Chi è in realtà Marwan Barghouti, condannato da Israele a cinque ergastoli
ce lo spiega Fiamma Nirenstein
Testata: La Stampa
Data: 21/05/2004
Pagina: 9
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: Prevista per l'erede di Arafat la condanna a cinque ergastoli
Molti giornali parlano oggi della futura condanna di Marwan Barghouti all'ergastolo per essere stato l'organizzatore di innumerevoli attentati ai danni di civili israeliani. A parte il corretto articolo di Fiamma Nirenstein sulla Stampa, che di seguito pubblichiamo, molti giornalisti tendono a dimenticare le ragioni della condanna soffermandosi più che altro sulla figura di Barghouti. Designato come l'erede di Arafat, Barghouti viene dipinto come un moderato, ostile a Hamas e pronto al dialogo con gli israeliani, un leader amato dalla folla che ha fatto della sua carcerazione durante la prima intifada un simbolo alla Nelson Mandela. Così come Arafat nell'immagine collettiva del popolo dei pacifinti è un eroe totale nonostante le sue azioni terroriste, allo stesso modo Barghouti diventa il futuro leader senza macchia dei palestinesi. Ci stupisce però che a sostenere questa tesi siano anche quotidiani, di solito equilibrati come il Riformista. Per capire chi è Barghouti consigliamo caldamente di leggere l'articolo di Fiamma Nirenstein.
Giunge nel mezzo dell’infuriare della battaglia di Gaza, da Tel Aviv, la condanna di Marwan Barghouti (la sentenza è prevista per giugno e dovrebbe contenere cinque ergastoli) per tre attentati terroristi con cinque vittime, e somiglia a una battaglia essa stessa, come tutto in questa terra. Nessuno è contento: certo, in carcere, non il 44enne leader dei Tanzim, e quindi anche delle Brigate di Al Aqsa loro emanazione armata, che ha sempre dichiarato l’incompetenza di un tribunale penale a giudicare sulla sua leadership politica «contro l’occupazione», perchè, come ha detto ieri «finchè le madri palestinesi piangeranno, piangeranno anche quelle ebree». Non è contenta la procura generale, che pure si deve inchinare al consueto rigore dei giudici, che di fronte all’accusa di 36 attentati terroristi, sommersi da 20 volumi di documenti che si è accumulata sui loro tavoli dall’aprile 2002 quando Barghouti fu arrestato, sebbene abbiano trovato prove penali precise e definitive solo per un’esigua minuranza delle accuse. Non sono per niente contenti i palestinesi, che vedono in Barghouti un leader eroico, un combattente della libertà che gli israeliani stanno semplicemente perseguitando.
Mentre una manifestazione cui partecipavano anche israeliani del fronte pacifista si svolgeva fuori del tribunale e Barghouti alzava le mani ammanettate facendo il segno della vittoria, il deputato arabo israeliano Mohammad Barakeh lo salutava gridando:«Marwan, quelli che oggi ti giudicano alla fine negozieranno con te. Tu non starai in prigione a lungo come Nelson Mandela».
Molto più diretto il dissenso delle Brigate di Al Aqsa nata dai tanzim e più nota per rappresentare la fazione armata del Fatah di Yasser Arafat, che ha annunciato che il gruppo farà di tutto, come priorità centrale, per rapire soldati israeliani in modo da scambiarli con Barghouti. Certo, per niente felici i genitori, i parenti gli amici delle vittime dei 33 attentati terroristi che Barguti era accusato di avere ordinato.
Un’altra manifestazione marciava con i ritratti degli uccisi. Un dissenso particolare l’ha espresso il ministro Tommy Lapid, dello Shinui, che in questi giorni si batte per convincere Sharon a uscire subito da Gaza: «Dopo questo verdetto - ha detto - dobbiamo considerare l’idea di mettere Arafat sotto processo». La sua osservazione nasce dal fatto che Barghouti, come dice anche il verdetto erano «basati su istruzioni» di Arafat, che tuttavia non dava ordini ma luci verdi. Barghouti è stato accusato giusto in base a documenti che provano come esso fosse l’anello di passaggio dall’Autonomia Palestinese alla lotta armata e terrorista. Adesso probabilmente il seguito della sentenza sarà una serie di ricorsi.
Eppure tutti pensano in Israele che questo processo non chiude qui la partita: questo 44enne, di fatto, nel gruppo della leadership attuale dell’Autorità palestinese possiede un insieme di caratteristiche adatte a sostituire Arafat. Barghouti è un piccolo popolano laico e iconoclasta, adorato dalla popolazione e uscito dalla costola di Arafat.
Il suo rapporto col Raiss è sempre stato di reverente arroganza, fin dai primi momenti in cui Arafat gli ha dato il mandato dal settembre del 2000 di costruire un movimento armato di piazza, e contemporaneamente una rete sotterranea. Barghouti era un leader nato durante la prima Intifada e cresciuto in assenza di Arafat sulla sua testa: quando il capo è tornato da Tunisi gli si è donato, ma ha seguitato sempre a costruirsi, appunto, come Tanzim, base ruspante, gruppi di contorno a sfondo violento.
Nell’aprile 2002 l’esercito, in seguito al terribile attentato di Natania ha lanciato l’operazione Muro di Difesa e ha trovato negli uffici del fatah e dei Tanzim una quantità di documenti che provavano il passaggio di danaro e di ordini su misura per chi sa intendere da Arafat a Marwan, e poi avanti fino ai livelli esecutivi della catena del terrore. Stipendi, cinture di tritolo, denaro per l’organizzazione, ogni tipo di supporto, tutto era annotato in lettere che passavano dagli uffici con cui aveva a che fare il fatah e i tanzim di Barghouti. Bargouti, per altro era stato uno degli uomini dell’accordo di Oslo, un personaggio in stretto contatto con la sinistra israeliana che parla un buon ebraico e che non ha alcuna simpatia per Hamas.
Dal carcere cercò di mediare la famosa «hudna», la tregua fra Fatah e Hamas. Dopo il verdetto che lo trova direttamente colpevole dell’assassinio di un attacco nel gennaio 2002 in cui fu uccisa una donna, Yoela Cohen, che aveva l’unica colpa di fare benzina a una pompa scelta come obiettivo; di un monaco greco nel giugno 2001, e di tre ragazzi che cenavano al «Seafood market» un ristorante di Tel Aviv, nel marzo 2002, Barguti ha detto: «Sono contro l’uccisione di innocenti, ma combatterò fino all'ultimo contro l’occupazione». In realtà, è evidente a tutti, come hanno detto i giudici, che Barghouti è stato un personaggio fondamentale nel regime di terrore, ma anche un bizzarro pragmatico, avverso alla mitologia di Arafat. «L’accusato " - dice il verdetto - manteneva contatti con gli operativi attraverso associati a lui vicini. Era responsabile di provvedere unità sul campo con denaro e armi». Un terrorista. Ma per lui non è detta l’ultima parola.
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