La fine di un pericoloso terrorista
anche se molti giornali faticano a riconoscerlo come tale
Testata: Corriere della Sera
Data: 10/03/2004
Pagina: 16
Autore: Michele Farina
Titolo: Morto Abu Abbas, l’uomo della Lauro
Molti giornali riportano la notizia della morte di Abu Abbas, capo del Fplp, organizzatore di molti atti di terrorismo tra i quali il dirottamento dell'Achille Lauro. Ma in realtà non tutti i quotidiani descrivono Abu Abbas per il terrorista quale era, forse volendo rimanere in linea con l'allora governo italiano che lo lasciò andare via; troppo forte rimane il fascino del guerrigliero combattente, che in nome di cause peraltro legittime, si macchia dei più gravi crimini. Tra i pezzi meno celebrativi di questo terrorista riportiamo l'articolo di Michele Farina pubblicato sul Corriere della Sera di oggi, mercoledì 10 marzo '04.
Non poteva che concludersi così, con una morte fino all’ultimo incerta e rimbalzata da una parte all’altra del mondo, la vicenda dello sfuggente Abu Abbas. La notizia, proveniente da una fonte anonima palestinese, dopo il no comment delle forze Alleate a Bagdad è stata confermata dagli Alti Comandi americani a Tampa in Florida. Il capo del Fronte per la Liberazione della Palestina aveva 56 anni. E’ morto prigioniero, l’altroieri, probabilmente per una crisi di cuore.
E’ stato « l’Abu » più famigerato della storia italiana, condannato all’ergastolo nell’ 87 da un tribunale di Genova come dirottatore dell’Achille Lauro. Condannato in contumacia, dopo una memorabile vicenda militar- diplomatica in cui i carabinieri e i marines arrivarono a un passo dallo scontro armato, in Sicilia, una notte di ottobre del 1985: fu proprio Abu Abbas in fuga a innescare « l’incidente di Sigonella » tra gli Stati Uniti e il governo di Bettino Craxi, che si rifiutò di consegnare il terrorista agli americani, prima di rilasciarlo in quanto semplice « testimone » dell’uccisione di Leon Klinghoffer, 69 anni, cittadino americano, che gli uomini al comando di Abbas gettarono nelle acque del Mediterraneo con la sua carrozzella dal ponte della motonave italiana.
Una storia, quella di Abu Abbas, che non poteva che concludersi a Bagdad, dove molti « Abu » del terrorismo internazionale hanno trovato prima sostegno e poi rifugio alla corte di Saddam Hussein, nella diaspora dei circa 70 mila profughi palestinesi che nel corso degli anni hanno trovato una patria in Iraq. Tra i suoi « colleghi » , anche lui nelle grazie di Saddam, c’era anche Abu Nidal, altra vecchia conoscenza italiana, la mente dell’attentato di Fiumicino dell’ 85, che fu trovato senza vita nell’agosto del 2002 nella capitale irachena. Una morte misteriosa, presentata dal regime come suicidio. Furono i sicari del Raìs a farlo fuori, per una presunta collaborazione con il Kuwait, nella sua casa di Bagdad.
Anche la fine di Abu Abbas è cominciata con una visita sgradita, nella sua villetta in un quartiere a Sud della capitale. Gli americani avevano conquistato Bagdad da neanche una settimana. I commandos lo hanno circondato in un garage all'alba del 15 aprile.
Prima sono arrivati gli elicotteri della Delta Force: arrenditi, non hai via di scampo. Pensa alla tua famiglia. Pare che lui abbia risposto sparando, come avrebbero fatto pochi mesi dopo i figli di Saddam Hussein nella villa- fortino di Mosul attaccata con armi pesanti. Il finale fu diverso. Dopo una battaglia durata oltre due ore, Abu Abbas uscì con le braccia alzate. La moglie Reem disse: « Spero che lo lascino andare. Non ha mai fatto parte del Partito Baath, non ha mai collaborato con Saddam Hussein, e con questa guerra non c'entra nulla » .
Di certo era un uomo rassegnato. Con l’inizio dell’attacco anglo- americano aveva cercato di trovare rifugio in Siria.
Per due volte Damasco l’aveva rispedito indietro. Come gli iraniani. Non restava che aspettare gli americani. I vicini di casa lo ricordano generoso. In una delle sue residenze, dove abitava con quattro guardie del corpo, erano rimaste poche cose: bottiglie di Bardolino vuote, due frigoriferi chiusi con il lucchetto, una biografia di Ariel Sharon.
La sua cattura fu salutata in America come una grande vittoria. Per il Pentagono « una prova dei legami del regime iracheno con il terrorismo mondiale » . Con Abu Abbas dietro le sbarre, « veniva rimosso un altro pezzo del network del terrore » .
Un pezzo probabilmente fuoriuso da tempo. A Bagdad cercava di vivere commerciando in succhi di frutta, ghiaccio, forse armi. Sognava di ritagliarsi ancora uno spazio in Palestina, dove l’ex collaboratore di Yasser Arafat aveva vissuto negli anni ’ 90, criticando le nuove leve di Hamas, tollerato dalle autorità israeliane, prima di ripartire da Gaza all’inizio della Seconda Intifada.
Invece lo spazio che si era ritagliato era una cella in una base americana in Iraq. Chissà se gli avranno dato la divisa dei prigionieri più a rischio, quella che indossa anche Saddam Hussein, fatta di un materiale commestibile per impedire i tentativi di suicidio per soffocamento. Stando ad un alto funzionario palestinese interpellato dall'agenzia Reuters, il leader terrorista è morto di cause naturali. Da tempo Abu Abbas soffriva di cuore. Secondo le tv arabe Al Arabiya e Al Jazira, il decesso sarebbe avvenuto per mancanza di assistenza adeguata.
E’ probabile che gli americani non l’avrebbero mai consegnato all’Italia. Nel novembre 2003 il New York Times
scrisse che il nostro governo non aveva chiesto l’estradizione.
Il ministero della Giustizia replicò che non aveva potuto prendere iniziative poiché non aveva ricevuto dagli Usa « notizie certe sullo stato giuridico » del terrorista. Prigioniero di guerra. E forse ancora un po’ « prigioniero » dell’incidente di Sigonella. Certo sono passati vent’anni da allora, e i nostri Carabinieri oggi sono fianco a fianco dei Marines in Iraq. Ma quel no di Craxi a Reagan — « Sigonella è una base italiana, in cui sono in vigore le leggi del nostro Paese » — forse non è stato ancora dimenticato.
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