giugno ha denunciato la tregua proclamata nel 1999. Sempre gravi fatti di sangue, naturalmente, ma di rilievo politico meno pesante di quelli provocati dai terroristi islamici: il 26 giugno a Istanbul, prima del vertice della Nato, due bombe su autobus fanno quattro morti; il 2 luglio, un attentato contro il governatore della città di Van, nel Kurdistan turco, fa cinque morti (il governatore rimane illeso); sempre a Van, l’8 agosto, un attentatore rimane ucciso nell’esplosione del suo stesso ordigno; il 9 agosto due sono i feriti di un’esplosione in una base militare in Anatolia. Sono iniziative di un movimento politicamente già sconfitto, lacerato dalle scissioni, senza sbocchi politici, contrastato duramente dalle stesse organizzazioni curde al governo in Iraq. Persino il fratello di Ocalàn, che ne aveva ereditato la leadership, ne ha preso atto e alla testa di una delle componenti scissioniste del Pkk si è consegnato alla protezione delle truppe americane in Iraq. Ieri, invece, si è compreso che la capacità di iniziativa terroristica dei gruppi più pericolosi legati ad al Qaida
è immutata e che la forza destabilizzante della loro attività sull’intero quadro politico turco è sempre viva. La Turchia sta vivendo un ritorno all’islamismo fondamentalista così diffuso che vi si verificano episodi agghiaccianti, come quello delle ragazzine lasciate affogare giorni fa vicino a Trebisonda perché non potevano liberarsi del pesante chadòr che le ha portate a picco. Il governo islamico moderato di Tayyp Erdogan sta dimostrando un notevole
equilibrio nel tentare d’incanalare questa straordinaria ripresa dell’islamismo in un paese che pure per 80 anni era stato sottoposto a una fortissima iniziativa laica, proprio mirata a estirparlo dalla vita politica. Ma non è detto che questa moderazione riesca a resistere di fronte all’ampiezza delle scosse destabilizzanti dell’islamismo, scosse non soltanto terroristiche, e appare quindi sempre più sconcertante l’incoscienza dell’Europa al riguardo. L’Unione sta infatti imponendo alla Turchia di espellere completamente i militari dai centri di controllo politico del paese (recentemente sono entrati due civili nel Consiglio per la sicurezza nazionale), senza rendersi minimamente conto che proprio e soltanto in questo controllo politico dei militari risiede il segreto di una vicenda che ha fatto della Turchia l’unico, assolutamente unico, paese musulmano del mondo a democrazia matura.
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