L'internazionale del terrore in casa nostra
analisi e commenti
Testata:
Data: 11/05/2004
Pagina: 1
Autore: Andrea Morigi - Renato Farina - Magdi Allam - Marco Imarisio
Titolo: Il terrorismo in Italia
Dopo gli arresti di cinque aspiranti kamikaze a Firenze ci si interroga su quanto il fenomeno sia diffuso nelle moschee italiane. Lo fa accuratamente LIBERO che, oltre a fornire un preciso quadro della situazione con gli articoli di Renato Farina e Andrea Morigi, ne delinea un'ipotesi di soluzione con un testo di Magdi Allam.
Sul CORRIERE della SERA Marco Imarisio analizza i documenti trovati dagli inquirenti, che danno un quadro preciso sull'indottrinamento degli aspiranti uomini bomba.
Di seguito pubblichiamo gli articoli. Da LIBERO:
1) "Come vincere Osama con l'Islam" di Renato Farina, pubblicato in prima pagina

C' è l'oleodotto in fiamme nel sud dell'Iraq. E c'è la cellula di Ansar al- Islam (insomma Al Qaeda) scoperta a Firenze: erano kamikaze, pronti a far saltare in aria un centro commerciale da noi, o un'ambasciata in Iraq, è uguale. I due episodi dicono la stessa cosa: guerra. Che fare? C'è un libretto verde. Sono 83 pagine. Serve. È una buona chiave per comprendere che cosa sta accadendo nel mondo. Anzi, dir così è poco. Magdi Allam - l'autore - ha questo dono: costringe a capire che cosa sta accadendo non tanto all'universo in generale, ma a noi, proprio a noi. Non racconta il meteorite nel cielo, ma come e perché se non ci diamo da fare schiaccerà le nostre famiglie. (...) ( segue a pagina 3) (...) Descrive la strategia del terrore che proprio adesso agisce a un passo da noi. Individua le armi di distruzione di massa e la loro formula chimica: sono i kamikaze, i "martiri", esseri svuotati di ogni umanità da burattinai, «miliardari riciclati». La cosa che ci rifiutiamo stoltamente di capire è questa: gli arsenali dei terroristi si sono spostati da noi, abitano qui, il loro «Cavallo di Troia ha sfondato le mura dell'Occidente». Il titolo è esplicito: "Kamikaze made in Europe". Ed è perfetta illusione individuarli in arabi contro cui fare fiaccolate. Agire così vuol dire aver vista corta, e regalare proseliti ad Al Qaeda. Ormai spesso i kamikaze, e soprattutto chi li educa, hanno «gli occhi azzurri». I capi terroristi sono sempre più spesso europei convertiti all'Islam di Osama. Magdi Allam spiega il presente, ma prova anche a rispondere alla domanda che fa da sottotitolo: «Riuscirà l'Occidente a sconfiggere i terroristi islamici?». Magdi, severissimo con i pacifisti e con l'Europa che vuole il proprio suicidio, è persino ottimista: una via c'è per vincere contro l'Islam terroristico. La prima nostra arma è aprire gli occhi e vedere. Guardare. La seconda è l'intelligenza. Che differenza c'è con Oriana Fallaci? Lasciando perdere la qualità letteraria (ad Oriana non si può tener dietro) e la certezza della nostra sconfitta, ce n'è un'altra decisiva: la religione. La Fallaci è una "atea cristiana". Magdi Allam è un musulmano di cittadinanza italiana (sono 30mila) e di origine egiziana. «Sono pienamente musulmano», dice. Non pratica. Ma sapete quanti sono i musulmani praticanti su un milione di residenti in Italia? Il cinque per cento. Dunque la sua è una buona voce. Certo più rappresentativa degli imam che vediamo in tivù e che pretendono l'esclusività del rapporto con lo Stato. Per Allam l'Occidente può sfangarsela. Deve però rendersi conto che i primi nemici dello sceicco bin Laden sono i musulmani moderati. Magdi non affronta la questione se ci sia un Islam buono e uno cattivo. Spiega che però ci sono le persone. Solo alcune sono finite tra le zampe di ideologi miliardari per cui il terrore è un investimento per il potere. Costoro hanno succhiato l'anima a parecchi giovani trasformandoli «in robot della morte». Per Allam occorre sapersi difendere persino crudelmente da questi disgraziati automi. Ma soprattutto strappare l'Islam alle grinfie di quell'impostore e dei suoi sodali. Insomma, andare con le vie spicce con i teorici fondamentalisti. E ritrovare la fede nei nostri ideali, persino un po' patriottici. Questo il filo d'oro del libro che è un sentiero per entrare nell'intrico di questa guerra. Sintetizziamo in 10 tesi, frutto anche di una conversazione con l'autore, sapendo che alcune di esse parranno ovvie ai lettori di Libero. Altre però sono una sfida a ciascuno. 1) La guerra di Al Qaeda non è reattiva. Non nasce dai torti dell'Occidente. È partita prima dell'invasione in Iraq. Prima delle Torri gemelle. «È una guerra aggressiva, frontale, totale». È un'illusione credere di poterne star fuor i. 2) Osama bin Laden, saudita, petroliere, è «la guida suprema che dà la linea». Ha investito 300 milioni di dollari «per privatizzare il terrorismo» che era monopolio degli Stati canaglia. Da bravo imprenditore vuole i risultati, muta le strategie, le joint venture. 3) Ha spostato in Europa il cuore di Al Qaeda. I kamikaze li recluta tra ragazzi in crisi di identità che strappa dall'anonimato. 4) Saddam Hussein era un suo avversario. Nel 2002 Osama ha stabilito la «non incompatibilità» operativa con Saddam e con i «socialisti». Da qui la rete di rapporti con l'Eta e i campi antimperialisti e la cosiddetta Resistenza irachena. Al suo fianco c'è Hamas, ma anche Arafat. 5) L'attentato di Madrid rappresenta «un salto di qualità». Osama si è accorto che il grande sponsor del terrorismo è l'Occidente. È più facile per lui conquistare il nostro mondo che quello islamico, dove ci sono Paesi che gli si oppongono duramente. 6) L'Europa è «stupida e pavida». Non ha capito che con le nostre leggi, specie quella italiana, i kamikaze non sono contrastabili. Fino a un attimo prima di farsi saltare non si possono arrestare, ed è già troppo tardi. Nessuna tortura, è ovvio. Però questo nuovo tipo di persone- armi («i robot della morte») impongono di non separare più giuridicamente l'espressione di un'idea terroristica dalla sua realizzazione. 7) La grandissima maggioranza dei musulmani italiani sono moderati. Identificarli come nemici è un gravissimo errore di guerra, oltre che umano. 8) La gran parte degli iracheni sono ben felici della caduta di Saddam. Al Sadr rappresenta una piccola minoranza di sciiti. L'errore americano è culturale. Al di là della condanna implacabile della tortura, si tratta di rispettare gerarchie e cultura locale. Rumsfeld non lo ha capito. Bush farebbe bene a cacciarlo. 9) La guerra è stata legittima, la presenza di eserciti è legale. Ci vogliono più truppe. Meglio internazionalizzarle, il più possibile. Occorre lavorare con gli iracheni. 10) Se ce ne andiamo dall'Iraq sarà guerra civile. Sono ormai 30 gli eserciti che dipendono da tribù o capi vari (non bisognava licenziare 400mila soldati locali). A nessun costo mollare. A nessun costo lasciare sola l'America. Poi verrebbero a prenderci. Conviene?
2) "Gli imam italiani agli ordini di Al Qaeda" di Andrea Morigi, pagina 2
MILANO - Cremona, Gallarate, Milano, Parma, Firenze, provincia di Bagdad. È almeno dal maggio del 2003 che gli inquirenti hanno individuato in Ansar al Islam il legame forte tra le moschee italiane ultrafondamentaliste e i terroristi musulmani del Kurdistan iracheno. (...) ( segue a pagina 2) (...) Mahamri Rachid, l'imam marocchino della moschea di Sorgane a Firenze, finito in carcere domenica insieme ad altri quattro tunisini durante l'operazione "Shahid", era nientemeno che il successore designato del marocchino Mohamed Rafik, anche lui attualmente in carcere dallo scorso 18 ottobre, su richiesta della magistratura di Rabat, per gli attentati di Casablanca del 16 maggio 2003. I contatti di quest'ultimo con la Germania passavano per Parma e Cremona, dove reclutava combattenti da mandare a morire in Iraq. E nel frattempo raccoglieva la zakat, la tassa per il culto islamico, per finanziare le attività del gruppo internazionale. Uno dei crocevia del traffico di uomini e denaro era Mourad Trabelsi, imam di Cremona, indagato dalle Procure di Brescia e di Milano con l'accusa di aver operato con esponenti della cellula islamica di Milano per compiere attentati terroristici in Iraq ma non solo. Dalle intercettazioni telefoniche svolte durante le sue conversazioni con Rafik, il 28 febbraio del 2003, gli inquirenti riescono a ricostruire il "giro" dei finanziamenti inviati ad Abu Alì, già arrivato in Kurdistan, che il 18 marzo ne parla con lo stesso Trabelsi (che intanto gli ha mandato 1.450 euro) e successivamente il 5 aprile chiede al tunisino Mohamed Habib Habbachi di sollecitare altri fondi presso Abu Imad, imam della moschea di viale Jenner a Milano. Collegamenti che non indicano esclusivamente un'attività di volontariato criminale, ma portano direttamente ad al Qaeda, che ha voluto il gruppo «per riorganizzare in maniera funzionale i movimenti più sparpagliati che c'erano nel nord del Kurdistan», spiega a Libero il professor Marco Lombardi, docente di sociologia delle Crisi all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Rientrato da qualche mese dal Kurdi- stan, dove ha intervistato alcuni terroristi detenuti nel carcere di Sulaimani, Lombardi sottolinea il ruolo dei leader europei di Ansar al Islam, come Najmuddin Faraj Ahmad, detto il mullah Krekar, più volte incarcerato, ma tuttora in libertà in Norvegia. E altri due elementi fanno pensare a una linea diretta tra l'Italia e il Kurdistan: innanzitutto «i kurdi hanno sempre avuto rapporti con l'Occidente», ma allo stesso tempo «hanno sempre identificato come componente forte di Ansar al Islam non solo i kurdi, ma tutti gli arabi "afghani", tra i quali si trovano algerini, yemeniti, sauditi, marocchini, tunisini, siriani. Tutti potenzialmente in contatto con la nostra immigrazione». A confermarlo, sono proprio i colloqui intrattenuti da Lombardi con i militanti, come Abu Assi, ventottenne curdo di Erbil, l'unico sopravvissuto del commando che nel febbraio 2002 ha compiuto l'attentato contro il primo ministro curdo Barham Salih («perché è un infedele e governa un'area infedele»). Si definisce «un mujaid della Jihad» e ammette che Ansar Al Islam e Al Qaeda «sono due organizzazioni che collaborano e hanno il medesimo programma». La struttura gerarchica, secondo la ricostruzione del terrorista che nel 2000 ne è stato per sua stessa ammissione «uno dei fondatori» è composta da «un emiro, un vice e venti membri di un Consiglio. Dietro di loro ci sono sette basi con ognuna cento persone». L'anello di collegamento «era un gruppo di arabi venuto qui da noi. Dopo di ciò alcuni kurdi sono andati in Afghanistan a seguire l'addestramento. Sia loro che altri gruppi di arabi sono poi tornati qui da noi». Dietro Ansar al Islam, emerge sempre più nitida la figura del giordano Abu Mussab al Zarkawi, alias Sheikh Fedel Nazzel Khalayleh. Per Lombardi «lo si può reputare tra i grandi "internazionalisti" del terrore islamico». Un'occhiata al curriculum del luogotenente di bin Laden lo conferma: «Ha frequentato ampiamente l'Europa e oggi circola tra Iran e Iraq, così come faceva ai suoi tempi il mullah Krekar». Questa però è un'altra fase dell'attacco portato all'Occidente. «La logica di al Zarqawi, che è stato per anni nelle gole del Pankissi in Cecenia a fare formazione ai terroristi del luogo, è quella fortemente internazionalista. Quindi sicuramente dietro di lui c'è un'internazionale di reclutamento e logistica che ha le sue basi in Europa». Ma è comunque nel nostro Paese che si sperimenta la densità maggiore di cellule, dormienti o no, che fanno capo all'internazionale del terrore. Ci sono radici storiche: «L'Italia è stata un Paese logistico per antonomasia, che ha sempre fornito documenti, se non proprio ospitalità, ed è certamente una base di reclutamento». Un destino condiviso anche dall'Inghilterra, secondo l'esperto italiano: «In queste ultime settimane anche gli inglesi hanno iniziato a prendere posizione sui diversi imam delle periferie londinesi, che apertamente nei loro sermoni fanno reclutamento per l'Iraq. E tutto questo converge nella lettura del fenomeno a indicare una regia di Ansar al Islam». Una joint-venture, dunque, chiara sin dalla sua costituzione, che lo rende il «nuovo cliché internazionale di al Qaeda». Se gli specialisti hanno ormai radiografato il fenomeno, quel che c'è ancora da capire è se si adotteranno misure efficaci per contrastare il fenomeno. L'ipotesi migliore secondo Lombardi è «che la nostra magistratura arrivi a una dichiarazione formale di Ansar al Islam come movimento terrorista». Altrimenti, conclude, «abbiamo le armi spuntate». Del resto, a parte l'espulsione dell'imam di Carmagnola Abdulqadir Fall Mamour, spedito nel natìo Senegal lo scorso 17 novembre su provvedimento del ministro dell'Interno Beppe Pisanu insieme a pochi altri, il codice penale e la magistratura non sono certo considerati il nemico più temibile dal terrorismo islamico.
3) "O la riscossa o il suicidio dell'Occidente" di Magdi Allam, pagina 3
Pubblichiamo un brano del libro di Magdi Allam "Kamikaze made in Europe" sui legami e gli errori che hanno favorito lo sviluppo del terrorismo islamico in seno all'Occidente Oggi basta leggere i proclami di Al Qaeda e della sedicente Resistenza irachena per comprendere la loro percezione strumentale del pacifismo. Seguono le orme di Saddam. Per fare la pace non è sufficiente che lo voglia l'Occidente. Che piaccia o meno, c'è una guerra in atto del terrorismo islamico globalizzato. Che non ha alcuna intenzione di fermarsi. Che ha individuato nell'Iraq il fronte di prima linea della sua Guerra santa contro tutti i regimi arabi e musulmani, ma intende poi scagliarsi contro il resto del mondo. Che non conosce e disprezza la logica del compromesso. Che rifiuta il principio della pacifica convivenza con chi non è a sua immagine e somiglianza, con chi non si sottomette ciecamente alla sua volontà. Questa guerra del terrore è una realtà, volenti o nolenti. Una guerra che l'Occidente subisce, limitandosi a reagire quando proprio è costretto. Ma è evidente che è una guerra che potrà essere vinta soltanto assumendo una strategia in grado di sconfiggere i burattinai del terrore e di prosciugare il terreno di coltura dove crescono i burattini del terrore. Ci sono due livelli da tenere presenti. Due pericoli che vanno affrontati diversamente. Contro i burattinai del terrore, i miliardari che strumentalizzano le vite altrui per conquistare il potere, serve la massima fermezza. Contro i burattini del terrore, i giovani disperati in crisi d'identità che si prestano a fungere da carne da cannone nella Guerra santa contro l'Occidente, ci deve essere comprensione e disponibilità. Il primo passo è la riconquista delle moschee dell'Occidente. Bisogna sottrarle al monopolio e all'egemonia dei predicatori dell'odio e della violenza. Le moschee devono cominciare ad essere dei luoghi di culto tout court. Dove si prega e basta. Bisogna emancipare la maggioranza dei fedeli onesti dall'ideologia integralista ed estremista. Le moschee devono diventare delle case di vetro dove si parla una lingua comprensibile e si predicano dei valori condivisibili dall'insieme delle società occidentali. Così come è fondamentale favorire in tutti i modi l'integrazione piena degli immigrati che lo desiderano e soddisfano i necessari requisiti. Riconoscendoli cittadini a pieno titolo sulla base della parità di diritti e dei doveri. Non è sufficiente sfamare gli immigrati e assicurare loro un minimo di vita relazionale e affettiva. È vitale garantire loro una identità piena tramite la convinta adesione al sistema di valori che li fa sentire parte integrante a tutti gli effetti della società di accoglienza. Dare un'adeguata risposta alla crisi di identità che affligge tanti giovani musulmani è una priorità nella soluzione radicale della crisi che attraversiamo. Resta il convincimento che contro questa guerra del terrorismo islamico e internazionale e globalizzato servono una risposta e una strategia che devono essere anch'esse internazionali e globalizzate. La strategia finora perseguita dagli Stati Uniti nella loro legittima lotta al terrorismo ha mostrato grossi limiti. Essa poggia su tre perni: il militarismo, la convinzione che il terrorismo possa essere sconfitto con la forza delle armi; l'unilateralismo, che li porta ad andare avanti da soli se gli altri non sono d'accordo; la definizione di un "asse del male", un calderone dove vengono inclusi tutti coloro che sono percepiti come "nemici". Ebbene, i risultati finora conseguiti confermano che è invece necessario affrontare e risolvere le cause che generano e alimentano il terrorismo; coinvolgere tutti i paesi e le forze interessate e disponibili nella lotta al terrorismo, a cominciare dai paesi musulmani che sono stati le prime vittime del terrorismo islamico; separare e isolare gli stati e i gruppi terroristici per combatterli separatamente. Serve una nuova strategia internazionale e globalizzata che sia scevra da ingenuità e pregiudizi. Non riesco proprio a capire questa ondata collettiva di irrazionale mitizzazione delle Nazioni Unite. Si vorrebbe far credere che se si facesse sventolare il vessillo dell'Onu a Baghdad, ogni violenza cesserebbe e l'Iraq si trasformerebbe in un paese stabile, pacificato e prospero. Forse ci si scorda che sono stati i terroristi islamici e saddamiani a costringere l'Onu a ritirarsi dopo aver fatto esplodere il suo quartier generale nella capitale irachena. Probabilmente si ignora il fatto che nei loro documenti strategici sia Al Qaeda sia la sedicente Resistenza irachena hanno chiarito che mai e poi mai acconsentiranno alla presenza di un'amministrazione in qualche modo sponsorizzata dall'Onu. Tutti però dovrebbero ricordarsi i clamorosi e tragici fallimenti delle Nazioni Unite in Palestina, in Bosnia e in Ruanda. Tutti dovrebbero sapere che l'Onu è una scatola vuota, un organismo elefantiaco iperburocratizzato, corrotto e inefficiente. Comunque privo di strumenti militari in grado di attuare le proprie risoluzioni. Ecco perché mi riesce difficile considerare in buona fede quanti rivendicano a viva voce il passaggio delle forze alleate in Iraq sotto il comando dell'Onu. Chi vorrebbero alla testa delle forze alleate? Un generale cinese o svedese o nigeriano o colombiano? Per comandare quali forze? È realistico ipotizzare che 150mila soldati americani vengano affidati al comando di un non americano? E che cosa accadrebbe se gli Stati Uniti dovessero decidere all'improvviso di ritirarsi o anche solo di ridurre drasticamente il loro contingente militare? Chi ha mai impedito, specie dopo l'emanazione della risoluzione 1511 dell'Onu che legittima la presenza armata in Iraq, il coinvolgimento di altri paesi? Si fantastica sulla partecipazione degli eserciti dei paesi arabi. Ma se i leader arabi sono perfino incapaci di riunirsi allo stesso tavolo! E quando ci riescono, i loro vertici falliscono tra i litigi e gli insulti. Basta con la mitizzazione della realtà. Basta con i pregiudizi e i luoghi comuni. Liberiamoci dalle gabbie culturali e idelogiche che ci impediscono di confrontarci con la realtà per come è, non per come la vorremmo. L'importante è prendere finalmente coscienza del fatto che siamo in guerra. Che c'è una guerra scatenata dal terrorismo contro l'Occidente e il mondo libero. Che è una guerra che si può e si deve vincere. Con il coinvolgimento di tutti, compresa la maggioranza dei musulmani che condivide i valori fondanti della nostra umanità. L'Occidente e il mondo libero non hanno alternative: o accettare la sfida lanciata dal terrorismo o finire per capitolare. O si faranno promotori di una storica riscossa per salvare se stessi e la propria civiltà, o si rassegneranno a un inesorabile suicidio.
Dal CORRIERE della SERA, a pagina 12: "Il decalogo dei kamikaze: fate amare la morte ai vostri figli", di Marco Imarisio:
FIRENZE — Il titolo è « Impronte sul muro della morte » . In linea con il contenuto del cd rom. Lo scorso 9 agosto la polizia ferma per un controllo Adel Abdallah, il più giovane dei 5 islamici arrestati. Nel suo zaino trova questo dischetto che si apre con il titolo « parole della verità in un mondo muto » .
Il cd rom proviene dalla moschea di Sorgane, roba importata dall’estero, che girava tra i componenti della cellula italiana di aspiranti terroristi. Ne ascoltavano in quantità industriale, secondo gli investigatori sono la loro palestra di addestramento. Più che una prova di colpevolezza, è un documento. Uno strumento per cercare di capire. L’humus di chi aspira al martirio, le parole alle quali si aggrappano quelli, come i quattro ragazzi tunisini, che decidono di maturare questa scelta. Le prime immagini sono quelle di attentati compiuti in Israele, poi « entra » la voce di un imam, Abu El Qaqaa. « Noi insegneremo alle nostre ragazze, prima che ai maschi, ad essere amanti della morte, così l’America cadrà e cadranno anche gli oppressori » . Si interrompe subito la predica, sul filmato di un campo di addestramento risuona la canzone di saluto di un futuro kamikaze agli amici e alla famiglia.
« Non siate tristi, non biasimatemi, la chiamata è arrivata e, se anche voi sarete felici, la mia missione avrà più significato » .
Subito dopo ricomincia l’imam. « Quando c’è stato l’attentato — recita la voce — la madre ha detto ' Dio è grande, sia lodato' e poi ha lanciato grida di gioia. Sissignori, tutti erano felici e la madre ha detto ' se siete venuti qui per farmi gli auguri, siate i benvenuti, altrimenti andatevene se siete qui per le condoglianze' » .
Non è una parabola, è una storia vera, che nelle parole dell’Imam Abu El Qaqaa viene soltanto avvolta da un’aura di mito. L’eroe di questa predica si chiamava Mohammad Farhat. Si era presentato volontario alle Brigate Ezzedim al Qassam, braccio militare di Hamas. Lo spedirono indietro, la sua famiglia aveva bisogno di lui. Tornò con una lettera di accompagnamento della madre Mariam, che diceva di averlo a lungo preparato per la causa. Il 20 marzo 2002 uscì dalla sua casa nella striscia di Gaza per andare ad ammazzare ed essere ammazzato.
Il messaggio è piuttosto esplicito: « Bisogna morire — arringa l’imam — , perché morire da vile è un disonore.
Dio, fai diventare i nostri corpi e il nostro sangue una impronta per la vittoria promessa e futura... Guardate il mondo, ci sono tante persone, le une diverse dalle altre. Perché morire di morte inutile e banale come la malattia, o incidente, se tu puoi morire per la Jihad? » .
L’imam se la prende anche con gli islamici moderati: « La disfatta psicologica e la menzogna hanno ucciso perché la nostra fede si era indebolita per colpa di parole proferite da certi individui malsani che si nascondono dietro la barba e la gellaba ( l’abito lungo indossato dai fedeli quando si recano in Moschea, ndr ) » . Contro i miscredenti c’è una sola soluzione, « quella della cintura che avvolge il nostro corpo e fa esplodere la forza dei miscredenti e dei loro alleati, i traditori » .
Poi c’è una specie di decalogo morale. Le « d ieci impronte sul muro della morte » , per la verità piuttosto ripetitive. La prima: « La parola del Corano che non chiama la gente alla Jihad è una parola vuota, parola da traditori » .
La sesta: « Odio per gli idioti e per gli Ebrei, il nostro Profeta lo ha sempre detto che saranno i nostri nemici finché Gesù, figlio di Maria, non resusciterà distruggendo la croce e accetterà l’Islam come unica religione » . L’ottava: « Insegnate ai vostri figli ad amare la morte » . La nona: « Signori, dove sono le grida dei vostri bambini che chiamano alla Jihad? » L’ultima: « Chi trasmetterà queste impronte avrà un ruolo importante per la vittoria dei nostri fratelli in Palestina e nel mondo intero » . Fine del cd rom. Ecco, le parole sono queste.
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