L'università turca resterà laica?
una domanda che riguarda anche l'Occidente
Testata: Il Foglio
Data: 26/05/2004
Pagina: 4
Autore: Marina Valensise
Titolo: La Turchia laica difende l'università da una riforma islamizzante
Marina Valensise ci informa sull'opposizione dei settori laici della società turca alla riforma che aprirebbe le porte dell'università agli studenti delle scuole religiose.
Una questione di grande rilievo, dato che la Turchia è l'unico paese di tradizione islamica compiutamente laico.
Ecco il pezzo.

Istanbul. Riuscirà il presidente turco Ahmet Necdet Sezer a difendere la laicità
dello Stato, mettendo il veto alla riforma della Pubblica istruzione voluta dal premier Recep Tayyip Erdogan? Sono in molti a chiederselo dopo le proteste dei militari e dei rettori suscitate dalla riforma dello Yök, il Consiglio superiore dell’Istruzione, che elimina le restrizioni imposte nel 1997, facilitando l’accesso alle università degli allievi usciti dalle scuole religiose, gli imam hatip. La settimana scorsa, ad Ankara, erano circa tremila gli universitari che manifestavano davanti al Mausoleo di Atatürk. Hanno sfilato in silenzio. Hanno deposto una corona sulla tomba del padre della patria, Mustapha Kemal "Atatürk" padre dei turchi. "Continueremo a far sentire la nostra voce nell’ambito dell’autentica legalità in difesa della libertà della scienza e dell’autonomia universitaria", ha detto il presidente del Consiglio dei rettori turchi, Ayan Alkis, per protestare contro la minaccia che incombe sullo Stato laico da quando l’Assemblea nazionale, due settimane fa, ha votato la parificazione delle scuole laiche e religiose con una schiacciante
maggioranza dell’Akp, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo. Davanti al
mausoleo di Atatürk c’erano anche due deputati socialdemocratici e kemalisti dell’unico partito di opposizione, il Chp, che, in segno di protesta, hanno abbandonato l’aula prima del voto. I militari, invece, non hanno aspettato il voto del Parlamento per far sentire la propria voce. Le loro critiche hanno provocato la replica stizzita di Erdogan contro le pressioni dell’esercito, della burocrazia e della stampa. E una reazione del rappresentante della Commissione europea ad Ankara, Hans Kretschmer, che, dopo aver stigmatizzato l’intervento delle Forze Armate, si è visto recapitare una protesta verbale dal portavoce del ministro degli Esteri turco. Il che ha contribuito a ridestare una certa apprensione, nelle more della preparazione del nuovo rapporto da parte della Commissione europea che dovrebbe portare in dicembre all’apertura dei negoziati per l’ingresso della Turchia nell’Unione europea. La riforma degli imam hatip tocca dunque un nervo scoperto. Non mette solo in gioco la laicità della repubblica kemalista, ma i rapporti tra i poteri dello Stato e la
stessa natura della democrazia turca. "Il nostro è un paese burocratico", dice Mehmet Altan, economista all’Università di Istanbul ed autorevole editorialista di Sabah, 500 mila copie vendute. Pingue, imponente, facile al riso, Altan parla placidamente seduto al bar dell’Hotel Marmara mentre risponde a un’intervista in diretta tv. "L’anima della repubblica kemalista è militare. E’ questa l’eredità dell’impero ottomano. Atatürk ha eliminato l’imperatore, conservando la burocrazia. Non per niente lui stesso era un pascià, un generale, e ha fondato la repubblica sull’esercito e sulla burocrazia. Oggi però la Turchia, grazie all’Europa, sta diventando uno Stato liberale, ma la burocrazia resiste al cambiamento. E pure parte dell’esercito". Deve sapere di
cosa parla Altan, che viene da una famiglia di generali ottomani perfettamente integrati nella Repubblica di Atatürk; il padre Cetin è stato un celebre deputato socialista, editorialista di Milliyet, il fratello, Ahmet, è uno scrittore di fama che ha appena pubblicato un saggio, "Igimizdeki bir yer", ("Un
posto nel mio cuore"), che, al prezzo di tre milioni di lire turche (due euro circa), ha venduto in un solo giorno 250 mila copie. Altan ricorda che sono stati i militari, col piccolo colpo di Stato postmoderno del febbraio 1997 a mandare a casa Erbakan e gli islamisti fondamentalisti, bloccando il passaggio
degli studenti delle scuole religiose all’università. "Adesso Erdogan, alla guida di un governo islamico moderato, sta cercando di cambiare le cose. Lui stesso viene da un imam hatip, e ha promesso ai suoi elettori di favorire la parificazione delle scuole religiose. L’assemblea nazionale, dice, è la voce del popolo. E l’esercito non ha diritto di criticare il governo. Ha ragione: in
una democrazia, i militari non hanno diritto di parlare in nome della società politica. Inoltre, gli imam hatip sono scuole di teologia, ma controllate dallo Stato, come lo sono le università. Sostenere, come fanno le Forze armate, che aprire le università agli imam hatip significa introdurre la sharia, mi sembra assurdo".

"Erdogan non può decidere da solo"
Non è affatto d’accordo il costituzionalista Süheyl Batum, presidente della Bahcesehir Universitesi, una delle 14 università private di Istanbul, 2.200 studenti, per una retta di 8.000 dollari l’anno, fondata nel 1995 dal direttore di una "Dersane", scuola di corsi preparatori all’università. Figlio di un avvocato di Istanbul, Batum non è riuscito a passare il concorso generale per studiare diritto, e, non volendo studiare ingegneria, è emigrato alla Sorbona, per poi finire a Galatasaray con un dottorato sull’istituto del referendum. "Ai miei tempi il concorso per entrare all’università era meno duro di quello di oggi: 5.000 posti per 300 mila candidati, mentre ci sono 250 mila posti in corso per 1 milione e 950 mila candidati. E’ assurdo pensare che gli imam hatip
abbiano accesso all’università. Gli imam hatip, prima della riforma del 1998, sfornavano 300 mila imam l’anno. ‘Sono il nostro giardino’ dicevano gli islamisti del partito di Erbakkan. Oggi gli studenti di imam hatip sono 60 mila. Troppi, quando servirebbero solo 2.000 iman. E gli altri che fanno?
Vogliono entrare all’università? Ma per fare cosa, il notaio, il ginecologo, l’architetto? La Turchia è un paese laico, e deve restare tale. Erdogan non può decidere da solo. Il suo partito, è vero, ha la maggioranza assoluta, 367 deputati su 550. Ma l’ha ottenuta col 35 per cento dei voti, grazie al maggioritario secco a turno unico, e una sperrklausel al 10 per cento. La democrazia è pluralismo, non solo volontà della nazione. Le fondazioni religiose che stanno dietro agli imam hatip vogliono vivere in compartimenti stagni, avere istituzioni separate. La Turchia non può cedere al fondamentalismo. E’ stato uno dei primi paesi del mediterraneo a dare il diritto di voto alle donne, sin dal 1934, 14 prima dell’Italia, anche se una conquista rimasta a lungo sulla carta, anche se molte donne votano secondo l’intenzione dei mariti, e solo di recente è stata abrogata la legislazione penale sul delitto d’onore e molto da fare per superare clima di subordinazione e di intimidazione. L’Unione Europa serve a tutto questo, perché ci aiuta a progredire secondo i principi occidentali della repubblica kemalista". Mehemet Altan passa per un revisionista, ma appena gli accenni all’idea dell’esercito
garante della democrazia, sgrana gli occhi da turcomanno e corregge: "Garante
dell’occidentalizzazione, semmai. Il kemalismo, vale a dire l’esercito, voleva modernizzare la società, ma l’ha fatto solo in apparenza. Atatürk pensava che vestirsi e vivere come gli europei volesse dire essere contemporanei. Ma sbagliava, perché bisognava cambiare anche il modo di produzione. I kemalisti non conoscevano l’economia, hanno mantenuto i contadini nelle campagne e sono diventati i nuovi pascià. Oggi però la vera opposizione al kemalismo è l’Europa. Erdogan ne è il catalizzatore. Aderire ai criteri di Copenhagen ci permetterà di andare oltre la liberalizzazione, di diventare finalmente un paese industriale e postindustriale. L’accumulazione di capitale infatti non basta. Pensi un po’, per comprarsi tutte le aziende turche quotate in borsa ci vorrebbero solo 80 miliardi di dollari, vale a dire un quarto del capitale della Dresdern Bank".
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