Sharon e il suo governo
nell'analisi di Emanuele Ottolenghi
Testata: Il Foglio
Data: 11/06/2004
Pagina: 6
Autore: Emanuele Ottolenghi
Titolo: La battaglia di Sharon (con o senza i laburisti) è dentro il Likud, che ora rischia la scissione
Sul governo Sharon e i suoi problemi ecco l'analisi di Emanuele Ottolenghi sul Foglio di oggi.
Ariel Sharon ha perso la maggioranza in
Parlamento: per poter garantire il successo
del voto di domenica scorsa sul suo
piano di disimpegno da Gaza il premier aveva
licenziato venerdì i due ministri dell’Unione
nazionale, Avigdor Lieberman e
Benny Elon. L’uscita dal governo dei sette
parlamentari dell’Un ha lasciato Sharon con
una coalizione di 61 parlamentari su 120, la
maggioranza minima. Dopo il voto di domenica,
due ministri del partito religioso nazionale
(Prn) si sono dimessi; il loro partito
è spaccato in due, con un ministro che rimane
in carica e la decisione di lasciare la coalizione
ancora in sospeso. Sharon ha guadagnato
insperato appoggio dalla defezione di
due parlamentari: David Tal, ex Shas e ora
fuoriuscito dal partito sindacalista di Amir
Peretz che si è fuso con i laburisti, e Michael
Nudelman, dell’Un. Il governo conta sull’appoggio
di 40 membri del Likud, 15 dello Shinui,
due dei sei membri del Prn e due franchi
tiratori. Ma sui 40 parlamentari del
Likud Sharon non può contare automaticamente,
né per i futuri voti sul suo piano
disimpegno, né per la sopravvivenza del governo,
visto che molti di loro sono scontenti
della svolta gaullista del premier.
Di formare una coalizione nuova che includa
i laburisti – una nuova versione del governo
di unità nazionale naufragato nell’ottobre
2002 – per ora non se ne parla: Sharon
attende la decisione della procura generale
sul suo caso. Menachem Mazuz deciderà forse
la settimana prossima e anche se le indiscrezioni
indicano un’archiviazione del caso,
i laburisti non hanno fretta e nemmeno
Sharon, che può sopravvivere politicamente
fino all’autunno, quando l’annuale maratona
sul bilancio renderà la vita di un governo
di minoranza più difficile. La legge fondamentale
israeliana non esclude la possibilità
di governi di minoranza – essendo necessario
un voto di sfiducia costruttiva per
costringere un governo alle dimissioni – e i
laburisti difficilmente si unirebbero alla destra
in un governo alternativo, ma a Sharon
non basta: ha bisogno di una maggioranza
per proseguire le politiche di risanamento
economico e di disimpegno dai territori.
La possibilità che i laburisti si uniscano
al governo in autunno rimane: il pubblico
sostiene l’opzione unità nazionale e dopo il
voto del governo di domenica e l’uscita dei
partiti di destra dalla coalizione, alcuni
esponenti laburisti, tra cui Haim Ramon e
Amram Mitzna, hanno espresso una
disponibilità
di massima all’idea. Se però la coalizione
si sposta a sinistra Sharon rischia di
perdere parte del suo partito, una possibilità
che esiste indipendentemente dall’entrata
dei laburisti al governo, legata alla virata
ideologica di Sharon, materializzatasi
nel piano di disimpegno.
A giudicare dalle intenzioni del premier,
l’ala destra del Likud ha buoni motivi per temere
il peggio: non solo Sharon lascia Gaza,
ma il suo vice, Ehud Olmert – che l’anno
scorso aveva anticipato l’idea del ritiro da
Gaza – paventa la possibilità di un ritiro
israeliano da parte di Gerusalemme, lasciando
sei quartieri arabi ai palestinesi. A
pochi è sfuggito il precedente di Gaza. La
scissione dunque non è da escludersi, anche
se resta da vedere quanto significativa potrebbe
essere: dopo la firma di Camp David
nel 1979 ci furono alcune divisioni, ma il partito
rimase saldo al potere e in termini numerici
la fuoriuscita di coloro che si erano
opposti all’abbandono del Sinai e all’evacuazione
degli insediamenti era stata di poco
conto. Tuttavia, visti i numeri su cui Sharon
conta, anche pochi parlamentari potrebbero
fare la differenza e costringere il
premier a nuove elezioni.
Se tale possibilità si avverasse, la battaglia
sarà dentro il Likud, tra chi sostiene il
premier e la sua svolta centrista e chi spera
di riportare il partito alle sue origini ideologiche.
Se vincono i primi, Sharon ne uscirà
rafforzato in caso di elezioni; se vincono gli
altri, il premier potrebbe puntare a formare
un nuovo partito centrista, formato dai moderati
del suo schieramento, Shinui e forse
la parte più centrista dei laburisti. Rimane
l’ostacolo economico. Benjamin Netanyahu
ha dichiarato la sua ostilità all’entrata dei
laburisti nel governo, vista la loro recente
fusione con il partito sindacalista di Peretz
e la loro opposizione alle sue efficaci politiche
neo-liberiste di risanamento. Anche se
Netanyahu ha forse a cuore la poltrona di
ministro e teme lo sbilanciamento a sinistra
che l’entrata dei laburisti al governo porterebbe,
l’economia rimane lo scoglio più
grosso per l’unità nazionale dopo l’inchiesta
giudiziaria a carico di Sharon. Il che non
grave, anzi: dopo quasi quarant’anni, la divisione
tra sinistra e destra in Israele si sta
avviando a definirsi su politiche socio-economiche,
non sui Territori e il loro destino.
E anche questo segno di salute della democrazia
israeliana lo si deve a Sharon.
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