La situazione politica israeliana
dopo le dichiarazioni di Tommy Lapid
Testata:
Data: 25/05/2004
Pagina: 4
Autore: Paola Caridi - un giornalista
Titolo: Due articoli sulla politica israeliana
Sull'incandescente atmosfera politica israeliana all'indomani delle dichiarazioni del leader dello Shinui, Tommy Lapid, pubblichiamo due articoli tratti dal Riformista e dal Foglio.

Dal Riformista, a pagina IV, a firma di Paola Caridi: "Il fantasma di Rafah aleggia a Palazzo e agita Sharon"

C’è un fantasma che continua ad aleggiare tra i palazzi del potere di Gerusalemme, impegnati a trovare un accordo sul disimpegno da Gaza. Ed è Rafah. L’Operazione Arcobaleno, insomma,dall’uccisione per errore di bambini e adulti per una cannonata (involontaria) dell’esercito israeliano, alla demolizione delle case. Il fantasma di Rafah, dunque,non accenna a scomparire. Anche se
l’esercito ha lasciato, almeno per il momento, il sobborgo di Tel el Sultan, rimasto chiuso per una settimana. Non solo perché continua la discussione sui diritti umani, con l’autorevole (e critica) presa di posizione resa del presidente della Corte suprema Aharon Barak,che ieri ha sottolineato come nella guerra al terrorismo sia comunque «necessario assicurare che i diritti dell’individuo non vengono compromessi». Ma soprattutto perché la questione dei diritti umani ha provocato uno scossone all’interno della coalizione di governo. Protagonista, anche stavolta, il ministro della Giustizia Tommy Lapid.
Prima, con il forte richiamo emotivo a sua nonna, una delle vittime dell’Olocausto. Gliel’aveva ricordata un’anziana che cercava le sue medicine tra le macerie della sua casa a Rafah. Ma questo non gli ha risparmiato le
critiche provenienti soprattutto da destra, per aver in qualche modo appaiato i nazisti con quello che è successo al confine con l’Egitto. Non pago, Lapid ha ieri rincarato la dose, minacciando il ritiro dalla coalizione dei membri del
suo partito, il laico Shinui, se continueranno le demolizioni delle case nella Striscia. L’ennesima complicazione, insomma, per il governo Sharon, che assieme
alle reiterate condanne provenienti dalla comunità internazionale deve subire anche i contraccolpi della bocciatura del piano di disimpegno da Gaza. Per ovviare alla quale, il premier sta conducendo una serie di faccia a faccia con i ministri "dissidenti" del suo gabinetto e del suo stesso partito. Sono quei likudisti che sin dall’inizio hanno espresso il proprio disagio per il trasferimento delle colonie da Gaza (in tutto, 7500 abitanti concentrati lungo la costa di Gaza, e attorniati da un milione e 200mila palestinesi), nicchiando il proprio appoggio pubblico. Il tentativo di Sharon è quello di avere dalla sua almeno uno dei ministri. Il capo della pubblica istruzione Limor Livnat, o il capo della diplomazia Silvan Shalom. Oppure, operazione ancor più difficile, il capo delle finanze Benyamin Netanyahu. Convincere uno dei tre consentirebbe
al premier di avere una maggioranza, esigua ma pur sempre maggioranza, per far
approvare il piano dal suo governo. Come riuscire, però, ad aggirare il nyet
uscito dal referendum del 2 maggio tra gli iscritti del Likud? Si tratterebbe di prevedere il piano completo di disimpegno, facendo però formalmente approvare solo la prima parte. Che prevede la chiusura di appena tre insediamenti, quelli di Morag, Netzarim e Kfar Darom. Basta guardare una carta geografica per capire che questo sarebbe un obiettivo minimo, visto che le tre colonie sono come delle piccole macchie di leopardo: le più piccole, le più isolate, le più indifendibili. Sharon vorrebbe riuscire a far approvare la prima fase del piano tra giovedì e domenica. Poi, per il resto, si vedrà. La stampa israeliana parla di un piano in quattro tempi. Dopo il trasferimento delle prime tre piccole colonie, altre quattro in Cisgiordania. Seguite dalla chiusura del grande insediamento di Gush Katif e, infine, dai tre piccoli centri
vicino al confine nord. Resta, però, da vedere come andrà la formalizzazione della prima fase per capire le chance delle altre tre. Intanto, a procedere parallelamente alle trattative nei palazzi di Gerusalemme, c’è la discussione all’interno del fronte palestinese. In cui l’Egitto tenta, ancora una volta, la mediazione, visto che dovrebbe fungere da patron di una possibile Gaza "disimpegnata". Per l’ennesima volta, il potente capo dei servizi di sicurezza del Cairo, Omar Suleiman, è arrivato ieri a Ramallah per chiedere ad Arafat di non ostacolare il piano Sharon. E oggi dovrebbe vedere proprio il premier israeliano sia per capirne di più, sia per chiedere spiegazioni su
quello che è successo a Rafah. Resta il mistero, invece, sulla notizia fatta
uscire ieri dalla radio israeliana, riguardo possibili contatti in corso con
Mohammed Dahlan, ex responsabile della sicurezza del governo di Abu Abbas, sulla gestione del dopo-disimpegno a Gaza. Se fossero veri i contatti con l’unico uomo forte rimasto a Gaza dopo la morte di Yassin e di Rantisi, rendere pubblici servirebbe solo a bruciarli. O almeno a renderli più complicati. Complicazioni che cozzerebbero, allora, con la vulgata che lo descrive come l’unico interlocutore considerato credibile da Israele e dagli Stati Uniti. Dahlan, per ora, è tornato nei Territori solo per un breve periodo. Dovrebbe
ritornare in Gran Bretagna, dove si trova - si dice - per migliorare il suo inglese.
A pagina 3 del Foglio: "Sharon può cambiare piano, maggioranza e perfino partito"
Milano. La prossima settimana il primo ministro d’Israele, Ariel Sharon, proporrà al governo di approvare un primo progetto di ritiro dai Territori. Quale sarà il piano e con quale maggioranza Sharon pensi di approvarlo non è ancora chiaro. Intanto s’intensificano i colloqui con i ministri. Il referendum (perso da Sharon) ha mostrato il mal di pancia del Likud, il partito del premier. Forti di questo malumore interno, Benjamin Netanyahu e Silvan Shalom, rispettivamente ministro delle Finanze e degli Esteri, annunciano di essere
disponibili a sostenere solo la prima fase del piano, l’evacuazione di tre insediamenti da Gaza, e non altro. "Almeno per ora", si augurano nell’entourage del primo ministro. "I problemi di Sharon vengono dal Likud", dice al Foglio Ilan Shalgi, deputato del partito laico e liberal Shinui, eppure anche da lì
Sharon raccoglie dure critiche alle operazioni ni militari a Rafah. Per allargare la fascia di sicurezza con l’Egitto "è assurdo anche solo pensare di abbattere duemila case", ha detto Tommy Lapid, leader di Shinui e ministro della
Giustizia. Un imbarazzato Lapid ha dovuto ritrattare le dichiarazioni di questi giorni. Israele non ha accettato il paragone tra la nonna, deportata ad Auschwitz, e la foto di un’anziana palestinese. Lapid ha spiegato che il confronto era dovuto all’età della signora palestinese e che non intedeva in alcun modo paragonare i soldati israeliani ai nazisti. Le gaffe non fermano Lapid, che annuncia la possibilità di uscire dal governo se non dovesse finire
l’operazione militare Arcobaleno a Rafah. "Si tratta di pochi giorni ancora, non certo di settimane", ha risposto il ministro della Difesa Shaul Mofaz. Lo scrittore Sami Michael ci dice che in realtà Shinui "difficilmente lascerà il governo, ma le parole di Lapid hanno senso, parlano al suo elettorato e al profondo del paese". Alla possibilità che Shinui esca dalla maggioranza non crede nemmeno Colette Avital, deputato laburista alla Knesset, che al Foglio spiega: "Altrimenti entrerebbero in maggioranza i partiti religiosi". Shinui sta anche facendo la voce grossa per non finire cannibalizzato dall’arrivo dei laburisti al governo. Un’ipotesi caldeggiata da Shimon Peres, ma che incontra resistenze nel Labour. Persino la Avital, per anni fedelissima dell’anziano premio Nobel, è contraria. "E non sono la sola. Distruggeremmo il lavoro fatto in questi anni per costruire un’alternativa credibile". C’è anche chi prospetta (e chi teme) uno scenario, per ora da "fantapolitica": dalla spaccatura sul ritiro del Likud e dalla crisi interna ai laburisti potrebbe nascere una nuova formazione di centro, guidata da Sharon. "Ma al di là di ipotesi improbabili, resta il fatto che il premier ha più varianti tra cui scegliere e non una sola maggioranza possibile. Lo sa anche il mio amico Lapid. E se si dovesse arrivare allo stallo si può sempre tornare a elezioni", dice al Foglio Meir Ouziel, scrittore e giornalista. Alcune certezze restano. Le pressioni internazionali
dopo le operazioni militari, che secondo fonti palestinesi hanno provocato la
morte di 40 persone e mille senza tetto, sono forti. Il terrorismo non si ferma: ieri le forze israeliane hanno impedito un altro attentato nella capitale. Secondo Gerusalemme, i servizi di sicurezza palestinesi avrebbero armato nei giorni scorsi i terroristi di Hamas e Jihad. Vengono fatti nomi di responsabili, ma sarebbe escluso il coinvolgimento di Mohammed Dahlan, appena tornato da un viaggio studio in Inghilterra. Coi suoi tremila uomini, Dahlan starebbe contribuendo alla lotta al terrorismo.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta di inviare il proprio parere alla redazione de Il Riformista e del Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.



cipiace@ilriformista.it; lettere@ilfoglio.it