Medio Oriente: la solita visione in bianco o nero
Filippo Cicognani non vede altri colori
Testata: Europa
Data: 02/06/2004
Pagina: 2
Autore: Filippo Cicognani
Titolo: La vera sfida è tra Sharon e Netanyhau
Su Europa di oggi Filippo Cicognani riconferma la sua visione o bianca o nera della vicenda mediorientale. La sinistra cerca la pace con i palestinesi con il piano di Ginevra, mentre la destra vuole lo scontro. Naturalmente queste "verità" esistono solo nella mente di Cicognani, poichè tutti sanno che è stata la sinistra israeliana a teorizzare per prima la separazione tra Palestina e Israele. Ed è questo il progetto che Sharon sta cercando, con non poche difficoltà, di realizzare.
Israele, tre anime a confronto. La sinistra, in cerca di un leader, vuole il
dialogo con i palestinesi, secondo la linea tracciata dagli "accordi di Ginevra"
mentre la destra è bifronte come non mai: da una parte Ariel Sharon col suo
piano di disimpegno dalla striscia di Gaza e da porzioni della Cisgiordania,
dall’altra l’ala estrema del Likud, guidata da Bejamin Netanyahu, che cavalca il
malcontento dei religiosi e dei coloni ,decisi a non lasciare gli insediamenti.
In questi giorni si consuma lo scontro senza esclusione di colpi all’interno
della maggioranza, mentre la sinistra attende di vedere come va a finire .E l’esito è tutt’altro che scontato. Non ci vorrà molto tempo per decifrare
la situazione: martedì prossimo infatti la knesset dovrà affrontare, senza
ulteriori rinvii, la discussione sul piano Sharon, o meglio su quel che ne resta
dopo revisioni e mediazioni. Il dibattito era in agenda lunedì scorso, ma
il premier è riuscito a prendere tempo ad evitare uno scontro che gli sarebbe
stato fatale, un rinvio che ha messo sulla graticola il presidente del parlamento,Reuen Rivlin, accusato dall’opposizionedi aver lanciato a Sharon
una ciambella di salvataggio. L’opposizione,soffiando sul fuoco, aveva tra l’altro presentato tre mozioni di sfiducia di natura economica contro il premier,
approfittando del fatto che era in discussione il piano di disimpegno: le
mozioni sono state ritirate e nel contempo è stato annunciato un possibile
ricorso alla Corte suprema perché valuti la legittimità del rinvio.
Su Sharon, dunque, fuoco incrociato da destra e da sinistra: il suo piano
incontra l’opposizione netta di alcuni partiti della maggioranza, i partiti religiosi e ortodossi, ma anche della parte più conservatrice del Likud, guidata
appunto dal ministro delle finanze Netanyahu. La stessa maggioranza del
partito, nel referendum del 2 maggio referendum di cui Sharon si è amaramente
pentito – si era espressa contro.Favorevoli invece l’esercito e la maggioranza
degli israeliani, secondo un recentissimo sondaggio pubblicato ieri
dal quotidiano Maariv. Il premier intanto ha leggermente
modificato il suo piano – ritiro non immediato, ma diluito nel tempo e
ogni volta previa approvazione del governo – e l’altroieri lo ha presentato
al suo governo, senza riuscire a spuntarla: 11 ministri sono con lui, 12
con Netanyahu, che non nasconde le sue mire di tornare al timone del governo.
Ora, mentre il ministro della giustizia Yossef Lapid sta mettendo a
punto una proposta di mediazione estremamente vaga rispetto all’originale,
Sharon sta meditando una mossa politica a sorpresa per evitare il tracollo.
Come ha pubblicamente annunciato ha in mente un rimpasto con l’eliminazione dei ministri ostili, compreso forse anche Netanyahu, per crearsi così una "sua" maggioranza nel consiglio dei ministri, un ‘ipotesi che rischia di scatenare una rivolta nel Likud. E le avvisaglie si sono avute lunedì in una riunione del partito, chiusa in fretta e furia tra le minacce della destra estrema di lasciare Sharon senza maggioranza in parlamento. Ma non è neppure escluso che in
questa settimana il premier valuti le possibilità di un "ribaltone": licenziare
i partiti di estrema destra e formare un governo di unità nazionale con
laburisti. E in questo caso il Likud si frantumerebbe. Certo Sharon vuole
andare avanti ad ogni costo, come è nel suo carattere, forte anche del consenso
al suo piano di Bush e di Kofi Annan. Ma sarà quasi impossibile riportare
la pace nel suo partito e nella compagine di governo: i veri nemici
li ha al suo interno non fuori.
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