Il Corriere di Romagna (10 marzo) non è un grande giornale, e non infieriremo più di tanto. Invitiamo però a leggere il pezzo per capire come un atteggiamento fin troppo tollerante delle autorità di frontiera israeliane nei confronti di una persona che entra unicamente per creare disordini, non solo viene lasciata entrare, ma il suo normalissimo interrogatorio viene presentato come "una situazione kafkiana". Leggere per credere (ma anche per ridere).RAVENNA - Sono ormai passati dieci giorni dall’accaduto, ma il racconto fa ancora venire i brividi. Una situazione "kafkiana" quella in cui si è trovato coinvolto Piergiorgio Rosetti (nella foto Marson), volontario ravennate dell’Operazione Colomba, la missione coordinata dalla Papa Giovanni XXIII di Don Benzi."Sono giunto all’aeroporto di Tel Aviv il 24 febbraio alle 17,10 - racconta il ‘protagonista’, tramite email -, sono uscito con il permesso d’ingresso alle 22,30". Cinque ore passate tra controlli capillari nei bagagli ed estenuanti interrogatori, compiuti da due diversi ufficiali della sicurezza dello stato di Israele. "Dopo i controlli sono stato portato in un’ala ‘segreta’ dell’aeroporto, nella quale si accede soltanto mediante una speciale carta magnetica". Poi una serie di strane domande, ed una sorta di "sequestro", che sembra non finire mai: "Non facevano altro che dirmi ‘fra cinque minuti lei è libero’. Si trattava di una ‘conversazione’ per stabilire se ‘potevo essere un soggetto pericoloso per Israele’. In pratica mi hanno interrogato senza affermarlo ufficialmente (caso in cui avrei avuto diritto ad un avvocato) e mi hanno messo in stato di fermo senza dirlo".Non è la prima volta che Rosetti si reca nei Territori. Una missione umanitaria, sempre diretta dall’Operazione Colomba, lo aveva portato nel febbraio del 2003 a Khan Younis, città nel confine nord della Striscia di Gaza, dove rimase per tre mesi. Lo scopo era quello di sempre: il sostegno alla popolazione della Striscia, ma anche una testimonianza lucida e non mediata su ciò che, realmente, accade in Medioriente. Ora si trova a Gerusalemme e si sente "ospite non troppo gradito, visto che mi hanno detto specificatamente di non recarmi a Gerusalemme Est, né tantomeno alla chiesa della Natività a Betlemme". E l’interrogatorio, non a caso, si sofferma a lungo sulla funzione dell’ultimo viaggio di Piergiorgio in Palestina: "Io ho collaborato educatamente, ma ho sempre rifiutato di fornire il mio numero di cellulare, il numero telefonico della mia residenza ravennate, o dare informazioni che loro sostenevano avessi su altri". Alle richieste "paradossali" si aggiunge lo strenuo rifiuto di contattare l’ambasciata italiana: "Mi hanno concesso di chiamare l’ambasciata solo alle 19,30. Peccato che a quell’ora fosse chiusa. Fortunatamente avevo mandato degli sms in Italia, ed avevano già chiamato loro l’ambasciata. Ma ad inquietarmi di più - ribadisce il volontario ravennate - sono stati il continuato rifiuto di comunicarmi il motivo del mio fermo per 5 ore, negando di rivelarmi le loro generalità e la loro funzione. Fortunatamente, poi, sono stato raggiunto dalla telefonata del console italiano, che ha contribuito in maniera determinante alla risoluzione della vicenda. La cosa più assurda è che mi chiedeva di parlare con il militare in borghese che mi stava davanti, ma lui negava di prendere il cellulare in mano". La stessa madre di Piergiorgio registra una situazione un po’ ambigua: "Nei giorni scorsi, al telefono, parlava serenamente, come sempre. Ma sembrava reticente su alcuni aspetti". Rosetti non manca comunque di sottolineare un aspetto positivo: "Sono stato al mercato, e ho comprato salvia e menta da una contadina. Mi ha donato il pane e il formaggio che stava mangiando".
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione del Corriere Romagna. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.
cega@corriereromagna.it