Oggi Sharon ha un problema: il suo partito
analisi di Fiamma Nirenstein
Testata: La Stampa
Data: 29/05/2004
Pagina: 22
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: Sharon si prepara al duello finale col suo nemico: il Likud
Oggi Sharon ha un problema: il Likud.
Il partito non appoggia il piano per il ritiro unilaterale da Gaza, nemmeno nella versione iniziale. Ecco l'analisi di Fiamma Nirenstein sulla Stampa di oggi.

GERUSALEMME
«Sharon è finito», «La fine di Sharon»...quasi tutti i quotidiani israeliani, ieri portavano un titolo di questo tenore. Questo, mentre circolava su internet e arrivava ai ministri, definito nei particolari per la prima volta, il nuovo piano di disimpegno da Gaza che il primo ministro israeliano vuole disperatamente, si può proprio dir così, far passare. Nella sua fattoria di Havat ha Shichnim, al sud, le consultazioni continuano frenetiche: domenica Sharon ha promesso di portare il piano alla riunione di Gabinetto, ma nella serata di ieri ormai era in dubbio se rimandare l’appuntamento. Dopo il voto del Likud in cui la maggioranza si è rifiutata di approvare il piano, i ministri del governo hanno cominciato a fantasticare su un domani senza il vecchio leone che inopinatamente è passato dal fronte degli insediamenti a quello della pace tramite lo sgombero unilaterale.
E più di tutti sembra ormai intenzionato ad abbandonarlo, accellerando così il suo futuro di prossimo primo ministro Benyamin «Bibi» Netanyahu, il delfino incoronato; Netanyahu, quando Arieh Sharon era tornato dagli Usa dopo aver ricevuto, contro lo smantellamento degli insediamenti, la benedizione e molte promesse di aiuto di George Bush, aveva accettato a mala pena l’idea di lasciare ai palestinesi territori in cui, secondo il suo punto di vista, ben presto si sarebbe costituito un esercito armato per la distruzione di Israele; ma aveva accettato ottenendo da Sharon che, prima di qualsiasi concessione, completasse la barriera di sicurezza. Poi, la sconfitta inopinata da parte degli iscritti al Likud, e l’ insurrezione di parecchi ministri.
Il ministro senza portafogli Uzi Landau, il ministro dell’agrcoltura Israel Katz, il ministro per la Diaspora e Gerusalemme, Nathan Sharansky erano sempre rimasti contro l’idea di agire unilateralmente senza nemmeno provare a chiedere un cambiamento di politica, come prevede la road map, all’altra parte. Anche i settler, d’accordo con loro ripetevano lo slogan «non lasciamo ai terroristi le nostre case». Il ministro degli Esteri Silvan Shalom, Limor Livnat ministro dell’educazione, e Dan Naveh ministro della Sanità, si erano fatti convincere da Netanyahu. Ma oggi, non sono più disposti. E sembra che anche Tommy Lapid, del partito laico Shinui, ministro della Giustizia, non si accontenti del nuovo piano troppo fievole di Sharon e gli ritiri l’aiuto dei suoi cinque uomini. Per ragioni opposte, naturalmente i ministri dei due partiti di destra, come il ministro del turismo Beny Elon dicono: «Persino lo sgombero di un insediamento non può essere accettato».
E il nuovo piano invece, in quattro fasi, comincia proprio con lo sgombero di tre insediamenti a Gaza, ma in una dimensione sperimentale che si ispira alla Road Map: ogni passo prevede un intervallo per verificare se sui territori lasciati si crea tranquillità, o nuove basi terroriste. Il piano nuovo lascia da parte l’idea dell’unilateralismo, perchè molti pretendono uno scambio, una trattativa con i palestinesi: ciò rende il piano più appetibile all’opinione pubblica internazionale (dice Silvan Shalom), e garantisce forse un cambiamento del regime che ha portato all’Intifada (dice Sharansky). Il piano prima stabiliva di consegnare tutte e case ai palestinesi, ora si parla di distruggere «edifici sensibili» come le sinagoghe e di consegnare le strutture di pubblico uso a autorità internazionali; la zona industriale di Erez passerebbe ai palestinesi.
La formula originaria di Sharon parlava di una «migliore situazione di sicurezza»; oggi di «una situazione migliore quanto alla sicurezza, la diplomazia, l’economia, la demografia». Sharon prevede anche un corpo internazionale costituito dai Paesi donatori «per vivificare la situazione economica dei palestinesi». Netanyahu sostiene che quanto più il piano nuovo si distanzia dal primo, tanto più facile, a fronte del «no» del Likud, gli sarà sostenerlo. Il ministro del tesoro si era anche spinto a immaginare un suo sostegno a uno sgombero «una tantum»: ma non funzionerebbe. Umilierebbe Sharon, porterebbe Bush a rimangiarsi l’aiuto a Israele, farebbe irritare l’esercito che è favorevole allo sgombero sia di Gaza che di una parte della West Bank in una sola volta, per motivi di sicurezza. Insomma, Sharon, con grande soddisfazione di chi lo odia per la sua dura lotta contro il terrorismo, rischia di diventare, per la storia, semplicemente il primo ministro che ha rotto senza risultati il tabu di uno smantellamento in grande degli insediamenti, un altro Ehud Barak disperato. Forse se avesse ottenuto più diretto sostegno da parte dell’Europa, che parla all’orecchio dei palestinesi, le cose avrebbero potuto andare meglio.



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