Prosegue il piano Sharon
Entra in scena l'Egitto
Testata: Il Foglio
Data: 07/06/2004
Pagina: 3
Autore: un giornalista
Titolo: Sharon cerca alleati in patria e ne trova uno decisivo al Cairo
A proposito degli ultimi sviluppi politici e diplomatici sul piano di ritiro da gaza e sul governo Sharon pubblichiamo un articolo tratto dal Foglio di oggi.


Gerusalemme. In Israele il giorno dopo non regna la quiete. Domenica, il primo ministro Ariel Sharon ha ottenuto dal governo una prima luce verde al piano di sgombero graduale da Gaza e da parte della Cisgiordania. Ogni passo dovrà ricevere un’ulteriore approvazione dall’esecutivo, ma fin d’ora si tratta di "una decisione storica, che abbiamo il dovere di appoggiare", dice Haim Ramon, deputato laburista, attualmente all’opposizione. "Sharon si trova, comunque, in una situazione molto fragile", spiega al Foglio Giora Rosen, commentatore televisivo israeliano. Il ministro delle Finanze, Benjamin Netanyahu, guida i riottosi ministri del Likud, il partito del premier. Per ora hanno votato a favore, ma sarebbero pronti a far saltare il tavolo.
Netanyahu potrebbe contare su almeno 15 deputati e aspetterebbe gli effetti delle riforme economiche, e la conseguente popolarità, prima di tentare il colpo. Eppure, dagli studi condotti dal professor Camil Fuchs, dell’Università
di Tel Aviv, il ritiro proposto da Sharon raccoglierebbe la maggioranza non soltanto tra tutti gli israeliani, ma anche tra gli stessi elettori del Likud.
"Anche per questo Bibi seguirà Sharon – dice al Foglio il deputato del Likud Michael Eitan – ma la situazione è drammatica". "Siamo in uno stato di shock – ci spiega Shaul Yahalom, deputato del Mafdal, il Partito nazional religioso
oltre 7.500 persone perderebbero la casa. Prima delle elezioni, Sharon aveva annunciato che per la pace era disposto a ‘rinunce dolorose’. Ero d’accordo con lui. Invece non stiamo ottenendo alcuna pace e, fatto senza precedenti, caccia due ministri". Il Mafdal ora è spaccato, e forse uscirà dalla maggioranza. Netanyahu ha cercato di ricucire, ma i leader religiosi scioglieranno i dubbi soltanto dopo la riunione della segreteria nazionale di mercoledì. Il ministro Effi Eitam seguirà in ogni caso l’opinione dei rabbini vicini al partito e intanto spinge per uscire. Per Yahalom "dobbiamo restare nel governo e cercare dall’interno di fermare il ritiro". Resta il dubbio su quanto la maggioranza potrà reggere di fronte alle prime immagini di eventuali scontri tra i soldati e gli attuali abitanti degli insediamenti. "La perdita del Mafdal (così come la fine del processo per corruzione a Sharon) faciliterebbe l’ingresso dei laburisti nella maggioranza – spiega Roman Bronfman, deputato del Merez, partito dell’opposizione pacifista – e anche noi dall’esterno non ci opporremo al ritiro dai territori. Vogliamo dare una chance a Sharon". Il primo ministro israeliano potrebbe allora seguire le orme di Menachem Begin, il premier di destra che fece la pace con l’Egitto, in cambio del Sinai, con una maggioranza
parlamentare alternativa a quella del governo. Fu proprio l’allora ministro della Difesa, Ariel Sharon, a far sgomberare gli insediamenti in Sinai. Ieri il ministro degli Esteri, Silvan Shalom, uno degli ultimi nell’esecutivo ad accettare la linea di compromesso sul ritiro, è volato al Cairo per incontrare il presidente Hosni Mubarak. Israele ha ottenuto un impegno dell’Egitto per garantire la sicurezza a Gaza. Dalla Striscia gli israeliani se ne vanno e arrivano gli egiziani? Mubarak invierà più truppe ai confini e all’Autorità
nazionale palestinese ha chiesto chiare riforme. Yasser Arafat, presidente dell’Anp, ha avuto subito una prima reazione positiva, senza entrare tuttavia nel merito delle richieste e nei dettagli delle risposte. Nelle stesse ore, l’emittente tedesca ARD ha annunciato di avere prove evidenti su dirette responsabilità di Arafat nel terrorismo e sull’ulitizzo anche di fondi europei per finalità tutt’altro che pacifiche. Per le proprie responsabilità in attentati, Marwan Barghouti è stato condannato da un tribunale israeliano a cinque ergastoli. Ieri le Brigate dei Martiri di al Aqsa, vicine ad Arafat, hanno risposto invitando i propri "combattenti" a "rapire sionisti, bambini, donne e soldati e a condannarli a morte". "Tutti sappiamo che Barghouti sarà il primo a uscire di prigione con la riapertura del dialogo", dice Rosen, e questo suo periodo in carcere "rafforzerà la sua immagine" tra i palestinesi.
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