Ultimi aggiornamenti sul ritiro da Gaza
e sugli sforzi di Sharon per ottenere il consenso al suo piano
Testata: Il Foglio
Data: 28/05/2004
Pagina: 3
Autore: Emanuele Ottolenghi
Titolo: La ritirata strategica di Sharon e la sua ambiziosa idea per Gaza
A proposito del nuovo piano di ritiro da Gaza a tappe e della discussione interna del Likud, pubblichiamo l' articolo di Emanuele Ottolenghi sul Foglio di oggi.

Dopo la sconfitta nel referendum del suo partito, e in attesa che la procura
decida se archiviare le inchieste contro di lui, domenica Ariel Sharon sottoporrà al suo governo una versione riveduta e corretta del piano di disimpegno dalla striscia di Gaza per un voto decisivo. Il piano, ridimensionato nei tempi di esecuzione, consiste di quattro fasi, tutte soggette ad approvazione separata del governo. Sharon spera di poter ottenere un voto positivo domenica sulla prima fase e un voto di massima sul resto, senza pregiudicarne i dettagli. Dopo la sconfitta interna, Sharon non ha una maggioranza all’interno del suo esecutivo, ma spera di convincere almeno
uno dei ministri del suo partito a cambiare idea, almeno per la prima fase, e di non perdere l’appoggio delle due forze politiche di destra, L’Unione nazionale e il Partito nazionale religioso, almeno per il momento.
Tra tre settimane, a credere alle indiscrezioni trapelate negli ultimi giorni, la procura deciderà di chiudere le inchieste contro Sharon. Dopodiché, l’ostacolo principale all’ingresso dei laburisti al governo sarebbe rimosso, rimanendo soltanto la questione delle politiche socio-economiche attualmente perseguite dal governo, contro le quali i laburisti si oppongono. Sharon non dovrebbe avere difficoltà a ottenere il sostegno delle sinistre in Parlamento,
sia per un piano ridimensionato sia per il piano originale. Ma non vuole
aspettare la chiusura delle inchieste per rimettere in moto il suo piano. Teme un putsch all’interno del suo partito, guidato probabilmente dal ministro delle Finanze Benjamin Netanyahu, il cui consenso per almeno la prima parte del ritiro potrebbe invece offrire al premier un momento di pausa. Vuole quindi avviare il processo di disimpegno, ottenendo l’approvazione del suo partito e del suo attuale governo. La divisione del piano in quattro fasi, tre delle quali lasciate volutamente vaghe in termini di tempi e rinegoziabili,
perché soggette tutte alla successiva approvazione del governo, offre
spazio di manovra sia al primo ministro sia ai suoi alleati più scettici, cosa che dovrebbe evitare – così almeno Sharon spera – che essi lo mettano in minoranza domenica o che lascino la coalizione, privandolo della maggioranza, prima che i laburisti abbiano sciolto le loro riserve. Per questo Sharon comincia con tre isolati e piccoli insediamenti a Gaza: Netzarim, collocato vicino al mare al centro della striscia di Gaza, Morag, isolato nel cuore della medesima, e Rafiah Yam. Per il momento non tocca quindi né a Gush Katif,
comprendente quasi il 20 per cento dell’intera striscia di Gaza e la maggior
parte della popolazione israeliana ivi residente, né agli insediamenti di Elei Sinai o Dugit, collocati molto più a nord, a ridosso della linea verde. La seconda fase comprenderebbe quattro insediamenti nel cuore della Samaria, anch’essi isolati e lontani dai maggiori centri abitati. Da ciò si può dedurre che Sharon preferisca lasciare le due fasi più controverse – Gush Katif e i rimanenti insediamenti nel nord della striscia di Gaza – come ultima opzione, da decidersi l’anno prossimo al più presto, quando forse la possibilità di
formare una nuova maggioranza renderà inutile un difficile negoziato con i partiti della destra religiosa e nazionalista e con l’ala destra del suo partito. La partita rimane però difficile. Intanto perché non è detto che Unione nazionale e Partito nazionale religioso accettino il piano anche nella sua nuova versione e potrebbero lasciare la coalizione già domenica, se l’evacuazione dei primi tre insediamenti di Gaza venisse comunque approvata. Poi perché gli oppositori del piano all’interno del Likud potrebbero cercare di fare un colpo di mano in Parlamento, per rimuovere il primo ministro e sostituirlo. Il meccanismo di sfiducia costruttiva, introdotto nell’ordinamento costituzionale israeliano nel 2001, infatti, separa i due momenti della sfiducia e della formazione di una nuova maggioranza, permettendo a parte della corrente coalizione di votare con l’opposizione contro Sharon per poi arruolare una nuova maggioranza formata dalla destra anti Sharon del Likud, la destra nazionalista e i partiti religiosi, con i sostenitori di Sharon nel Likud possibilmente divisi tra lealtà al leader spodestato e lealtà al partito. Soltanto un’ipotesi per il momento, ma non del tutto da scartare. In attesa che
Menachem Mazuz, il procuratore generale, decida il futuro di Sharon in materia
giudiziaria, i giochi politici richiedono un drastico ridimensionamento del piano, una sua approvazione del governo e successivamente del Parlamento. Una volta passato lo scoglio parlamentare, e con i sondaggi d’opinione tutti a favore del disimpegno da Gaza, Sharon avrà vita più facile.
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