Per capire le situazioni di guerra
in un'analisi americana
Testata:
Data: 10/06/2004
Pagina: 1
Autore: Federico Steinhaus
Titolo: Per capire le situazioni di guerra
Riproduciamo integralmente (con gli errori di battitura dell'originale) un'intervista che non rientra direttamente nel nostro campo di interessi. Lo facciamo in quanto questa intervista tratta di un tema del quale ci siamo spesso dovuti occupare, e cioè di come sia difficile gestire una situazione in cui un problema reale - nella fattispecie, le torture inflitte ad alcuni prigionieri iracheni da alcuni militari americani - si trasforma in qualcosa che non è (una questione etica che colpisce una intera nazione) a causa della strumentale enfasi imposta dai media per fini che poco hanno a che fare con il fatto reale (l' opposizione a priori alla guerra condotta dagli Stati Uniti contro l' Iraq).

Crediamo che ogni nostro lettore sia in grado di fare un immediato parallelo con i fatti di Jenin e la demonizzazione di Israele che ne fu la conseguenza immediata e diretta.

Un collegamento ulteriore delle considerazioni espresse nell' intervista ci porta a valutare l' influenza che la gestione iniziale dell' informazione - collegamento diretto con i rappresentanti dei media, pressioni dirette ed indirette sugli stessi, controllo accurato delle cosiddette fonti - e successivamente la diffusione di informazioni recepite e riutilizzate acriticamente dai media possa esercitare.

La conseguenza di tutto ciò è una deformazione dell' informazione lungo tutto il suo percorso, l' abuso che se ne può fare, ed infine, ovviamente, la manipolazione dei lettori (cioè dell' opinione pubblica) che costituisce il fine ultimo di questo percorso.Il tono dell' intervista lascia trasparire che contro tutto ciò non vi è alcuna possibilità di opposizione. Neppure la verità, per quanto documentata essa possa essere, serve a modificare la percezione derivante da quanto è stato detto o scritto prima.

Maria Carl, colonnello della USAir Force è figlia d’arte: i suoi genitori erano piloti e nella sua farm c’era una pista in terra che permetteva al loro piccolo Cesna di operare in contatto con i ‘vicini’ (si fa per dire) delle altre fattorie. Maria Carl è responsabile dei ‘public affairs’ del Generale Dick Myers, chairman of the Joint Chiefs of Staff (corrispondente al nostro Capo di Stato Maggiore). È stata capo delle relazioni pubbliche ad Aviano e Napoli per la 16th Air Force durante le operazioni nei Balcani. Nel 1993 in Turchia a organizzare la missione umanitaria per I Kurdi. Laureata in International Relations al Rhodes College in Memphis Tennesse, ha preso un Master in Communications all’Università di Oklahoma. Ha lavorato per un anno alla famosa trasmissione di Ted Koppell "Nightline" della ABC. E, ovviamente, è laureata allo Air War College’s Air Command e alla Staff College and Squadron Officer’s School.

Maria Carl è nell’occhio del ciclone. Su lei ed i suoi colleghi si stanno abbattendo le bordate a palle incatenate sparate dai media di tutto il mondo. Ma, anzichè chiudersi in uno sdegnato ‘no comment’, il Colonnello Carl, forte della sua etica professionale, si è resa disponibile per una conversazione. E ci ha esposto il suo punto di vista, che può non coincidere con quello del lettore. Ma, lasciatemelo dire: tanto di cappello a chi riesce a parlare con tanta umiltà e franchezza in un momento di crisi epocale come questo per gli Stati Uniti.



"Chi segue le conferenze stampa avrà visto che tutte le domande politiche vengono rivolte al ministro della difesa Rumsfeld, mentre quelle riguardanti le operazioni militari al Capo di Stato Maggiore, che, comunque assiste sempre il Ministro. Il nostro lavoro non è ‘sexy’, ma noi cerchiamo di fornire dati effettivi su quanto sta avvenendo in Iraq. Noi abbiamo cominciato ad organizzare l’occupazione nell’ottobre 2002. Abbiamo fatto un intenso lavoro di stretto coordinamento tra le tre Armi. Lo scenario di una Guerra Globale contro il Terrorismo ha preso in considerazione che Al Qaeda, Talebani ed il regime iracheno erano e sono altamente specializzati nella disinformazione. Ma, mentre loro possono raccontare tutte le panzane che vogliono, noi siamo legati ad un dovere di obiettività nei confronti del popolo Americano. La guerra delle informazioni è istantanea e presuppone che si risponda immediatamente. Altrimenti si sedimenta nell’opinione pubblica la convinzione che il primo che parla abbia sempre ragione."



Rimaniamo all’attualità: vorrà ammettere che la situazione che si è creata con la pubblicazione delle foto degli abusi ai prigionieri iracheni è paradossale in termini di comunicazione.



"Le notizie sugli abusi ai prigionieri ci hanno preso di sorpresa dato che il rapporto del generale Taguba ha trovato la strada dei media prima che i vertici di Washington ne fossero informati. La storia continua ad essere cucinata alla grande date le implicazioni politiche dello scandalo in un anno di elezioni e a seguito dell’impatto e delle conseguenze strategiche che questa storia ha avuto sull’opinione pubblica araba e quella internazionale in tutto il mondo. Le posso dire che dal punto di vista della comunicazione ci sono stati e continueranno ad esserci sforzi ad ogni livello per fornire al pubblico, al Congresso ed ai media dati, informazioni, immagini. A livello tattico il nuovo comandante del carcere Abu Ghraib ha organizzato una visita della prigione per i giornalisti per prendere atto delle condizioni in cui vivono i carcerati. Ogni giorno si terranno conferenze stampa del Generale di Brigata Kimmitt in Baghdad per fornire continue informazioni sull’andamento delle specifiche inchieste e sulle corti marziali nelle quali saranno giudicati gli imputati."



Ma le accuse vengono rivolte ai vertici della catena militare e politica....



"A livello strategico il Ministro Rumsfeld e il Capo di Stato Maggiore Myers hanno testimoniato in udienze pubbliche di fronte ai Comitati del Senato e della Camera seguite da tutti i media. Il Presidente è venuto al Pentagono per una serie di incontri seguiti da una conferenza stampa. Tutti hanno espresso un sincero, profondo sgomento per quanto accaduto e le scuse ai prigionieri ed al popolo iracheno."



Le accuse che sono state rivolte ai maldestri tentativi di cover up sono feroci.



"Proprio perchè vi è questa percezione che le informazioni sono state tenute nascoste al pubblico, è estremamente importante che il nostro impegno come comunicatori sia continuo e, sottolineo, trasparente. Stiamo valutando un ventaglio di opzioni per assicurare che tutti i diversi pubblici siano tempestivamente informati e consentire che i membri del Congresso, i media e l’opinione pubblica siano messi al corrente dell’andamento delle indagini. È nostra intenzione di consentire ai media l’accesso ai processi per offrire alla gente la possibilità di vedere come funziona un sistema giudiziario di una nazione democratica."



Lei si trova a dovere gestire professionalmente una situazione di crisi, meglio definita ‘un disastro’ dagli stessi membri del Congresso. La pubblicazione di quelle foto è stata una mazzata micidiale sul piano dell’immagine non solo delle forze armate ma di tutto il Paese.



"Quelle foto sono un terribile esempio di comportamento inqualificabile da parte di alcuni individui. Ed è giusto che questi siano trattati in maniera appropriata. Ma l’impatto negativo di queste foto si estende, come lei ha detto, al di là delle mura del carcere di Abu Ghraib. È stato sporcato tutto ciò che di buono le truppe della coalizione hanno fatto fino ad ora in Iraq. Hanno messo in discussione l’efficacia della nostra leadership ed hanno insinuato sospetto e sfiducia nei confronti degli Stati Uniti a livello internazionale. Per quanto ci riguarda il nostro compito e il nostro impegno è quello di continuare a mostrare e sottolineare quanto il 99 per cento delle truppe della coalizione ha fatto e sta facendo in Iraq e come il nostro sistema giudiziario gestirà quell’uno per cento che ha avuto comportamenti così inconcepibili. Ed è di grande importanza far conoscere all’opinione pubblica quali sono le decisioni prese per il cambiamento della nostra politica carceraria a seguito di episodi così clamorosi e inaccettabili."



Lei passa le sue giornate e le sue notti al Pentagono in questi giorni di crisi. Può darmi un suo parere su questa esperienza professionale?



"Guardi, per noi è stato molto duro dovere gestire l’immagine delle nostre forze armate, dato che non siamo stati in grado di avere informazioni per tempo che ci consentissero di mettere al corrente la leadership al massimo livello sulla gravità di questo problema. Le cattive notizie non migliorano certo quando invecchiano ed i consulenti di comunicazione dovrebbero essere informati ed inseriti nel processo quanto prima in modo da consentire loro di diffondere informazioni adeguate nel più breve tempo possibile. E questo non è stato."



Ma sino ad ora come avete gestito le informazioni sull’andamento delle operazioni in Iraq?



" Per quanto riguarda la guerra il nostro compito non era certo quello di manipolare le informazioni ma di offrire al pubblico americano e internazionale un quadro veritiero della situazione. Parliamo dello ‘Embedded Program". Dal nostro punto di vista lo consideriamo un sucesso, anche se non privo di controindicazioni. Lei mi chiede se questo programma sarà utilizzato nei prossimi conflitti: la mia risposta è positiva. Si tratta di un’idea non completamente originale che fu adottata sia pure in misura limitata, a cominciare dal Vietnam. Abbiamo più di 500 giornalisti di altrettante testate coordinati da questo programma, compresi i rappresentanti delle TV arabe. Abbiamo creato un ‘media boot training’, perchè il giornalista deve essere in grado fisicamente di affrontare i disagi di una prolungata permanenza nell’angusto spazio di un carroarmato o di un blindato, riconoscere i gradi delle varie armi, superare le difficoltà di una forzata coabitazione con i soldati. E poi tutti gli aspetti legali legati alla possibilità di incidenti o morte. Ed infine la verifica delle credenziali per confermare che si tratta veramente di giornalisti e non di agenti dell’intelligence dei vari paesi. La guerra si combatte ormai a un livello cinetico e non cinetico. Il primo è costituito dalle azioni armate. Il secondo dall’informazione. "The first story is the story...he who speaks first sets the tone and direction for the entire debate. " La chiave della Guerra di informazioni è per noi la ‘verità’ anche se non sempre è possible dire tutta la verità per ragioni di sicurezza. Come sosteneva Sofocle "La verità è sempre il più importante elemento di discussione.

Oscar Bartoli

(da Prima Comunicazione)