Onu, ritiro e strategia americana
alcune considerazioni di Michael Ledeen
Testata: Il Giornale
Data: 24/05/2004
Pagina: 5
Autore: Mario Secchi
Titolo: La miglior strategia Usa? La vittoria
Sul Giornale di oggi viene pubblicata un'intervista a Michael Ledeen dell'American Enterprise Institute, il quale spiega chiaramente come mai il ritiro delle truppe dall'Iraq sarebbe un errore madornale nella lunga guerra al terrorismo. Da leggere.
L’American Entreprise Institute è il pensatoio della politica neoconservatrice americana. Il think tank di Washington, fondato nel 1943, è uno dei punti di riferimento per la nuova politica estera dell’amministrazione Bush. L’Aei ha spesso ispirato le mosse della Casa Bianca, i suoi docenti hanno lavorato al fianco di Nixon, Reagan, Bush padre e figlio. Michael Ledeen, esperto di relazioni internazionali, commentatore per National Review, Washington Times e Wall Street Journal, è uno dei professori di Aei che conosce bene l’Italia. Il suo punto di vista è interessante per capire qual è oggi il dibattito tra i neocon (non sono tutti d’accordo sul "che fare?") sulla guerra al terrorismo, ma cominciamo l’intervista dall’Italia e la missione in Irak.

Professor Ledeen, il segretario dei Ds, Piero Fassino, sostiene il ritiro delle truppe dall’Irak. È un atteggiamento coerente per un partito che si dichiara riformista?
«Non so se sia "riformista" o no, ma credo sia sbagliato. Noi tutti siamo sotto l’attacco dei terroristi. L’unica vera scelta che abbiamo è se andiamo a perdere o a vincere questa guerra, e se ci ritiriamo dal Medio Oriente dovremo combattere le prossime battaglie sul nostro territorio».

Secondo lei si sarebbero comportati così, di fronte a un pericolo come quello del terrorismo internazionale, i vecchi esponenti del partito comunista?
«Chi lo sa? Certo durante il caso Moro, il Pci era abbastanza duro verso il terrorismo, e quello era un terrorismo in gran parte molto vicino alle dottrine dei comunisti».

Il leader del Triciclo, Romano Prodi, nonché presidente della Commissione Ue, dice che dopo le torture non si può più restare in Irak. Davvero lo scandalo di Abu Ghraib è tale da mettere in discussione le linee di politica estera di un Paese come l’Italia?
«E’ un argomento ridicolo. Se fosse vero, sarebbe l’America a doversi ritirare, perché gli abusi sono stati compiuti da americani, non da italiani. In più, non c’è mai stata una guerra in cui atti disgustosi e criminali non fossero compiuti, e l’importante per i Paesi civili è punire i colpevoli e continuare a combattere. Ripeto, se ci ritiriamo dal Medio Oriente, l’epicentro della guerra si sposterà in Occidente. Prodi crede che sarebbe un miglioramento?».

La principale colpa di Bush pare sia quella di non aver licenziato Rumsfeld. Che ne pensa? Davvero bisognava mandare a casa il ministro della Difesa?
«Per quale motivo? Quale sarebbe la sua colpa?».

Come mai gli Stati Uniti hanno cambiato idea su Chalabi? Possibile che un alleato diventi improvvisamente un nemico?
«Il dipartimento di Stato e la Cia hanno sempre considerato Chalabi un indesiderabile, se non un nemico. Lo hanno sempre criticato, gli hanno rifiutato i soldi versati dal Congresso. Dunque niente di nuovo. Bremer viene dal dipartimento di Stato, vedeva male Chalabi, e, assieme alla Cia, ha montato quest’operazione assurda».

Prodi ha espresso una linea europea nettamente contraria agli Stati Uniti. Quali conseguenze avrà l’azione del presidente della Commissione Ue nei rapporti tra Stati Uniti e America?
«Certamente i suoi rapporti personali col governo americano saranno peggiorati. Ma i rapporti diplomatici tra Stati Uniti e Paesi europei rimangono tra Washington e le singole capitali del Vecchio Continente. Dunque, i rapporti tra Roma e Washington sono eccellenti, mentre quelli tra Washington e Parigi sono pessimi».

Silvio Berlusconi ha avuto i ringraziamenti di Kofi Annan per il contributo in Irak. Ma il centrosinistra sostiene che l’Onu non avrà più un ruolo e non conta niente. Non le pare una critica pericolosa che indebolisce le istituzioni internazionali?
«Purtroppo l’Onu ha un ruolo in Irak. Io sarei più contento se l’Onu fosse esclusa, e la stragrande maggioranza degli iracheni è d’accordo. L’Onu ha rubato decine di miliardi di dollari agli iracheni attraverso lo scandalo "Oil for food" in cui è coinvolto il figlio dello stesso Kofi Annan; l’Onu era sempre amica di Saddam, sulla pelle degli iracheni; e l’Onu si è rivelata poco coraggiosa quando è scappata dopo il primo attacco contro il suo personale a Bagdad. E l’uomo dell’Onu, Brahimi, è visto in Irak come agente della Lega Araba (che era grande amica di Saddam), e come l’uomo che ha consegnato il popolo libanese alla dittatura siriana».

Gli italiani guardano preoccupati alla guerra, ma secondo alcuni non avrebbero afferrato il pericolo terrorismo. È davvero così?
«Credo invece che abbiano capito il terrorismo, che si attendano un attacco terroristico sul territorio italiano e siano pronti a combatterlo».

Quali Stati oggi appoggiano il terrorismo? E perché l’amministrazione Bush sembra aver frenato la sua azione di riequlibrio politico nel Medio Oriente? Non esistono più gli Stati canaglia?
«Nel mio libro "La guerra contro i padroni del terrore" ho indicato i quattro Paesi chiave del terrorismo: Iran, Irak, Siria e Arabia Saudita. Questi sono i più importanti sponsor del terrorismo islamico. L’amministrazione Bush, a mio parere, ha sbagliato nel credere che si possa combattere il terrorismo Paese per Paese, uno per volta. Noi siamo in una guerra regionale, e non avremo mai pace in Irak finché gli ayatollah stanno al potere a Teheran, e i Baathisti comandano a Damasco».

L’American Entreprise Institute è il think tank dei neoconservatori. L’opposizione in Italia vi giudica come un manipolo di professori esaltati dalla guerra. C’è qualcosa di vero in questa critica?
«Questo "voi" non esiste in realtà. Il nostro istituto non ha una linea politica, ci sono molti disaccordi tra noi. ma siccome siamo tutti contro le tirannie, e vogliamo una politica estera americana che appoggi la libertà in tutto il mondo, siamo spesso accusati di essere dei guerrafondai, il che non è vero. Io, per esempio, ho sempre detto che dobbiamo appoggiare –politicamente, non militarmente- i movimenti rivoluzionari per la libertà in Iran, Siria, Irak e Arabia Saudita. E trovo paradossale essere criticato dalla sinistra, americana ed europea. Vuol dire che la sinistra ha tradito una delle sue tradizioni più vecchie e più giuste: lottare per la libertà in tutto il mondo».

Qual è la "exit strategy" dall’Irak?
«La vittoria».

Quali sono gli errori commessi dall’amministrazione Bush e che cosa deve cambiare davvero?
«Ho già detto: dobbiamo appoggiare la rivoluzione democratica in tutto il Medio Oriente, e dobbiamo dare più potere agli iracheni».
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