La resa di Moqtada Sadr
e la complessa strategia americana per pacificare Najaf
Testata: Il Foglio
Data: 28/05/2004
Pagina: 1
Autore: Carlo Panella
Titolo: Imam alla prova. Con la regia di Al Sistani
All'indomani della resa delle milizie di Moqtada al Sadr a Najaf, Carlo Panella, sul Foglio di oggi, spiega le ragioni di questa vittoria militare, ma anche politica della coalizione confrontandola con l'analoga situazione di Falluja. Per capire l'Iraq e non solo.
Roma. Il "modello Najaf" sostituisce il modello Fallujah": nella città santa sciita ieri Moqtada Sadr è stato costretto alla resa concordata dalle truppe americane, dopo giorni di martellante pressione militare che gli hanno decimato le forze, con perdite di alcune centinaia di uomini. Il condizionale sempre d’obbligo nelle vicende che riguardano il mullah terrorista, ma questa volta pare proprio che la tregua abbia possibilità di reggere, con il ritiro di tutti i suoi uomini dalle città sante, riconsegnate all’autorità esclusiva delle forze irachene e la fine dei combattimenti. Una tregua che riguarda Kerbala, Kufa e Najaf, ma che di fatto coinvolge anche Nassiriyah. Un’ottima notizia quindi anche per il contingente italiano, che non ha mai avuto a che fare con
rivolte locali, ma che dal 6 aprile in poi ha dovuto fronteggiare le azioni di commando fatti giungere in città da Moqtada. Il "modello Najaf" differisce nettamente dal "modello Fallujah" solo per un dato, che però è basilare: a Najaf è egemone un’area politica che fa capo all’ayatollah al Sistani e ai partiti sciiti, Sciri e Dawa, che non ama certo gli occupanti anglo-americani, ma che considera Moqtada un nemico da battere. Per siglare la tregua, per riprendere il controllo delle città sante, l’esercito americano non deve dunque riciclare generali baathisti o scendere a patti con ulema sunniti, ex funzionari del regime di Saddam, come ha fatto, con esiti ambigui, a Fallujah.
A Najaf, il governatore Paul Bremer può contare su dirigenti iracheni delle forze di sicurezza che sono, appunto, espressione di movimenti ben radicati nel territorio. Ma a Najaf, esattamente come a Fallujah, l’autorità di governo provvisorio non può fare affidamento su una qualche componente irachena per sconfiggere, armi alla mano, chi ha proclamato il Jihad e intende risolvere la partita sul terreno militare. L’ayatollah Alì al Sistani ha minacciato più volte Moqtada Sadr di una resa dei conti violenta da parte dei suoi armati, ma due settimane fa, quando pareva che questo scontro fosse imminente, l’ayatollah ha fatto marcia indietro e sconfessato una manifestazione di massa, convocata dallo Sciri, che avrebbe dovuto fare da copertura politica all’azione militare delle Brigate Badr – milizia privata dello Sciri stesso – contro le "milizie del Mahdi" di Moqtada. Visto che gli sciiti non sono riusciti a risolvere il problema al loro interno, né con la mediazione politica (tentata inutilmente
per 40 giorni) né con l’opzione militare, il "modello Najaf" si è così concretizzato su due linee: incremento della pressione militare americana, mirata contro le concentrazioni degli armati di Moqtada in alcune moschee e nell’immenso cimitero di Najaf, e contemporanea richiesta ad al Sistani di adoperarsi per la stipula di una resa di Moqtada, non appena questi comprendesse, finalmente, di non avere più possibilità di resistere. Così è stato, e tra mercoledì e giovedì si è aggiunta al quadro una quarta
componente decisiva: il Consiglio nazionale iracheno ha infatti inviato a Najaf tre suoi esponenti sciiti per formalizzare l’accordo. Oltre a Mahoud al Mohammedawi e Salama al Khafaji, si è impegnato nella trattativa
anche Ahmed Chalabi – peraltro in questi giorni in rotta di collisione con gli
americani – a segnalare una probabile connection con Teheran. Non è un mistero che Moqtada sia stato armato e letteralmente "eccitato" al combattimento dall’ala più rivoluzionaria degli ayatollah iraniani, così come non sono certo sconosciuti gli ottimi rapporti che Chalabi intrattiene con alcuni centri di comando di Teheran (tanto da essere sospettato di essere addirittura un
emissario, una spia). Fatto sta che i terroristi sciiti, i moderati sciiti, i religiosi sciiti, i governanti sciiti e persino i sobillatori sciiti
iraniani si sono seduti attorno a un tavolo di trattative con i generali americani (che da dieci giorni martellano duro sia a Najaf sia a Kufa e a Kerbala) e hanno siglato un’ipotesi di tregua. Al di là della contingenza, è probabile che questo complesso schema caratterizzerà anche i prossimi mesi. E’ infatti evidente che i più gravi problemi in Iraq, da qui alle elezioni, verranno da un’area sciita radicale – con Moqtada o chi per lui – spalleggiata dall’ala "rivoluzionaria" di Teheran, desiderosa di riprendere quella naturale esportazione della rivoluzione khomeinista che fu interrotta nel 1980 dalla guerra scatenata da Saddam Hussein. E’ anche evidente che le componenti sciite
moderate (divise a loro volta in laiche, filo iraniane e religiose apartitiche) tenderanno a non compromettersi e a non usurarsi in una guerra civile sciita, e che quindi il contenimento militare di queste spinte eversive sarà affidato alla coalizione. E’ infine chiaro che ogni volta bisognerà ricomporre il quadro politico con proposte di mediazione, consolidate da vittorie della coalizione sul campo per evitare l’allargamento e l’incancrenirsi del conflitto. Il "modello Najaf" potrà essere dunque un buon riferimento in questo tormentato percorso.
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