Ancora una volta aleggia lo spirito di Monaco
ecco perchè sarebbe un errore ritirarsi dall'Iraq - cosa insegnano le elezioni spagnole
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Data: 16/03/2004
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Autore: Emanuele Ottolenghi - Christian Rocca - Angelo Panebianco
Titolo: La Spagna, Al Qaida e l'Iraq
Le dichiarazioni del neopremier spagnolo Zapatero hanno suscitato un forte dibattito sul come sconfiggere il terrorismo, dichiarazioni che sotto molti aspetti hanno sapore di resa ad Al Qaida. A questo proposito pubblichiamo tre articoli che esprimono questa tesi da diversi punti di vista.
Il primo è l'editoriale di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera che centra le sue argomentazioni sul fronte della politica interna.
Il secondo articolo firmato da Emanuele Ottolenghi ci spiega come un eventuale ritiro della Spagna dall'Iraq non farà che dare l'impressione ad Al Qaida di avere vinto una battaglia e la incoraggerà a proseguire nei suoi efferati crimini.
Christian Rocca si sofferma invece sulle discrasie tra la reazione americana all'11 settembre rispetto a quella spagnola dopo l'attentato di Madrid.

Angelo Panebianco: "MADRID 2004 O MONACO 1938?", Corriere della Sera, pag. 1

Lo spirito di Monaco soffia sull’Europa. C’è il rischio che l’Europa democratica, come fece nel ’ 38 nei riguardi di Hitler, commetta di nuovo l’errore di mandare messaggi sbagliati, di
appeasement, di arrendevolezza, nei confronti dei nemici della nostra civiltà.
Per questo, la prima dichiarazione del vincitore delle elezioni spagnole, il socialista Zapatero ( « ci ritireremo dall’Iraq entro il 30 giugno » ) è, spiace dirlo, infausta, è uno di quei messaggi « sbagliati » . Nel documento del gruppo saudita legato ad Al Qaeda, diffuso alla fine del 2003 ed esaminato da Magdi Allam sul Corriere di ieri, era stato tutto previsto: « Noi riteniamo — scrissero i terroristi — che il governo spagnolo non sopporterà che due o tre attacchi al massimo prima di essere costretto a ritirarsi sotto la pressione popolare. Se non lo dovesse fare, la vittoria del partito socialista sarà pressoché certa e il ritiro dall’Iraq sarà una delle sue priorità » .
Due errori l’Europa dovrebbe massimamente evitare. Il primo è quello di dare ai terroristi la sensazione che la strategia del massacro sia pagante, in grado di ottenere tutti i risultati che di volta in volta si prefiggono ( oggi il ritiro dall’Iraq, domani chissà cosa altro). Il secondo errore è quello di non controbattere con sufficiente forza la tesi di chi in Europa va dicendo che l’unica vera causa dell’ultima ondata di attacchi terroristici sia la guerra in Iraq. Il primo errore non fa che accrescere ancor più le già altissime probabilità di nuovi attentati. Il secondo errore permette a tante persone in buona fede di cullarsi nell’illusione che basterebbe ritirarsi dall’Iraq per garantirsi la pace, la fine della guerra scatenata dal terrorismo islamico contro l’Occidente.
A tutti costoro va ricordato che la guerra è iniziata con gli attacchi dell’ 11 settembre del 2001 ed è continuata poi con molti attentati in varie parti del mondo anche dopo quella data ( e
prima che ci fosse l’intervento anglo- americano in Iraq). I critici di quell’intervento possono benissimo continuare ad esserlo sostenendo che esso non ha contribuito a « fermare » il terrorismo ma non possono avallare la tesi secondo cui la guerra in Iraq sarebbe la
vera, unica causa dell’aggressione terroristica all’Occidente. Basta avere ascoltato i messaggi di Bin Laden per sapere che non è così.
I due errori suddetti possono contribuire a disarmare l’Europa, spingerla a fare ciò che essa, razionalmente, di certo non vuole fare: diventare prona al ricatto terroristico. Ogni Paese europeo deve fare la sua parte e auguriamoci che la tragedia spagnola spinga l’Unione verso una vera politica comune di lotta al terrorismo. Per quanto riguarda poi il nostro Paese speriamo che la maggioranza non tentenni. E che l’opposizione riformista sappia resistere alla pressione di coloro che, sull’onda delle elezioni spagnole, inneggiano oggi al socialista Zapatero, ne fanno il loro campione ( contro Tony Blair, prima di tutto, ossia contro quella parte della sinistra al potere in Europa che non intende spostarsi dalla linea della fermezza). Anche chi era contrario all’intervento in Iraq ha un interesse vitale a superare il grande equivoco del « pacifismo » per come viene declinato in questo momento in Italia.
Coloro che sfileranno nella manifestazione « pacifista » di sabato 20 marzo, chiedendo il ritiro del contingente italiano dall’Iraq, hanno come nemico prioritario gli americani, non il terrorismo islamico. Essi, come tanti altri gruppi che la pensano allo stesso modo in Europa, hanno tutti i diritti di manifestare per le loro idee.
Ma l’Europa e l’Italia che non vogliono una nuova Monaco hanno il dovere di non mescolarsi con loro.
Emanuele Ottolenghi: "Pagando il pizzo ad al Qaida non illudiamoci che ci lasci in pace", Il Foglio, pag. 2
Il terrorismo colpisce a casaccio, ma la sua logica non è casuale. C’è nell’attacco di giovedì scorso il freddo calcolo di influenzare il voto, cosa pienamente riuscita. Al Qaida aveva annunciato questa strategia sin dall’anno scorso, in un libro circolato su siti islamici radicali. Nel testo, disponibile
sul sito www.e-prism.org, si discute a lungo della Spagna come il punto debole dell’alleanza "crociata". Il libro sostiene come la posizione del governo spagnolo possa cambiare a causa della forte opposizione popolare alla guerra e alla presenza di truppe spagnole sul suolo iracheno. Tre elementi emergono: il numero di attacchi necessari a spostare l’opinione pubblica, la possibilità che i socialisti vincano le elezioni, e la centralità quindi del voto del 14 marzo. Chi scrive capisce benissimo i sentimenti degli europei, intuisce come l’uso della violenza possa essere calibrato, nei modi e nei tempi, per influenzare le elezioni, e ne fa conseguente uso, colpendo ripetutamente obbiettivi spagnoli in Iraq e Marocco, e infine a Madrid alla vigilia del voto. La logica è ferrea: mostra lucidità di pensiero e piena comprensione della nostra mentalità. Al Qaida ha vinto le elezioni di domenica: come previsto dai terroristi, i socialisti spagnoli cedono al loro ricatto annunciando il ritiro delle truppe. Nulla di più logico e razionale. Il nemico
dell’Occidente ne comprende benissimo la psicologia, la studia e ne cerca i
punti deboli, che utilizza a suo vantaggio. Tanti hanno detto del coraggio degli spagnoli scesi in piazza a manifestare. Ma quelle mani alzate in segno di resa, con i palmi dipinti di bianco come una bandiera, non danno una sensazione di coraggio: fanno pensare che se Madrid l’11 marzo era come Manhattan l’11 settembre, Madrid il 14 marzo è come Monaco nel 1938. Peggio anzi, perché a Madrid la resa è stata decretata per volontà del popolo sovrano.
Il voto è sintomo di un profondo problema europeo. Esso esprime l’illusione che, cedendo al ricatto morale del terrore, si venga lasciati in pace. Chi ha votato socialista domenica non vuole rinunciare a prosperità e a spensieratezza, non vuole doversi sottoporre a ore di controlli all’aeroporto
ogni volta che va per il fine settimana in Costa Brava, non vuole dirottare risorse dalla sanità alla difesa, non vuole ritornare alla leva obbligatoria, dove i ventenni occasionalmente muoiono a difesa della patria, non vuole pagare il prezzo di un’efficace guerra al terrorismo. Vuole restare indifferente nel suo pacifico edonismo, convinto che i problemi del mondo si risolvano con la diplomazia, che essi non esistano, che non lo sfiorino o che siano sempre e solo frutto di manipolazioni di oscuri poteri avidi di petrolio ed egemonia. Ma votando come voleva al Qaida, al Qaida non andrà via. E’ come se pagando il pizzo alla mafia, il commerciante potesse essere lasciato in pace, senza ulteriori esose e maramalde vessazioni, come se la strage sui treni sia attribuibile, in una logica perversa la cui psicologia al Qaida capisce benissimo, non ai terroristi ma a chi il terrorismo vuole combattere senza compromessi. Causa confusa con effetto. Al Qaida crede di poter causare un effetto domino, rimuovendo la Spagna dall’equazione, perché l’uscita della Spagna creerebbe un precedente per l’Italia e isolerebbe infine Tony Blair. Tutto scritto, ma pochi finora si sono dati la briga di leggere. E sta qui il vero problema. Al Qaida comprende la nostra psicologia e spiega la propria
strategia in maniera limpida e trasparente, sicura che non presteremo attenzione. Se gli spagnoli non riescono a vedere il pericolo e credono che una politica di appeasement li metterà al riparo dal terrorismo, questo lo si deve in parte al fatto che dall’11 settembre poco si è fatto in Europa per spiegare, candidamente e onestamente, in che mondo viviamo. Per sconfiggere il
nemico, occorre conoscerlo e comprenderne il paradigma culturale e intellettuale all’interno del quale si muove. In questo l’Europa arranca. Non capendo la vera natura del nemico, non capisce che ci troviamo nel mezzo di una guerra epocale, una nuova Guerra fredda caratterizzata dal terrorismo invece che dallo spettro dell’olocausto nucleare. Quando nel 1938 Chamberlain tornò da Monaco promettendo "la pace nei nostrin giorni", Churchill, che non gli credeva, fu deriso e ignorato, come oggi chi tardivamente chiede agli europei in partenza per il weekend di rendersi conto della situazione. Churchill non prometteva nulla di buono, perché aveva il coraggio di guardare il male del nazismo in faccia capendone natura e intenzioni. L’Europa oggi non ha quel coraggio. E’ ora di dire la verità in tutto il suo orrore. Solo mettendo a nudo la realtà che ci circonda si può risvegliare la coscienza assopita del vecchio continente; solo informando chiaramente il pubblico della sfida che ci confronta; solo avendo il coraggio e l’onestà di chiamarla per nome; solo osando dire quanto nessuno vuol sentirsi dire, si può sperare di cambiare il corso degli eventi. Illudersi non farà altro che prolungare la guerra, rendere la vittoria più sfuggente e il prezzo da pagare per raggiungerla infinitamente più doloroso. Churchill, nell’ora più tragica della storia d’Europa, ebbe il coraggio di promettere alla sua gente null’altro che "sangue, sudore e lacrime". Nessuno si illuda. Ci sarà altro sangue, e altre lacrime saranno versate. Dirlo con coraggio e serenità non guasterebbe.
Christian Rocca: "Se al Qaida punisce Aznar per l'Iraq, allora l'Iraq c'entra con al Qaida", Il Foglio, II inserto
Osama bin Laden e la sua cricca di fascisti islamici hanno vinto le elezioni spagnole, e ora per tutti noi le cose diventano delicate. La strage di Madrid non è stato il nostro 11 settembre, solo un idiota poteva pensare non fosse già suo l’11 settembre del 2001. C’è che la strage di giovedì più il voto di domenica, insieme, sono peggio ancora dell’11 settembre 2001, sono l’11 settembre senza l’united we stand, sono l’attacco a New York senza Rudy Giuliani, sono le Torri gemelle senza i pompieri, sono l’11 settembre di chi non è riuscito a trasformare la paura in collante della società e dei valori
per i quali viviamo. La ferocia di chi ama la morte, di chi ci uccide e poi ci sfotte perché noi invece amiamo la vita, non ha fatto reagire gli spagnoli come fecero gli americani quel giorno di settembre. Le premesse c’erano, visto che finanche il Monde e Michele Serra avevano scoperto le battaglie per difendere i nostri ideali e la normalità della nostra vita messa in pericolo dai fascisti. L’emozione dell’11 marzo, invece, ha convinto gli spagnoli a punire chi l’11 settembre non s’era voltato dall’altra parte di fronte ai fascisti-stragisti e ai regimi-nazisti che li sostenevano. Qui non c’entra il pacifismo e il preponderante sentimento anti guerra degli spagnoli, perché senza la carneficina sui treni i medesimi spagnoli avrebbero confermato il governo dei Popolari. Non c’entrano neanche i socialisti, ovviamente.
Sono solo gli involontari beneficiari dell’aiutino di al Qaida.
Con la strage è stato posto agli spagnoli un ricatto, cui gli spagnoli in preda al panico hanno ceduto. I fascisti hanno così ottenuto un altro risultato, dopo la mattanza. Ora sanno che con il terrore non solo uccidono
i nemici, ma hanno la conferma che con il ricatto possono anche mandare democraticamente a casa chi non gliela vuol dare vinta. Gli spagnoli che tra giovedì e domenica hanno cambiato idea pensano che i fascisti islamici abbiano fatto la strage per punire Aznar dell’aiuto dato a Bush in Iraq, ma contemporaneamente credono che la l’Iraq non c’entri nulla con la lotta al terrorismo. Il ragionamento cui sono stati indotti dai fascisti islamici non sta in piedi. Se i fascisti avessero davvero ucciso 200 spagnoli per il contributo di Aznar alla caduta di Saddam, sarebbe la prova, la smoking gun,
che aver liberato l’Iraq gli ha ha dato molto fastidio; dimostrerebbe che quella di Bush e Aznar era la strategia giusta, visto che i fascisti islamici si sono così incavolati da aver compiuto una strage proprio in un paese che ha partecipato a Iraqi Freedom, e non in un altro che vi si è opposto. Chi dice che l’intenzione dei terroristi fosse quella di convincere la Spagna a desistere dall’impegno al fianco di Bush, e poi ne ha seguito l’indicazione di voto, l’ha data vinta a Osama. C’è chi dice che Aznar sia stato punito perché accusando Eta ha cercato di nascondere la responsabilità di al Qaida. E’ possibile, se fosse vero avrebbe sbagliato, ma se lo ha fatto è proprio perché temeva quello che poi è successo, sospettva che la dichiarazione di voto di Osama potesse avere effetto. In ogni caso ai fascisti non frega niente degli spagnoli né degli iracheni né degli ebrei. Uccidono per uccidere, ci odiano tutti, francesi e americani, cristiani e islamici. Uccidono ovunque e azionano il detonatore senza informarsi dell’ultima posizione del Triciclo. Hanno ucciso in Turchia, dove il governo aveva impedito il transito delle truppe americane verso l’Iraq. Hanno ucciso in Marocco, in Indonesia e in Arabia Saudita, paesi islamici che non hanno fatto e non volevano la guerra in Iraq. Ogni volta, tutte le volte, sono trenta, cinquanta, centocinquanta vittime colpevoli soltanto di amare la vita così come loro, i fascisti, amano la morte. La lettera di Al Zarqawi (al Qaida) trovata in Iraq dimostra quanto i fascisti islamici fossero scoraggiati del fatto che, nonostante i 500 soldati uccisi, gli americani non cedevano e non si piegavano. I fascisti islamici speravano nella sindrome del Vietnam, evocavano il ritiro dal Libano, la fuga da Mogadiscio. Erano certi che gli americani alle prime bare avrebbero desistito, che sarebbero tornati a casa. Non è successo, e Zarqawi era davvero seccato. Ma l’Iraq ad Al Qaida serviva davvero, così ha programmato attacchi ai contingenti stranieri, anche ai nostri di Nassiriyah, ma nessuno si è ritirato. Allora ha iniziato a uccidere gli stessi iracheni, per ricattarli così come giovedì è stato fatto con gli spagnoli. Ma la normalità irachena è diversa da quella nostrana, gli iracheni non si sono consegnati all’invasore fascista islamico e sono riusciti a ottenere una Costituzione liberale, per quanto provvisoria. Quanto è successo in Spagna è un evento peggiore dell’11 settembre, perché abbiamo dato ai terroristi una speranza che la risposta europea possa essere quella di girarsi dall’altra parte, di lavarsene le mani, di sperare di toglierci dall’impiccio e di pregare che così facendo i fascisti se la prendano con gli altri, con i nostri vicini, con quelli a cui dobbiamo la nostra cinquantennale normalità. Tutto questo, oltre che inutile, ci riporta a Monaco, al 1938, quando l’Europa dei "fascipisti", come li chiamò George Orwell, credette che con le buone maniere Hitler si sarebbe accontentato. Non si accontentò, e ci salvammo solo grazie all’arrivo della Cavalleria. Chissà se stavolta arriverebbe ancora.
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