I drusi come li vede Stabile
ma la realtà è ben diversa
Testata: La Repubblica
Data: 03/06/2004
Pagina: 22
Autore: Alberto Stabile
Titolo: I guerrieri drusi contro Israele: "Non combattiamo altri arabi"
Il solito vizio di generalizzare, e di mistificare nel titolo il contenuto
dell' articolo, non abbandonano questo quotidiano.
L' articolo di Stabile traccia sostanzialmente un quadro nel quale alcuni
spunti di contestazione, sollevati da frange della minoranza drusa
israeliana, sono inseriti nella descrizione della condizione in cui i drusi
vivono nell' area del Medio Oriente, e del loro atteggiamento nei confronti
degli stati di cui sono cittadini.
Mancano, nell' articolo di Stabile, alcune precisazioni che consentirebbero
al lettore di meglio definire queste
informazioni.
Ad esempio, Stabile evita di sottolineare che solo in Israele la minoranza
drusa gode della piena parità dei diritti, mentre negli stati arabi fra i
quali è frammentata, pur essendo araba in quanto ad etnia, essa viene di
fatto emarginata.
Stabile evidenzia, come se si trattasse di una misura coercitiva e
vessatoria, il fatto che alcuni (poche decine) di drusi che rifiutano di
servire nell' esercito di Israele vengono incarcerati, non diversamente da
quanto accade agli israeliani non-drusi; ma il quadro è quello di uno stato
in guerra, o quanto meno la cui esistenza stessa è messa in pericolo ,
minacciato da un terrorismo senza quartiere.Ed il carcere per gli obiettori
era prassi anche nella civilissima pacifica e pacifista Italia fino a pochi
anni fa - lo ricorda, Stabile?
Detto tutto ciò del contenuto dell' articolo, si evidenzia ancora più
concretamente quanto sia mistificatorio un titolo che tenta di far credere
al lettore frettoloso che tutti i drusi israeliani (70.000) siano "contro
Israele", il che costituisce una palese menzogna.

Ecco l'articolo:

GERUSALEMME - Sono famosi per i pantaloni dal cavallo sovrabbondante, detti sciarwal, e per la lealtà che dimostrano verso i paesi in cui vivono. Di recente, però, qualcosa è venuto a insidiare il rapporto tradizionalmente solido tra lo stato ebraico e la piccola comunità dei drusi e questo qualcosa è l´obiezione di coscienza: un fenomeno non nuovo, che, però, è esploso in modo vigoroso nei ranghi dell´esercito israeliano fra le pieghe di questa seconda intifada.
I drusi sono una popolazione araba che pratica una religione misterica affiliata all´Islam e vive sparsa fra i monti del Libano (Jabel el Druz), la Siria (l´altopiano del Golan, conquistato in parte da Israele durante la guerra dei Sei giorni) e il massiccio del Carmelo. Fra quelli del Golan e quelli del Carmelo, i drusi israeliano contano poco più di 70 mila persone suddivise in 17 villaggi.
In quanto minoranza priva di un territorio definito i drusi hanno sempre servito negli eserciti dei paesi di cui di volta in volta sono stati sudditi. Più che a coltivare mire nazionalistiche infondate hanno badato a rispettare il contratto sociale che ne preserva l´identità, gli usi, i costumi, la fede.
Essendo stati percepiti come un popolo separato, con la nascita dello Stato ebraico i drusi non sono stati inclusi nella legislazione particolare riservata agli arabi-israeliani, in base alla quale, gli stessi arabi-israeliani furono esonerati dal servizio di leva e, di fatto, relegati nella categoria dei cittadini di Serie B.
Per i drusi, eccellenti soldati, fare il servizio militare nell´esercito israeliano è sempre stato considerato un onore e un modo per raggiungere una maggiore integrazione. E hanno ripagato lo stato con lealtà, anche se spesso vengono utilizzati in ruoli e missioni destinati a entrare in conflitto con le loro radici arabe: al confine con il Libano, ad esempio, nella guerra contro gli hezbollah o sulla spianata delle Moschee, a Gerusalemme, durante i turbolenti venerdì di preghiera.
Le cose, tuttavia, negli ultimi tempi sembrano cambiate. Sia perché i drusi soffrono delle difficoltà economiche e della trascuratezza di cui soffre il resto della minoranza araba. Sia perché dopo anni di intifada, prima e seconda, anche fra i drusi va manifestandosi una sorta di identificazione con la causa araba e palestinese.
L´esercito non ama parlarne, ma, come tra i riservisti israeliani delle varie armi, incluse le unità di èlite e l´aviazione, anche tra i drusi sono sorti movimenti di obiettori di coscienza, giovani che non temono di manifestare un´ideologia non violenta e sono pronti a sfidare il carcere.
Secondo i dati forniti dal Comitato d´iniziativa druso-araba, una delle organizzazioni del rifiuto sorte di recente, il fenomeno dell´obiezione ha raggiunto già il 40 per cento delle reclute e dei militari drusi in servizio.
La stessa fonte afferma che nelle carceri militari, qualunque periodo dell´anno si prenda in considerazione, si trovano stabilmente 30 obiettori drusi, mentre altri 30 sono considerati disertori, fuggiti dall´esercito per motivi di coscienza o per ragioni economiche (ad esempio, per aiutare la famiglia durante la raccolta delle olive).
L´esercito smentisce questi dati (diffusi dal sito Y-net, del giornale Yedioth Aaronoth) sostenendo che la motivazione dei giovani drusi a servire in unità combattenti è ancora molto forte, ma non entra nel merito delle cifre. Se è vero, invece, quel che denuncia il movimento Drusi liberi, nel solo villaggio di Bakia, Galilea del Nord, negli ultimi mesi si sono verificate 70 obiezioni di coscienza.
Sakker Nafa. 19 anni, del villaggio di Beit Jan, spiega così le ragioni del suo no: «Ho fato obiezione per motivi nazionali. Io sono un arabo palestinese e non sono disposto a prendere parte al regime di terrore che l´esercito impone ai palestinesi. Inoltre ho parenti in Siria e in Libano e io sono parte integrante di questa famiglia». Sakker è convinto che ci sia differenza tra gli obiettori drusi e quelli ebrei: «Noi ci rifiutiamo di servire perché siamo palestinesi e non vogliamo combattere contro il nostro popolo. Gli obiettori ebrei non vogliono essere parte di un esercito oppressore. La loro obiezione di coscienza, però, ci aiuta».
(a.s.)

Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla direzione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.
rubrica.lettere@repubblica.it