Il terrorismo colpisce l'Arabia Saudita
per destabilizzarne il governo
Testata: Il Foglio
Data: 01/06/2004
Pagina: 4
Autore: Carlo Panella
Titolo: L'assalto a Khobar, le facezie sul terrorismo e la lotta nella corte di Riad
Sul Foglio di oggi Carlo Panella, commentando gli attentati che da mesi si susseguono in Arabia Saudita, confuta la tesi, che, tra l'altro, va per la maggiore tra gli opinionisti targati anti-USA di casa nostra, secondo cui il terrorismo islamico sarebbe la reazione agli errori dell'Occidente.
Chi dice, come fanno i dirigenti dell’Ulivo, che la guerra in Iraq ha incrementato il terrorismo, che il terrore è solo "una reazione" agli errori dell’occidente, che ritirando la presenza militare occidentale dal Golfo il fenomeno verrebbe contenuto, farebbe bene a impegnarsi in un’analisi del terrorismo che da un anno sconvolge Riad. Non uno dei capisaldi politically correct e progressisti su cause e nascita del terrorismo regge alla verifica sul terreno saudita. L’Arabia Saudita è stato il paese arabo che ha più duramente condannato la guerra a Saddam e ha voluto dissociarsi fino al punto di espellere i militari americani dalle sue basi (l’ambasciatore saudita a Londra, Turki bin Feisal, a lungo "padrino di bin Laden in Afghanistan", l’ha definita "una guerra coloniale"). Il reddito medio dei sauditi è superiore a quello di non meno di sei Stati dell’Ue e nel paese, dotato di un eccellente "welfare islamico" grazie ai petrodollari, non vi sono sacche di povertà (fatti salvi i milioni di immigrati musulmani, che non appaiono mai tra i terroristi e spesso sono le loro vittime). Non vi sono contenziosi nazionali. Dal 1948 in poi, il paese, attestato su una posizione violentemente antagonista a Israele, si tiene rigidamente disimpegnato militarmente nei confronti della crisi israelo-palestinese (fatto salvo il finanziamento all’Olp, all’Anp, alle organizzazioni terroristiche e ai cospicui assegni versati alle famiglie dei kamikaze che sterminano civili israeliani). Il Servizio segreto saudita, il Mukhtabarat, è tra i più capillari, duri ed efficaci del medio oriente, e dovrebbe quindi costituire quella alternativa principe alla guerra, che secondo i dirigenti ds, dovrebbe saper contrastare il terrorismo. Pure, nell’ultimo anno, cinque attacchi clamorosi e molti episodi minori hanno fatto in
Arabia Saudita più di un centinaio di vittime, al 90 per cento musulmane. Pure, in un paese così capillarmente controllato che nel 2002 a Riad 15 ragazzine furono lasciate morire in una scuola in fiamme perché la polizia non le lasciava uscire dall’edificio a capo scoperto, gli attentatori dimostrano di potersi muovere a pieno agio. Pure, la Guardia nazionale saudita, forte di circa 90 mila armati, perfettamente addestrata, presidia tutti gli impianti petroliferi e le raffinerie, per garantirne la sicurezza. Nonostante tutto ciò, il 12 maggio 2003 un attentato distrugge il compound in cui risiedevano gli istruttori statunitensi della società Vinnel che addestra da 29 anni la Guardia nazionale; il 21 aprile 2004 un attentato colpisce una sede dei Servizi a Riad: 10 vittime, tra cui un alto ufficiale; il 1° maggio 2004 un commando di terroristi, con divise della Guardia nazionale, scorazza per ore nella città portuale di Yanbu, dove ha sede la più grande raffineria saudita, uccidendo sei occidentali, e sabato scorso, un altro commando, sempre con divise della Guardia nazionale, impazza per ore nella città di Khobar (sconfiggendo sul
terreno la Guardia nazionale); domenica tre dei quattro terroristi che detenevano gli ostaggi occidentali nel complesso Oasis sfuggono all’assalto della Guardia nazionale, portando con loro ostaggi. Va aggiunto il non secondario particolare: la composizione del commando dell’11 settembre ha visto la netta predominanza di terroristi sauditi. Il quadro che offre il terrorismo islamico in Arabia Saudita annulla tutti i luoghi comuni degli avversari della guerra in Iraq – ribaditi meccanicamente in queste ore – li ribalta e ci presenta un fenomeno a base religiosa scismatica, che nasce e cresce in una
società musulmana particolarmente integralista (in Arabia Saudita vige la più rigida Legge islamica di tutto il mondo musulmano, pene corporali e lapidazioni incluse), che non ha nulla a che fare con contraddizioni economiche, sociali o nazionalistiche, che ha caratteristiche predominanti ideologico-religiose, che punta a colpire un governo musulmano e che attacca americani e occidentali solo in quanto appoggiano quel governo musulmano giudicato "illegittimo" (come in
Marocco, in Giordania, in Indonesia, in Malesia, in Pakistan e addirittura in Siria). C’è infine un elemento di valutazione che ormai accomuna molti analisti arabi e occidentali: la virulenza, la capacità d’iniziativa del terrorismo
saudita e la scelta degli obiettivi (sempre riconducibili alla Guardia nazionale, comandata in prima persona dal reggente principe Abdullah) sono spiegabili solo con potenti appoggi e complicità interne al regime, forse alla stessa corte di Riad. Il sospetto, la certezza, ormai, è che la battaglia
dinastica, che accompagna la tormentata successione a un re Fahad ammalato e inabilitato al governo da dieci anni, veda alcuni principi della corte (unica istituzione operante in un paese che non ha né Parlamento, né altri organi, anche solo formali) cavalcare, favorire, l’azione del terrorismo per indebolire
i "partiti" avversi. Nel mirino è, appunto, il "partito" di Abdullah, favorito per la successione. E’ un quadro così fosco da legittimare addirittura la tesi che la stessa al Qaida, composta essenzialmente dal nucleo saudita che combattè per dieci anni in Afghanistan contro l’Armata rossa (finanziato e guidato da Riad) in realtà altro non sia che uno strumento, il braccio armato di un partito
di corte impegnato nella guerra per la successione che sconvolge una dinastia che negli ultimi 200 anni ha visto solo due casi incruenti di passaggio delle insegne reali. Il tutto in un contesto islamico che ha sempre visto storicamente l’uso del terrorismo mirato e dell’assassinio dei pretendenti e dei loro supporter quale tecnica prediletta per regolare tensioni interne alla corte. E’ questo un "canone" fisso della vita politica califfale, codificato in maniera egregia a cavallo dell’anno Mille, dalla plurisecolare attività della
setta degli Assassini capeggiata dal Gran Vecchio della Montagna.
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