L'atomica iraniana, gli amici iracheni di Al Qaida e quelli siriani di Zapatero
cronache da tre paesi mediorientali
Testata: Il Foglio
Data: 03/06/2004
Pagina: 1
Autore: la redazione- Christian Rocca
Titolo: Dal Medio Oriente
Sul Foglio di oggi vengono pubblicati tre articoli a proposito di tre paesi mediorientali. Il primo è un editoriale di prima pagina che parla della minaccia nucleare iraniana. Nel secondo troviamo un'analisi di Christian Rocca sui rapporti tra Saddam e Bin Laden, dove si evidenzia come, all'indomani della guerra del Golfo, Saddam diede una sterzata islamica al suo regime e come il nemico comune americano fece da connessione tra due concezioni apparentemente diverse del mondo arabo. Infine, un articolo sulla Siria, la quale tenta, tramite Zapatero, di porre i presupposti per il suo ingresso nell'area dell'Unione Europea. Incominciamo con l'articolo sull'Iran: "A Teheran l’atomica è vicina, all’Onu la condanna è lontana", in prima pagina:
Vienna. Il programma nucleare iraniano non si ferma. Secondo le rivelazioni contenute nell’ultimo rapporto dell’Agenzia atomica internazionale, trapelate sul New York Times, Teheran non solo non ha interrotto la costruzione di centrifughe compatibili con la produzione di uranio arricchito, rimangiandosi
le rassicurazioni dello scorso aprile, ma ha anche ammesso di aver importato
altre componenti necessarie al potenziamento dell’infrastruttura nucleare.
Hassan Rowhani, segretario del Consiglio per la Sicurezza nazionale iraniano, minimizza: "Le questioni pendenti con l’Aiea sono dettagli, verranno presto chiarite", ma le indiscrezioni emerse alla vigilia di una riunione dell’agenzia, il 14 giugno, hanno sollevato nuovi forti dubbi sull’affidabilità di Teheran. Per Washington la sequela di inesattezze, inganni e contraddizioni con cui l’Iran si è difeso in questi mesi puntano in un’unica direzione. "Non solo non c’è stata alcuna sospensione (dell’arricchimento di uranio, ndr) –
ha detto il sottosegretario di Stato John Bolton – ma siamo convinti che l’Iran continui a perseguire un programma clandestino per acquisire armi nucleari". Per Washington ci sono elementi sufficienti per condannare Teheran: deve essere chiamata a rispondere delle sue pericolose ambizioni nucleari davanti al Consiglio di sicurezza, sostengono le autorità americane, spalleggiate dall’ispettore David Albright. Ma il braccio di ferro sulla risoluzione, che
potrebbe mettere all’angolo l’Iran, favorisce ancora gli ayatollah. Se il rapporto dell’Aiea non conferma le intenzioni pacifiche del programma iraniano, le ispezioni per ora non sono servite neanche a provare il contrario.
Per il capo dell’agenzia, Mohammed ElBaradei, è prematuro formulare giudizi.
Pur rilevando che Teheran ha assunto un atteggiamento più collaborativo sulle ispezioni, in numerose altre occasioni le autorità iraniane hanno ritardato o boicottato il lavoro degli scienziati. ElBaradei non ha nascosto l’esistenza di pesanti incongruenze, ma l’anello fondamentale della catena manca. "Non ci sono prove concrete che il programma nucleare iraniano abbia obiettivi militari", ha sottolineato. Gli schieramenti politici interni "Il problema – spiegano al Foglio fonti dell’Aiea a Vienna – e che le informazioni in nostro possesso sono suscettibili di interpretazioni diverse, possono essere strumentalizzate per sostenere l’una o l’altra tesi, cosa che accade puntualmente con l’approssimarsi di ogni scadenza". La fuga di notizie è sintomo di queste tensioni. "Ognuno porta avanti il suo progetto: c’è chi radicalizza le intuizioni, gli Stati Uniti, e chi getta acqua sul fuoco, Francia, Germania e Gran Bretagna", spiegano all’Aiea. Le incognite del nucleare iraniano, dunque, resteranno nell’agenda dell’Aiea per i mesi a venire. Il 14 giugno né l’Iran
né gli Stati Uniti otterranno quello che vanno cercando. Teheran dovrà rassegnarsi a non archiviare la questione, Washington non riuscirà a imporre il caso al Consiglio di sicurezza. Lo escludono, secondo fonti dell’Aiea, sia il linguaggio del rapporto sia la realtà degli schieramenti delineatisi nell’agenzia. Le decisioni importanti – risoluzioni e sanzioni – saranno rimandate a settembre e poi ancora fino alle elezioni americane, dicono a Vienna. Gli Stati Uniti non sono nella posizione di presentare il caso con forza e la Repubblica islamica approfitta di questa debolezza, giocando tra le pieghe del trattato. Reinterpreta le regole, minaccia di stracciare gli accordi e poi mostra il suo volto conciliante, facendo entrare gli ispettori. Li conduce
dove vuole e poi dichiara, come ha fatto in questi giorni Rowhani, che "se gli ispettori sono perplessi è perché non hanno cercato abbastanza", anche se il presidente Khatami ammette che non tutte le richieste degli ispettori sono state soddisfatte per "ragioni di sicurezza nazionale". L’accesso alle installazioni militari è il nodo irrisolto dell’ultima bufera. Teheran ferma
gli inviati di ElBaradei e, secondo fonti dell’agenzia, proprio nelle installazioni militari copre da occhi indiscreti quel che è più opportuno nascondere. Per motivi di opportunità, anche l’Aiea non premere sull’acceleratore:gli ispettori sottolineano che varcare i confini militari è una conditio sine qua non, ma molti esponenti del consiglio a 35 dell’agenzia dicono che si tratterebbe di un pericoloso precedente per tutti. Nel frattempo,
secondo analisti citati dal sito "Hi Pakistan", l’Iran ha già ammassato il 60-70
per cento della tecnologia necessaria a dotarsi della bomba. Valutazioni che esperti dell’Aiea ritengono plausibili: "Hanno le menti e hanno avuto la cooperazione che serviva dall’estero, ieri il Pakistan, oggi con difficoltà Islamabad, la Corea del Nord e i laboratori segreti della Malaysia".
Ecco il pezzo di Christian Rocca: "Al Qaida ha fatto un patto con l'Iraq", dice l'America (di Clinton). Nuovo libro con prove, a pagina 1 dell'inserto
Siamo sicuri che Saddam non avesse alcun legame con al Qaida? No, non siamo
sicuri, specie ora che è uscito un documentatissimo, e non smentito, libro di Stephen F. Hayes che si intitola "The Connection" (HarperCollins, 224 pagine, 19,95 dollari). Occorre fare un passo indietro e affrontare la prima e più comune obiezione all’ipotesi di legami tra Saddam e Osama. Si dice, infatti,
che il regime iracheno fosse laico, mentre al Qaida è un’organizzazione religiosa. Acerrimi nemici, in teoria. Si omette, però, di ricordare la sterzata islamica che Saddam diede al suo regime dopo la prima guerra del Golfo del 1991, sterzata culminata anche emblematicamente con la decisione di aggiungere la scritta "Allah Akbar", "Dio è grande", al centro della bandiera nazionale. Saddam mutò radicalmente la natura del regime iracheno, riconoscendo che l’ideologia panaraba elaborata dal dittatore egiziano Gamal Nasser e alla base del partito Baath, si era esaurita con la sconfitta del Golfo, complice lo schieramento di quasi tutti i leader arabi al fianco del Kuwait invaso da Saddam e difeso dagli americani. Saddam operò, insieme con il leader estremista
sudanese, Hassan al Turabi, già cortese ospite di Osama, e con le più fondamentaliste tra le organizzazioni politiche del mondo arabo, da Hamas a Hezbollah, una frattura dentro il mondo islamico: da una parte i cosiddetti regimi arabi moderati che avevano chiesto l’aiuto occidentale per difendere
il Kuwait, dall’altra i gruppi fondamentalisti indignati dalla presenza di truppe occidentali sui suoli sacri dell’Islam. Una tesi spiegata nei libri dal più grande esperto europeo di cose islamiche, nonché editorialista di Repubblica, Gilles Kepel. E’ su questa base che Osama invita al jihad non
soltanto contro gli infedeli americani che occupano i luoghi sacri, ma anche contro i regimi arabo-islamici colpevoli di apostasia, un crimine che per i fondamentalisti è ben più grave dell’essere infedeli. La più famosa delle fatwa di Osama, quella del 23 febbraio 1998, parla di "continua aggressione contro il popolo iracheno" e di alleanza tra crociati e sionisti che ha inflitto una grande devastazione al popolo iracheno, uccidendone una grande quantità, più di un milione". Per questo, disse bin Laden, è un "dovere islamico" colpire "il Satana americano e i suoi alleati, cosicché imparino la lezione". Osama difese Saddam, il quale, fiutata l’aria, si mise alle spalle il tradizionale nazionalismo panarabo e si candidò al ruolo di difensore dell’Islam. La sua
retorica iniziò a traboccare di riferimenti all’Islam, al Califfato di Baghdad.
Saddam, del resto, difese Osama. E fu uno dei pochi, forse l’unico, capo di Stato arabo che salutò con gioia l’attacco all’America. I giornali controllati da Saddam applaudivano Osama come "un fenomeno salutare per lo spirito arabo" oppure "un eroe arabo e islamico", mentre il 21 luglio 2001, un mese mezzo prima dell’11 settembre, Osama veniva raccontato con queste parole: "Nel cuore
di quest’uomo troverai un’insistenza, una particolare determinazione che un giorno lo porterà a bombardare la Casa Bianca e qualsiasi cosa ci sia dentro". Nel 1998 il Dipartimento della Giustizia dell’Amministrazione Clinton mise sotto inchiesta bin Laden anche con queste parole: "Al Qaida ha raggiunto un accordo con l’Iraq per non lavorare contro quel governo, mentre su progetti
particolari, che specificatamente includono lo sviluppo di armi, al Qaida lavorerà in modo cooperativo con il governo dell’Iraq". Saddam e Osama, insomma, condividevano lo stesso, identico, progetto politico: conquistare
il mondo arabo musulmano, colpire gli americani, distruggere Israele. E, infatti, una buona parte dei guerriglieri di al Qaida, cacciati dal’Afghanistan talebano, si è rifugiata oltre che in Pakistan e in Iran in un’enclave del Kurdistan iracheno sostenuta da Saddam. Il capo di quel gruppo, Ansar al Islam, cioè il giordano Abu al Zarqawi, è l’attuale leader della guerriglia islamista in Iraq e ci sono ampi sospetti che le sue ferite sul campo afghano siano state curate a Baghdad. Nella capitale irachena risiedeva anche il terrorista dell’Achille Lauro, Abu Abbas. Saddam finanziava con 25 mila dollari le famiglie di assassini-kamikaze di Hamas. Del resto, spiega Hayes nel suo libro, che non sia affatto un mito il collegametto tra al Qaida e Saddam lo testimoniano centinaia di inchieste pubblicate dai grandi giornali liberal negli anni Novanta. Esempi: Newsweek, 11 gennaio 1999, titolo "Saddam + Bin
Laden?": "Saddam Hussein, che ha lunghi precedenti di sostegno al terrorismo, sta cercando di ricostruire la sua rete estera di intelligence che gli consentirà di stabilire un network terroristico. Fonti americane dicono che sta cercando di estendersi ai terroristi islamici, inclusi alcuni che potrebbero
essere legati a Osama". Washington Post, febbraio 1999: "Il presidente iracheno ha offerto asilo a bin Laden, che sostiene apertamente l’Iraq contro le potenze occidentali". Quando, nell’agosto del 1998, l’Amministrazione Clinton bombardò i campi di addestramento di Osama in Afghanistan e la fabbrica chimica in Sudan, il Dipartimento di Stato, nelle persone del sottosegretario Thomas Pickering e di altri sei funzionari, disse che i servizi monitoravano quella fabbrica di medicine sospettata di sviluppare armi chimiche per Osama "da almeno due anni" che, tra le altre cose, quella fabbrica provava "in modo abbastanza chiaro i contatti tra Sudan e Iraq". Richard Clarke, l’ex capo dell’antiterrorismo, che oggi dopo essere stato messo da parte da George Bush, dice che non c’è mai stato un collegamento tra Saddam e Osama, fu il suggeritore del bombardamento della fabbrica e, allora, al Washington Post disse di essere "sicuro" che l’Iraq stesse dietro la produzione delle armi chimiche, che peraltro non si trovarono, nella fabbrica sudanese di Osama. Gli esempi sono infiniti. Alla Commissione parlamentare che indaga sull’11 settembre
ha destato grande scandalo scoprire che un rapporto sul terrorismo datato 1999 avesse previsto l’11 settembre, cioè che al Qaida avrebbe potuto attaccare Washington con aerei guidati da kamikaze da far schiantare sul Pentagono e sulla Casa Bianca. Com’è possibile, ci si è chiesto, che due diverse Amministrazioni non si aspettassero quello che i rapporti di intelligence immaginavano già? Eppure, nella stessa pagina 7 del rapporto, si legge: "Se Saddam Hussein decidesse di colpire con un attacco terroristico il territorio degli Stati Uniti si rivolgerebbe alla al Qaida di bin Laden". Tra l’altro al primo attentato alle Torri Gemelle, nel 1993, partecipò un iracheno, Abdul Rahman Yasin, il quale sfuggì alla giustizia americana, che lo condannò, e si rifugiò a Baghdad. Saddam, ovviamente, rifiutò l’estradizione. A Baghdad, dopo la guerra, è stato trovato un documento che prova un incontro della primavera del 1992, in Siria, tra Osama e uomini dei servizi iracheni. In un altro dossier
si parla di un incontro tra Osama, i servizi iracheni e rappresentanti dei talebani. Prima della guerra si è parlato molto di un incontro a Praga, nell’aprile del 2001, tra uno dei capi dei Servizi di Saddam e un non
identificato "studente arabo di Amburgo". Le prove che fosse Mohammed Atta non ci sono, ma gli indizi sembrano andare in questa direzione, specie per i due documentati viaggi precedenti di Atta a Praga e per la sua sparizione dagli Stati Uniti, preceduta da un prelievo di 8 mila dollari in banca, proprio nei giorni del presunto incontro praghese. Ma queste sono solo supposizioni, per
quanto rilanciate lunedì da Andrew Mc- Charty, il procuratore che nel 1995 guidò l’inchiesta contro Sheik Omar, l’assassino del giornalista americano Daniel Pearl.La grande scoperta di Hayes, confermata da una recente inchiesta del Wall Street Journal, è la seguente: in una lista di funzionari iracheni e in tre diversi documenti dei Fedayn di Saddam, scovati nei ministeri della Baghdad liberata, è comparso il nome di Ahmed Hikmat Shakir. Un iracheno con quello stesso nome era presente al meeting che si è tenuto tra il 5 e l’8 gennaio 2000 a Kuala Lumpur, in Malesia, nel quale si decise l’azione terroristica contro l’America di quasi due anni dopo. A quella riunione parteciparono anche tre dei membri del commando che si schiantò sul Pentagono. Shakir fu arrestato sei giorni dopo l’11 settembre a Doha, in Qatar. Interrogato dai servizi giordani e dalla Cia, non collaborò, ma i giordani si convinsero che, se lo avessero rilasciato, Shakir sarebbe diventato un loro informatore. La Cia acconsentì. Il 21 ottobre, via Amman, Shakir è partito per Baghdad e da allora non si hanno più sue notizie. Certo i due Shakir potrebbero essere due persone diverse, nonostante lo stesso nome e lo stesso cognome. Ma resta da capire una cosa: il team che in Iraq cerca le armi di sterminio ha trovato mucchi di documenti, fotografie, dossier e trascrizioni che potrebbero
dimostrare i rapporti pre 11 settembre tra l’Iraq e al Qaida. Eppure, tra chi invoca la declassificazione di ogni possibile pezzo di carta che possa inchiodare Bush, non se ne trova uno che chieda con eguale zelo di togliere il segreto a quei documenti che potrebbero collegare Saddam a Osama.
Infine l'articolo sulla Siria: "Zapatero/2 Aiuta Bashar, che fa scalo a Madrid destinazione UE", a pagina 3
Damasco. Il presidente siriano, Bashar el Assad, ha concluso ieri una visita di due giorni a Madrid con la convinzione che la Spagna del governo socialpacifista possa diventare il cavallo di Troia per l’associazione del suo paese all’Unione europea. Non solo: ha chiesto agli amici spagnoli di appoggiare
la linea siriana sulla creazione di uno Stato palestinese con Gerusalemme Est
capitale e ritiro israeliano dal Golan. Ovviamente non ha sprecato una parola sulla presenza di 20 mila soldati siriani in Libano.
Gli argomenti sul tappeto sono stati affrontati nei dettagli dai ministri degli Esteri, il siriano Faruk al-Shara, e l’ex inviato dell’Ue in medio oriente, Miguel Angel Moratinos, spesso criticato dagli israeliani per la sua linea filopalestinese. Inoltre Assad, incontrandosi ieri con il primo ministro, José
Luis Rodríguez Zapatero, ha ribadito il concetto già espresso a re Juan Carlos: la Siria è pronta "a contribuire agli sforzi internazionali per eliminare i fattori d’instabilità in Iraq". Pur non ammettendolo pubblicamente, Damasco potrebbe inviare truppe e fa aleggiare l’idea a casa di chi ha ritirato i suoi soldati. Sarebbe il colmo: i siriani con la divisa di pacificatori dell’Iraq,
mentre continuano a non fermare il passaggio dei volontari della guerra santa internazionale, che vanno a ingrossare le fila del terrorismo e della guerriglia a Baghdad. La calorosa visita di Assad a Madrid avviene poco dopo l’imposizione di sanzioni economiche e militari da parte dell’Amministrazione
americana, che considera il regime baathista di Damasco "una straordinaria
minaccia alla sicurezza nazionale e alla politica estera" degli Stati Uniti. Si sta aprendo l’ennesimo fossato fra America ed Europa, e i siriani cercano di allargarlo sempre più grazie all’"Accordo di associazione Euro-Mediterraneo". Dei 12 paesi coinvolti solo Siria e Libia (ancora per poco)
sono rimasti fuori. Assad incassa a Madrid l’appoggio di Zapatero, ma non è chiaro come sarà risolto il problema delle armi di distruzioni di massa negli arsenali siriani, il mancato rispetto dei diritti umani e l’appoggio a movimenti terroristi. Damasco, nel tentativo di ottenere la parità strategica con Israele, ha ammassato 100 missili equipaggiati con l’agente nervino VX. Inoltre sta sviluppando accordi con la Cina per aumentare la propria capacità
balistica nel campo missilistico. L’Ue dovrà inoltre tener conto del mancato rispetto dei diritti umani in Siria, che neppure ammette le principali organizzazioni internazionali del settore sul proprio territorio. Infine Damasco aiuta gruppi terroristi, che sono sulla lista nera dell’Unione europea. Il nuovo capo di Hamas, Khaled Meshaal, è vissuto in esilio nella capitale siriana, mentre il braccio armato del movimento palestinese faceva saltare in aria i civili israeliani con azioni suicide condannate dall’Europa. Non solo: l’Eta, l’organizzazione terrorista basca, avrebbe venduto esplosivo nel 2000, rubato in Francia, alle cellule terroriste di Hamas. Nello stesso periodo una delegazione ufficiale di Hamas visitava i paesi baschi su invito del braccio politico dell’Eta. Inoltre sono noti i collegamenti dell’Eta con l’Hezbollah,
il partito dei guerriglieri sciiti in Libano. I baschi si sono addestrati nei campi di Hezbollah in Libano, nella valle della Beeka, sotto controllo siriano. Il vicecapo dei servizi di Damasco, Nasif Kheirbek, ha incontrato i vertici di Hezbollah, ordinando che vengano raffreddati i rapporti con l’Eta in vista del viaggio in Spagna del presidente siriano. L’obiettivo era di evitare rivelazioni
imbarazzanti.
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